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Comune di Caselle Torinese
sabato, Luglio 27, 2024

    “Rimettere Cristo al centro è una priorità: da lì si può e si deve ripartire con forza”

    Intervista al nostro parroco, Don Alessandro Martini

    Da sei mesi Don Alessandro Martini – coadiuvato da Don Sergio Fedrigo, e affiancato come vice da Don Marco Varello, e sempre col nostro amato Don Claudio in qualche modo a fianco – è il nuovo parroco della comunità cattolica casellese.

    Impossibile non avvertire la presenza del Don, e per l’imponente stazza, e per ciò che irradiano i suoi occhi.

    Lo incontriamo in una mattina come tante, che come tante proprio non si rivelerà.

    Don Alessandro ci accoglie nella canonica di Borgaro, Borgaro che nella nuova visione e condivisione parrocchiale è tutt’uno con Caselle: laddove non ci sono riusciti dieci secoli di storia a cercare di unire due entità che si sono sempre, cordialmente, guardate bene dall’amarsi fino in fondo, pur stando a tre chilometri di distanza, c’è riuscita la Chiesa, con un’operazione senza precedenti.

    Guarda che non è poi mica così sorprendente e nuova la nostra proposta. Dico nostra perché già anni fa proponemmo il progetto all’Arcivescovo di Torino di allora, Cesare Nosiglia, dicendogli che ci sarebbe piaciuto creare una sorta di cenacolo: quattro sacerdoti capaci di coabitare, condividendo alloggio, ministero e missione. Capaci di supportare e sopportare un impiego a più largo raggio territoriale in linea con la N.I.P., la Nuova Immagine Parrocchiale alla quale già allora era giusto tendere.

    Nosiglia stette ad ascoltare assai interessato e intrigato dalla proposta, ma disse che non aveva sottomano la giusta situazione e soluzione. Giusta situazione che appena si fosse palesata non avrebbe atteso un attimo per coinvolgerci. Come vedi, siamo qui.”

    – Quindi, il nuovo Arcivescovo di Torino, Roberto Repole, anche lui ha creduto in questo progetto e senza tema l’ha sposato?-

    Nella rimodulazione degli assetti e incarichi parrocchiali, per quanto riguarda noi, molto ha voluto dire il tremendo periodo che il nostro amatissimo Don Claudio ha dovuto subire.

    Caselle necessitava d’un aiuto e l’Arcivescovo ha pensato bene di rispolverare il nostro progetto. Io ero parroco a San Raffaele Cimena e Castagneto Po, Don Sergio lo era a Trofarello, e da quindici anni, ma la chiamata per poter provare a mettere in pratica quanto da tempo avevamo sognato e solo ipotizzato è stata davvero un grande regalo. Con noi e Don Marco avrebbe dovuto esserci anche Don Ferruccio Gambaletta, ma purtroppo il destino ha avuto per lui altri disegni e un brutto incidente stradale ce l’ha portato via. Da un po’ di tempo abbiamo potuto cominciare a cercare di dare alle nostre genti una visione nuova di Chiesa, anche attraverso ciò che vive e condivide un gruppo di sacerdoti. Che Chiesa può mai esserci se i suoi ministri non vivono insieme e con gioia ogni istante?”

    • – Gioia è una parola che ricorre spesso nei tuoi discorsi. Dipende dalla tua formazione? Come è giunta a te la vocazione?-

      Io provengo da una famiglia che la fede cristiana la rifiutava proprio, soprattutto mio padre. Mamma diciamo che aveva una fede “silente”, che teneva per sé. Cresciuto in quell’ambiente, anche io rifiutavo e mi contrapponevo a tutto ciò che poteva sapere di culto. Ma sul cammino qualcuno aveva pensato bene di farmi incontrare una persona straordinaria come il mio insegnante di religione, Don Tonino Enrietto, il quale, evidentemente, aveva colto in me, nel mio pensiero, crepe e contraddizioni, proponendomi altri punti di vista, altri modelli di vita. Così ho voluto conoscere, sapere e mi sono avvicinato al movimento dei “Focolarini”, quello creato da Chiara Lubich, e molto semplicemente, molto naturalmente, a poco a poco, ho scoperto la strada, la mia strada.”

      – E a casa come l’hanno presa?-

    Mia madre non poté trattenere dal dirmi che perdeva un figlio, mentre papà, sorprendentemente, mi disse che i principi di amore, onestà e fratellanza che erano diventati miei non erano poi così distanti dai suoi e che era buono e giusto che continuassi a professarli e li portassi agli altri.”

    – Sono trascorsi sei mesi dal tuo arrivo ufficiale a Caselle, dal giorno del tuo insediamento: vuoi e puoi tracciare un primo bilancio della tua attività e della situazione in cui versa la tua parrocchia?-

    Sai, conoscendo già Don Claudio perché già veniva a Borgaro, per come e quanto sapeva spendersi per la N.I.P., un’idea me l’ero fatta di che tessuto avrei potuto trovare. Certo però che non conoscevo per filo e per segno il quadro casellese e proprio per questo ho voluto che Don Claudio ci rimanesse accanto. Intanto perché, dopo il tremendo periodo che ha trascorso, era bene stesse in un ambiente che sentiva suo e che ancora lo accogliesse. E meglio di Caselle, dove il Don sta da quarant’anni, cosa si poteva trovare? Poi Don Claudio, che questo territorio e le sue dinamiche conosce come nessun altro, può aiutarci a comprendere più celermente il percorso da fare.

    Caselle l’ho trovata viva come comunità. Certo, c’è il dato un po’ sconfortante legato alla denatalità, alla decrescita, però mi si creda quando dico che è raro trovare un luogo come il nostro nel quale il rapporto con le istituzioni sia così fattivo. E non parlo solo del generoso contributo che l’Amministrazione comunale ci riserva, parlo della volontà di affrontare le cose insieme, di provare a fare insieme. Avete un sacco di associazioni estremamente vive e mica in tutti i posti è così. Sono una grande risorsa. Penso a cosa riesce a fare concretamente l’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro per ricollocare chi ha perso impiego e speranze. Guardate con più attenzione a ciò che sanno proporre quelli della Confraternita dei Battuti e del Comitato di Sant’Anna! La tutela del nostro patrimonio storico e culturale passa attraverso le loro mani e sono una risorsa davvero notevole. Valorizziamo però queste risorse, e qui occorre davvero l’aiuto e la consapevolezza di tutti.”

    • Però il livello di degrado delle chiese è evidente e occorre fare qualcosa.-

      E qualcosa è già stato fatto e più di qualcosa a brevissimo si farà.

      Dobbiamo immediatamente mettere mano allo stato delle chiese, cominciando da Santa Maria. Non possiamo lasciare il muro esterno in quelle condizioni, dando l’idea che non si ha voglia di prendere coscienza della situazione. Occorre intervenire rapidamente anche perché anche internamente l’umidità di risalita sta creando danni. Bisogna dare una ripassata ai tetti per scongiurare altre infiltrazioni, soprattutto dove c’è la giunzione tra il corpo principale della chiesa e la cappella di Santa Croce. Il Comune provvederà incrementando il suo contributo, ma è certo che ci vorranno un sacco di soldi, visto che prima o poi dovremo occuparci anche delle condizioni in cui versano troppi ambienti di San Giovanni.

      Però c’è un però. I lavori di manutenzione avranno un senso e un compimento solo se continueremo la vita pastorale, se gli edifici continueranno a riempirsi di fede e di fedeli.”

    • – Tra poco sarà Pasqua: che occasione sarà?-

      Sarà come sempre un momento nel quale scoprire la grandezza di Gesù, come colui che ha saputo vincere la morte, arrivando a condividere tutto, persino il suo corpo, la sua vita per noi.

      Pasqua è speranza, è la resurrezione: è il trionfo e la rivelazione della divinità di Cristo. Gesù è sì persona carismatica e grande, ma è come figlio di Dio che si staglia ogni altra misura e ci regala ciò che ci abbisogna. Il suo immolarsi è il supremo atto che indica l’unica via possibile, quella dell’amore universale.”

    • – Però in questo momento la partita tra l’avere e l’essere sembra non esserci, tanto è sbilanciata a vantaggio dell’avere. La nostra società occidentale sembra ammaliata soltanto dall’effimero, lasciando poco spazio alla spiritualità.-

    • Ti direi che non è poi così vero. Io noto invece che c’è un ritorno alla spiritualità, ma è una spiritualità diversa e non cristiana. C’è una spiritualità legata all’ambiente, c’è in certi ambiti un desiderio di avvicinarsi alla meditazione e meglio sondare i principi filosofici. È che noi eravamo abituati in altro modo: eri nato in Italia e automaticamente eri cristiano. L’approdo alla religione, a volte, avveniva per stato e consuetudine, non sempre per convinzione. Occorre guardare in faccia la realtà e arrivo a dire, provocatoriamente, che fa bene alla chiesa essere minoranza. Rimettere Cristo al centro è una priorità: da lì si può e si deve ripartire con forza. Essendo autenticamente cristiani, rinunciando a essere sale insipido.

    Dobbiamo tornare a far capire che Chiesa è stare accanto, a far sentire quanto Dio può essere vicino. Sfruttando ciò che la tecnologia oggi ci mette a disposizione, anche un semplice WhatsApp nel momento d’un lutto, d’un abbandono può far capire quanto questa religione possa essere risposta a domande che risposte sembrano non avere. Sempre però avendo ben presente che gli strumenti che abbiamo a disposizione sono una parte del tutto e non il tutto. La potenza delle parole che il messaggio di Cristo propone deve essere il fine.”

    • – Allora, come hai inteso il richiamo dell’Arcivescovo Lepore a far sì che i cattolici tornino a far sentire la loro voce, tornino a essere parte attiva nel mondo politico?-

    • Ti rispondo con una domanda: quanto mancano alla politica persone come Giorgio La Pira o Giuseppe Dossetti? Te ne propongo un’altra: quanto c’è di veramente cristiano in alcuni partiti europei che si fregiano d’essere cristiani? Il premier ungherese Orban ti ricorda qualcosa?

    • Credo fortemente che in ogni ambito occorra tornare a professare la fede cristiana, partendo dal verbo della Rivoluzione Francese: libertà- fraternità-uguaglianza. Se ci pensi, lì è concentrato tutto quello che ci serve e dobbiamo essere. Attenti, però. Liberi non vuol dire, come ormai troppo spesso succede in tanta civiltà occidentale, scambiare la libertà per rincorrere un sempre più ipotetico benessere economico e ritrovarsi strozzati da un’economia che ci imprigiona. Come non può essere una buona cosa omologarsi, vittime di una “dittatura democratica” che di fatto annulla le persone e le rende schiave d’un regime. Fraternità può essere la risposta, cercando il bene dell’altro, dando riscontri non violenti a un mondo che oggi sembra voler tornare a pascersi delle cose della forza più che della forza delle cose. Pensa a cos’hanno potuto, con la sola potenza dell’amore e della non-violenza Gandhi o Martin Luther King.

    Pensa che messaggio possiamo inviare con emanazioni come la Caritas per far sentire chi soffre meno solo, sfruttando soltanto il desiderio di dare, di dare conforto e bene.”

    • – In un momento in cui per tante famiglie paiono scomparire certezze, dove i dubbi sul futuro si ampliano e paiono esserci fratture incolmabili tra le generazioni, sento di dirti che abbiamo necessità di tornare ad avere punti fermi negli oratori, che tornino a fornire modelli educativi.-

      Credo che in questo il mondo salesiano abbia ancora tanto da proporre. E credo altresì che noi qui a Caselle abbiamo avuto la fortuna di avere l’opera di Don Claudio che ha sempre riposto tanto della sua opera nello sviluppo dell’oratorio e della Casa Alpina di Pialpetta. Che grandi momenti di aggregazione ha saputo far vivere! Ritengo però sarebbe un errore se ponessimo tra i compiti precipui degli oratori solo il compito dell’accudienza. Se alla fine d’una giornata ai genitori non rimanesse che la sola domanda: “ Ti sei divertito?”, saremmo venuti meno ai nostri doveri.

      La domanda giusta da porre ai ragazzi dovrebbe essere: “Oggi cos’hai imparato all’oratorio?”

    Dobbiamo ritrovare costantemente il coraggio di proporre messaggi, di farne costantemente dei luoghi di evangelizzazione. Ricollegandoci con quello dicevamo prima, per far tornare gli oratori a essere fucine per le menti, per dare un’identità attiva, partecipe e decisiva a chi vorrà spendersi pubblicamente nella società. Pensa cosa ha potuto e saputo fare l’Azione Cattolica nei decenni scorsi. Pensa a quante cose si possono fare per gli altri camminando insieme.”

    • – I messaggi di Papa Francesco, il suo costante richiamo a una Chiesa che si ritrovi lontano da trame e palazzi a volte ho paura che cadano nel vuoto e che dopo di lui ci sia una brusca inversione di tendenza.-

      La Chiesa è maestra nella continuità. Papa Francesco ha potuto continuare la lotta ai terribili abusi perpetrati nel solco che ha tracciato Benedetto XVI, la cui grandezza comincia ad apparire sempre più netta. Senza Paolo VI alcuni passaggi fondamentali la Chiesa non li avrebbe mai fatti e chi è venuto dopo, come Giovanni Paolo – pur nel suo brevissimo pontificato – e Giovanni Paolo II – figura fondamentale nella storia dell’ultima parte del ‘900 -, ha potuto proseguire su linee fortemente già disegnate. La Cattedra di Pietro è illuminata da qualcosa che è sovrumano e spesso a noi sfugge l’aspetto trascendente.

      Vero è che noi partiamo veramente da tanto, tanto indietro. Vuoi che ti faccia ridere? Pensa che a volte mi ritrovo a dirimere questioni legate allo spessore delle ostie: a Caselle sono più spesse, mentre a Borgaro sono più sottili… Come se la cosa portasse nocumento all’Eucarestia. Ma, ostia spessa o ostia sottile, l’Eucarestia è Gesù e non ci deve essere immanenza che tenga.”

      – Quando pensi al tuo ruolo c’è un’immagine che ti ispira?-

    • Hai presente il gregge? Il pastore fa il gregge, ma è altrettanto vero che il gregge fa il pastore.

    • A volte occorre stare davanti, altre in mezzo, altre ancora dietro. Procedendo però sempre insieme. Sempre.”

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    Elis Calegari
    Elis Calegari
    Elis Calegari è nato a Caselle Torinese il 24 dicembre del 1952. Ha contribuito a fondare " Cose Nostre", firmandolo sin dal suo primo numero, nel marzo del '72, e, coronando un sogno, diventandone direttore responsabile nel novembre del 2004. Iscritto all' Ordine dei Giornalisti dal 1989, scrive di tennis e sport da sempre. Nel corso della sua carriera giornalistica, dopo essere stato collaboratore di prestigiose testate quali “Match Ball” e “Il Tennis Italiano”, ha creato e diretto “Nuovo Tennis” e “ 0/15 Tennis Magazine”, seguendo per più di un ventennio i più importanti appuntamenti del massimo circuito tennistico mondiale: Wimbledon, Roland Garros, il torneo di Montecarlo, le ATP Finals a Francoforte, svariati match di Coppa Davis, e gli Internazionali d'Italia per molte edizioni. “ Nuovo Tennis” e la collaborazione con altra testate gli hanno offerto la possibilità di intervistare e conoscere in modo esclusivo molti dei più grandi tennisti della storia e parecchi campioni olimpionici azzurri. È tra gli autori di due fortunati libri: “ Un marciapiede per Torino” e “Il Tennis”.

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