Trovare articoli che raccontano la condizione sfortunata di certe persone non è difficile, su alcune riviste o anche su internet.
A volte si stenta a credere che sia tutto vero, che non ci siano dietro tentativi di impietosire allo scopo di raccogliere fondi.
Quel che segue, però, l’ho appena ricevuto direttamente da un amico e ho deciso di condividerlo perché mi ha colpito.
Alessandro è un ragazzo di Collegno, che conosco personalmente, che gode della mia stima e ammirazione da diversi anni; quando l’ho conosciuto, sebbene giovanissimo, già si dedicava a portare aiuto e conforto alle popolazioni in guerra attraverso un’associazione umanitaria. Torna a casa due o tre volte l’anno, e poi riprende la sua opera.
Ogni tanto, con Facebook, lo contatto, gli chiedo dov’è, come sta, e lui mi risponde raccontandomi le sue esperienze e emozioni. Per motivi di spazio sono costretto ad abbreviare la sua ultima mail, non aggiungo altro, abbiate la compiacenza di leggere. Grazie.
“Hammoudi ha quattro anni e due occhi grandi, leggermente scavati e scuri. È arrivato in Libano alcune settimane fa insieme alla sua famiglia, direttamente dalla Siria per salvarsi la vita, sfidando i bombardamenti e le violenze diffuse.
Ora vive in un alloggio povero, condiviso con altre tre famiglie nel quartiere di Abu Samra a Tripoli, una delle zone più marginalizzate e abbandonate della metropoli. Una dottoressa che conosciamo ci ha raccontato che l’hanno portato direttamente da lei, senza passare da altri intermediari, tanto la sua condizione è difficile.
Hammoudi ha una malattia ematologica diagnosticata in ritardo, che lo porta a perdere peso velocemente, troppo in fretta. Dovrebbe iniziare una terapia, parola quasi proibita in una nazione in cui tutto ha un prezzo, e ogni servizio è privatizzato. Quando i medici gli cercavano la vena per le analisi, non riuscivano neanche a individuarla, rischiando di fargli male nel prelievo. Hammoudi ha uno sguardo timido dietro gli occhi scuri, e come tutti i bambini vorrebbe solo giocare e stare insieme alla sua famiglia.
La Storia per lui ha scelto un altro destino, nato e cresciuto a Idlib, uno dei posti più rischiosi della Siria in questo momento, governata da gruppi misti di ribelli anti-Assad e jihadisti di Al Nusra. Una provincia oppressa da più parti e presa di mira ripetutamente con armi pesanti, con i militari turchi di Erdogan dal lato ovest, e l’esercito al comando del regime siriano dal lato est, i russi a martellare dal cielo con i loro aeroplani. In fondo, se muore un bambino che ha avuto la disgrazia di nascere sotto il governo nero di Al Qaeda chi mai potrà protestare?
Se i missili ufficialmente vengono lanciati per colpire il terrorismo, a chi importerebbe di queste vite civili?. Hammoudi è venuto al mondo lì, in un luogo in cui è molto difficile avere un’infanzia, il suono delle bombe che cadono ha scandito la sua nascita e il suo sviluppo, non ha conosciuto altro che guerra da quando è venuto al mondo.
Guerra e amore, dai genitori e dai suoi fratelli e sorelle, dai pochi amici, dai vicini di casa. Che strano binomio: guerra e amore, eppure esiste. Hammoudi nella sua inconsapevole esistenza ne è la prova compiuta; se i suoi cari non l’avessero amato, non avrebbero sfidato la morte per attraversare la linea del fronte e portarlo qui in Libano, in cura da una delle poche persone che hanno a cuore le vite di questi esseri umani, la dottoressa Ayala.
Sono una specie rara questo tipo di persone in contesti come questo, dove la pressione e la mancanza di risorse equamente distribuite spingono tutti gli uni contro gli altri.
Tutto farebbe pensare al peggio, ma Hammoudi non lo sa, gioca con il suo piccolo camion grigio e si sente protetto dal calore di chi gli vuole bene, ha sfidato il fuoco per lui, e lo ha aiutato ad attraversare l’inferno.
Forse è questo che significa amare una persona, essere disposti a passare tra le fiamme per qualcuno, ed essere amati ti rimane addosso, molto in profondità, inciso. Un marchio impresso negli sguardi timidi di questo bambino, che nei prossimi giorni inizierà la sua lotta. Non da solo.”
A presto