L’Italia era stata unita da circa un anno quando il Governo decise di cambiare le carte geografiche anche negli angoli più sperduti del paese!
Il primo e più grande cambiamento era avvento con l’unione quasi completa (mancavano ancora Triveneto e Lazio) di sette stati preunitari per cui la carta della penisola italiana non era più di diversi colori, come l’abito di Arlecchino, ma di un solo colore, che sarà poi il verdino utilizzato sugli atlanti dell’Istituto Geografico De Agostini di Novara.
Proprio l’unione di stati diversi aveva però creato un problema che subito aveva provocato vari disguidi sia all’amministrazione pubblica che ai privati cittadini: moltissimi comuni (e a quel tempo ne esistevano molti più di oggi) avevano lo stesso toponimo, Dappertutto c’erano dei Castelnuovo, Villanova, Casale, Borgo, Rocca, dei San Giovanni, Pietro, Martino, Angelo, Giorgio, Maria, ecc. per cui, per identificarli, come minimo, si doveva aggiungere il nome della provincia in cui si trovavano. Informazione che non tutti conoscevano a causa della bassa scolarizzazione e del diffusissimo analfabetismo della popolazione italiana di quell’epoca.
Ad esempio, se da Alessandria si spediva una lettera a Caselle senza altre indicazioni, si era certi che arrivasse nel comune con tal toponimo in provincia di Torino, o non andasse a finire in una delle altre Caselle nella provincia di Milano o addirittura in quella di Salerno?
Fu così che il Governo decise di sollecitare le amministrazioni comunali, quando interessate, ad aggiungere un identificativo, un ulteriore appellativo al proprio toponimo originario, al fine di evitare possibili, involontari intoppi amministrativi e burocratici. Verso la metà di luglio del 1862, i consigli comunali iniziarono a deliberare il termine col quale volevano fosse specificamente identificato il proprio comune. Qualcuno decise subito e in fretta, altri ci misero più tempo, probabilmente perché si erano accese forti discussioni per giungere a una scelta che accontentasse tutti.
Le denominazioni furono le più svariate e si riferirono, ad esempio, a un importante comune vicino (Torino e altri capoluoghi di provincia), a una regione geografica (Piemonte, Canavese, Monferrato), a un fiume (Po, Dora, Tanaro, Bormida), al santo protettore.
Il primo provvedimento legislativo ad autorizzare le variazioni fu un Regio Decreto dell’ottobre 1862 che riguardava alcuni comuni della provincia di Bologna.
Per il Piemonte, il primo R.D. fu emesso il successivo 4 dicembre per 45 comuni della provincia di Cuneo, poi il 14 dicembre un altro per 21 comuni della provincia di Novara (che al tempo comprendeva anche le attuali provincie di Vercelli, Biella e Verbano-Cusio-Ossola) e finalmente il 21 dicembre fu pubblicato il R.D. n. 1054 che interessò 46 comuni della provincia di Torino (che allora comprendeva anche la Valle d’Aosta dove però non vi furono variazioni, stante il fatto che i toponimi erano, e sono, in francese per cui già si distinguevano da tutti quelli in italiano). All’inizio del 1863 fu la volta di un R.D. che riguardò i comuni della provincia di Alessandria (che comprendeva anche l’attuale provincia di Asti).
Col citato R.D. n. 1054, ben 17 comuni scelsero come determinativo geografico “Canavese”: Baldissero, Campo (oggi fraz. di Castellamonte), Candia, Fiorano, Palazzo, Pavone, Perosa, Rivarolo, Romano, Ronco, Salerano, San Giorgio, San Giusto, San Martino, San Morizio (poi San Maurizio), San Ponso, Vico; altri si riferirono al capoluogo di circoscrizione: Borgone, Meana, Sant’Antonino “di Susa”; Albiano, Borgofranco “d’Ivrea”; altri a località vicine: Monastero di Lanzo, San Carlo di Ciriè (poi San Carlo Canavese); altri a corsi d’acqua: Campiglia Soana (oggi fraz. di Valparato Soana), Montaldo Dora, San Sebastiano da Po; Ceresole Reale ricordò le cacce reali dei Savoia; Chiusa San Michele la sovrastante Sacra di San Michele; Verrua Savoia, la gloriosa fortezza sabauda ivi presente; Buttigliera Alta, la sua posizione sulla pianura; San Colombano Belmonte, il santuario mariano situato nel suo territorio. Infine vi fu chi volle evidenziare la sua appartenenza all’area torinese definendosi “di Torino”: Baldissero, Camagna (oggi fraz. di Rivara), Mombello, Rivalta, Sant’Ambrogio, oppure aggiungendo l’aggettivo “Torinese”: Caselle, Castiglione, Cesana, Lanzo, Monasterolo (oggi fraz. di Cafasse), Piobesi, Revigliasco, San Mauro, Vallo.
I Reali Decreti sulle variazioni di denominazione continuarono a essere emessi fino a luglio del 1864 e in conclusione ne risultarono interessati ben 255 comuni del Piemonte, così suddivisi per le provincie di allora: 66 Torino, 51 Cuneo, 56 Novara, 82 Alessandria. Altri cambiamenti vi furono negli anni seguenti e praticamente fino a oggi, ma soprattutto tra il 1927 e il 1928 quando alcuni piccoli comuni furono aggregati ad altri più importanti; alcuni poi si disaggregarono alla fine della seconda guerra mondiale, altri cambiarono nome con varie motivazioni. In questi ultimi anni, in ciò favoriti da leggi che concedono forti sgravi fiscali, sempre più numerosi piccoli comuni si stanno fondendo, unendo nella nuova denominazione i nomi dei vecchi comuni, o conservando solo il nome del comune più grande, o assumendo toponimi di nuova fattura. In assoluta controtendenza, per quando riguarda questa fase storica, è la nascita di un nuovo comune, vedi Mappano.
A questo punto è il momento di chiarire in che cosa consiste il preannunciato “primato di Caselle”. Si tratta di un piccolo, ma essenziale, fatto storico per il Comune di Caselle, che emerge solo da una attenta lettura dei citati Regi Decreti del 1862 e del 1863. Ecco dunque la soluzione: si è detto che in quegli anni furono ben 255 i comuni piemontesi a variare il loro toponimo, ovvero il 18,6% dei 1426 comuni allora presenti in Piemonte (oggi sono poco più di 1200). Ebbene il primo consiglio comunale a deliberare la richiesta di cambio di denominazione, insieme a quello di Castello d’Annone (AT) fu proprio quello di Caselle, il 13 luglio 1862 per cui, col citato R.D. n. 1054 del 21 dicembre 1862, divenne per sempre “Torinese”. Ne consegue anche che Caselle fu il primo di 66 comuni della Provincia di Torino a richiedere la variazione.
Questo fatto è significativo per sottolineare l’efficienza e la prontezza del consiglio comunale a quel tempo operante, mentre era sindaco il cav. Giovanni Paolo Laclaire, proprietario del Lanificio Laclaire (poi Bona) e benefattore di Caselle.
La notizia che Caselle sia stato il primo comune a richiedere di essere denominato “Torinese” non è sminuita dal fatto che Caselle non fu il primo comune ad avere tale determinazione geografica in quanto essa già da tempo seguiva il toponimo di Settimo (per distinguerlo dai comuni di Settimo Vittone e Settimo Rottaro dalle parti di Ivrea).