Quand’ero bambino il problema non sussisteva. Chi ha la mia età sicuramente lo sa. Non sussisteva perché se ne produceva una quantità nettamente inferiore, e quel poco trovava un impiego senza uscire nemmeno in strada. L’organico andava ai polli e conigli, la carta nella stufa, il vetro era riutilizzato; e la plastica? Era quasi inesistente e quella poca era composta da vaschette che finivano di trovare, anch’esse, un utilizzo in casa. Poi grazie soprattutto ai supermercati il problema ha assunto dimensioni stratosferiche, inquinando terra, aria e acqua.
Il problema è esploso grossomodo da un quarto di secolo, molte città italiane, soprattutto le metropoli, non l’hanno affatto risolto, o lo hanno fatto scegliendo i metodi peggiori: discariche e incenerimento. La Provincia di Torino, anziché sensibilizzare la popolazione a produrne il meno possibile, disincentivare la produzione degli imballi voluminosi e non riciclabili, ha scelto una soluzione, molto costosa, che ha solo il pregio di togliere dalla vista la disgustosa immagine della discarica, migliaia di gabbiani, e terribili miasmi percepiti a chilometri di distanza.
L’inceneritore, invece, fa bella mostra di se, azzurro come il cielo, visibile percorrendo la tangenziale, nei pressi del cimitero Sud. E’ stata venduta come l’unica soluzione intelligente, che non solo “fa sparire” gli oggetti resi inservibili, ma addirittura li può trasformare in energia, di cui abbiamo sempre più bisogno, visto che facciamo a gara a chi consuma di più. Hanno persino pensato di battezzarlo; l’hanno chiamato “termovalorizzatore”, che bel parolone! Dicono che valorizzerebbe i rifiuti trasformandoli in energia elettrica o calore; cosa vogliamo di più! Perché dovremmo preoccuparci anche di questo? In fondo paghiamo, anche parecchio, un servizio che non è affatto eccellente.
Non possiamo fare a meno di produrne sempre di più, ci hanno insegnato che più si consuma e più si è felici, ci hanno spinti a prendere a modello i benestanti, che dispongono di grandi ville, barche, auto di lusso e consumano ciascuno quanto un reggimento di soldati; chi glielo dice a questi di ridurre i consumi? Tocca sempre a noi? E poi ci verrebbero a dire che né soffrirebbe l’economia di mercato.
Sappiamo che gli ambientalisti hanno sempre detto che questi impianti d’incenerimento non risolvevano il problema, secondo loro nulla si crea e nulla si distrugge, e che i prodotti residui della combustione sono molto pericolosi per la salute. Questi menagrami vedono pericoli dappertutto, vogliono renderci la vita difficile; insomma con tutti i problemi personali che abbiamo, quello dei rifiuti se lo risolvano i Comuni, le Province, le Regioni, il Ministero. Che convenga bruciarli l’avrebbe detto anche un ministro “Verde”; ricordate Edo Ronchi e quel suo famoso decreto del ’97, che ha creato tante polemiche? Sarà mica colpa di costui se sono aumentate tantissimo le bollette dei rifiuti? Questo pensiero, corrisponde, purtroppo, ad opinione molto comune; sfido chiunque a smentirmi.
Per dovere d’informazione il famoso DDL 22/97, (decreto Ronchi), stabiliva i seguenti obiettivi: prima di tutto proponeva di diminuire la quantità dei rifiuti attraverso la modifica dei cicli produttivi, prolungando la vita utile dei manufatti, degli oggetti e dei macchinari; poi prevedeva il reimpiego delle merci usate, per esempio la riutilizzazione degli imballaggi voluminosi. Per quanto riguarda lo smaltimento, la suddetta legge prevedeva prioritariamente il recupero dei materiali attraverso la raccolta differenziata, consentendo la trasformazione con processi di riciclo in nuove merci, ottenendo minor inquinamento, risparmiando energia e l’importazione di materie prime. Inoltre, proponeva che negli acquisti e negli appalti della pubblica amministrazione, fossero favorite merci ottenute dal riciclo dei materiali ricavati dai rifiuti.
Solo in ultima analisi, e dopo aver raggiunto determinati obiettivi era prevista l’utilizzazione dei rifiuti per produrre energia. Tutto quello che non era compreso nelle precedenti azioni era previsto venisse destinato a discariche, appositamente progettate, in modo da non contaminare le acque sotterranee e l’aria circostante e da recuperare il metano che vi si produce. Gli obiettivi principali offrivano una grande occasione per una importante svolta industriale e tecnologica, così grande da stimolare la nascita di nuove imprese e conseguenti nuovi posti di lavoro. Tutto ciò avrebbe comportato maggior impegno delle popolazioni e delle amministrazioni attraverso efficienti sistemi di raccolta, cose non facili e anche costose, ma assolutamente indispensabili.
Il decreto prevedeva inoltre anche il passaggio da tassa a tariffa tenendo conto dell’utenza e non solo della superficie occupata. Dopo vent’anni, tutto quanto è stato molto disatteso; a Torino e cintura siamo ben lontani dalle quote previste di raccolta differenziata. La pubblica amministrazione ha pensato fosse meglio scegliere la via più facile che, anche in questo caso, non sempre è la migliore.