La sorte della Embraco di Riva di Chieri ha tenuto banco per molti mesi fino a ridosso delle elezioni politiche che hanno sancito la disfatta del Pd. Perché parlarne in questa piccola rubrica? Perché è un esempio significativo di come il lavoro sia oramai sfuggente: uno stabilimento che produce, in attivo, pieno di ordini, ma che si decide di chiudere perché produrre gli stessi oggetti altrove costa meno, decisamente di meno e, in questo caso, con la stessa qualità e professionalità.
Chi è Embraco?
E’ una multinazionale brasiliana facente parte del colosso americano Whirlpool. Specializzata nell’ambito della refrigerazione, a Riva di Chieri fa produrre compressori: compressori che ora vorrebbe far produrre in una altro suo stabilimento in Slovacchia, dove il costo del lavoro è nettamente inferiore.
Da qui la decisione di chiudere del tutto lo stabilimento italiano, lasciando a casa 537 lavoratori nel giro di pochi mesi. Uno stabilimento produttivo, come già scritto, ma che vende un prodotto che un sindacalista torinese ha definito “maturo”, cioè privo di sufficiente innovazione tecnologica per poter stare sul mercato aggressivo del giorno d’oggi. Quindi, tutto sommato, la Embraco farebbe quasi bene a spostare la produzione, peccato che lo fa sulla pelle di 537 lavoratori specializzati.
Ma perché Embraco non propone una produzione innovativa?
Fortunatamente, con un colpo di coda, l’ormai ex ministro per lo Sviluppo Economico Calenda si impunta, affiancandosi alla Regione Piemonte nella difesa dei posti di lavoro: ma per qualcuno il comportamento “rude” del ministro nei confronti dei rappresentanti italiani della Embraco è eccessivo ed irrituale (mah!).
Fatto sta che il 2 marzo scorso proprio al MISE si raggiunge un accordo che congela i licenziamenti, che sarebbero dovuti partire a fine marzo, fino a fine 2018, garantendo ai dipendenti lo stipendio.
Intanto, tutte le parti si impegneranno per una reindustrializzazzione dello stabilimento.
Quindi tutto ok per ora? Purtroppo no, perché la firma dell’accordo, che doveva ormai essere una formalità, tra Regione e azienda, il 26 marzo non c’è stata e gli operai sono pronti a scendere di nuovo sul piede di guerra.
Altro caso piemontese significativo è quello di Italia Online. L’azienda è fiorente, un anno e mezzo fa, dopo la fusione con Seat-Pagine Gialle, è sbarcata in Borsa, ma ora si è deciso di ottimizzare i costi chiudendo la sede torinese.
Ciò vuol dire oltre 200 dipendenti a spasso (circa 400 a livello nazionale) ed il trasferimento “forzato” di altrettanti impiegati ad Assago, nel Milanese.
Anche qui, incontro al MISE con il ministro Calenda ed il governatore Chiamparino e si riesce a “congelare” il piano per qualche settimana.
Cosa fa Italia Online?
E’ la prima internet company italiana per numero di utenti unici, in media, al giorno ed è attiva in tutta la filiera delle soluzioni di marketing digitale e comunicazione online. Tradotto in linguaggio semplice: sono di Italia Online, i portali Libero e Virgilio, i servizi Pagine Gialle, Pagine Bianche e Tuttocittà.
Ciliegina sulla torta di questi giorni? La crisi, questa sì per davvero, del Gruppo Trony (colpa probabilmente di Amazon & co.?). Per esempio è attualmente chiuso il punto vendita di Settimo Torinese (Settimo Cielo). Ma bisogna fare chiarezza: sarebbe in difficoltà DPS Group che controlla diversi punti vendita in alcune regioni, mentre non sarebbe in crisi GRE, la società di cui fa parte DPS (ma non solo).
Mah! Fatto sta che non tutti i Trony hanno le serrande abbassate (anzi, si parla di nuove aperture nel corso del 2018 in Italia): speriamo in bene. Sarà pure in moto la ripresa, ma la crisi non sembra passata del tutto e ciò che c’era prima del 2008 credo che dobbiamo scordarcelo.