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Comune di Caselle Torinese
mercoledì, Dicembre 4, 2024

    Miracolo a Caselle

    Cronache Marziane

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    Per mantenere vivo l’interesse nella moto, o meglio per non sentire questi maledetti anni che aumentano più veloci delle auto in Via Circonvallazione, nel periodo invernale mi incontro con gli amici motociclisti.
    Per cenare in locali sempre diversi, nei quali rantolare subito davanti ad una bottiglia di Brunello di Montalcino farcita di racconti sui nostri viaggi e sulle avventure con le donne andate a finire sempre male.
    Non siamo in molti, ma sempre gli stessi fin dai primi viaggi in Spagna negli anni 80, dimostrazione che le vere amicizie durano nel tempo, indifferenti alle avversità della vita (leggi matrimonio, figli e mutuo casa).

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    Quando un po’ di tempo fa mi chiamò lo Scuro, grande compagno di viaggi in moto e di partite a biliardo, rimasi come sempre molto scettico: “Ci vediamo a Caselle, hanno aperto un delizioso localino”.
    A Caselle? Oddio, a parte l’unico locale che preferisco in assoluto che è la mitica piola della “Butala”, non mi viene in mente niente che mi possa attirare. Anzi, l’ultima esperienza è stata tragica.
    Andai con amici in una blasonata pizzeria del paese, ovviamente con prenotazione, dato che eravamo in dieci.
    Ma nonostante la nostra puntualità, ci fecero aspettare in mezzo alla sala per circa 20 minuti, perché il tavolo “doveva liberarsi”. Io sarei andato via subito, ma gli altri preferirono rimanere in piedi, ammucchiati come sardine, in attesa di venire considerati. Questa è la dimostrazione che anche gli incapaci possono aprire dei locali. Ovviamente questa pizzeria-ferramenta-karaoke è stata cancellata dalla mia agenda.
    Comunque. L’appuntamento era fissato per le 20.00. Al mio arrivo, questa volta non ho creduto ai miei occhi.
    Eccomi catapultato in Provenza, regione che mi ha sempre appassionato per le belle strade da percorrere in moto, per la natura, per i paesi arroccati sulle colline aride (Bonnieux, Les Baux de Provence), per le cicale e per i campi di lavanda (la zona di Valensole, uno spettacolo a luglio!): un locale intimo e romantico su due piani, in stile brasserie francese, ci attendeva. Il piano superiore, molto bello, con soffitto in travi a vista.

     



     

    Ma la cosa migliore è il menù: specialità francesi come raclette, crepes o galette bretoni, da affiancare con il sidro originale, una buona birra artigianale o un ottimo vino, scegliendolo dalla nutrita lista.

    Finalmente non sono più costretto ad andare fino a Briancon per gustare la raclette, dove sia gli affettati che alcuni vini lasciano comunque molto a desiderare. E, in più,  quasi 300 km per cenare sono un po’ troppi.
    Se poi a tutto questo sommiamo la gentilezza e la velocità del personale, il risultato è più che vincente.
    Questo locale è nato dalla volontà e dalla capacità dei gestori di sapersi rimettere in discussione, anche in un campo completamente diverso: prima era uno studio fotografico! Infatti mi chiedevo sospettoso quale aspetto avessero le crepes cucinate da un ex-fotografo; probabilmente la pasta era il rullino, dove all’interno il prosciutto cotto era arrotolato come la pellicola. Niente di tutto questo: abbiamo cenato benissimo.
    Dato che ci siamo subito sentiti a nostro agio, gustando dei formaggi francesi abbinati a sfiziose marmellate, sono partiti i racconti più o meno realistici dei nostri pellegrinaggi in Spagna, che ai tempi era la più gettonata.
    Si viaggiava con moto essenziali, come Yamaha Tenerè, XT 550, XT 600 o Yamaha Virago, e molti tratti di strada venivano percorsi (splendidamente in piena libertà) senza l’odiato casco, ormai obbligatorio.
    Se l’acquazzone ci aspettava, non ci vestivamo da astronauti come fanno oggi: se andava bene avevamo il k-way e due borse di plastica sulle scarpe tenute dall’elastico. Se andava male, beh ci asciugavamo con il sole ed il vento che spuntavano fuori dopo il temporale. E il nostro hotel con centro benessere era…la tenda.
    Per orientarci, seguivamo la cartina o qualche fumoso cassone del circo (camper) con targa italiana.

    Recentemente sono stato ad un Open Day: spaventoso. Le moto esposte non erano più moto, ma astronavi comandate da un computer, completamente elettroniche.
    Tre mappature diverse in funzione del tipo di strada e di clima, computer di bordo che dialoga con il casco e con il telefonino, sistemi anti slittamento, ABS, sistema per partire in salita, conta km con display colorati, navigatore di ultima generazione, indicatore di pressione delle gomme, catetere digitale, eccetera.
    Mi domando dove sia finito il puro divertimento di andare in moto.
    Dopo qualche boccale di birra i discorsi si sono spostati sulle varie amicizie femminili che avevamo in Spagna, preferendo però ricordarle com’erano 30 anni fa. Immaginandole adesso, saranno diventate dei boiler con 5 o 6 figli a testa, con marito in canottiera e moquette sul torace che, grattandosi le parti molli, stravaccato sul divano con una lattina di birra, incita i calciatori del Real Madrid urlando e mettendo in pratica la cultura del “rutto libero”. Meglio dimenticare. E dimenticarLe. Teniamoci strette le nostre compagne.
    “Se qualcosa può andar male lo farà” recita la mitica Legge di Murphy: infatti, intorno alla metà della nostra cenetta riservata, nonostante avessimo scelto il venerdì per evitare la plebaglia, è arrivata un’orda di genitori urlanti e chiassosi, naturalmente con rispettivi bambini urlanti e chiassosi,  di quelli che pensano di essere gli unici umani esistenti sul pianeta, comportandosi di conseguenza. Eh…ma sono solo bambini…
    I nostri discorsi a voce bassa sono stati seppelliti da questa tavolata, che non c’entra niente con un locale del genere ma sarebbe l’ideale alla Sagra della Porchetta o al Festival dell’Unità.

    Naturalmente i pargoli hanno iniziato a girare tra i tavoli e a rincorrersi, qualcuno poi a frignare sprigionando dei decibel che non si trovano nemmeno ad un concerto degli AC/DC, senza che i genitori facessero qualcosa. Anzi, si sono impegnati ad urlare pure loro. Ma come mai quando noi eravamo bambini le poche volte che i genitori ci portavano a cena dovevamo stare zitti e composti sulla sedia, altrimenti erano schiaffoni? Non c’era nemmeno Telefono Azzurro per salvarsi. Forse tutto questo si chiamava educazione.
    Pensare che a due passi c’è lo stradone molto trafficato, i bambini avrebbero potuto andarci a giocare.

    Questo localino meriterebbe una clientela più ricercata, nel senso che, dato lo stampo romantico-intimo, sarebbe l’ideale per delle coppiette o per dei piccoli gruppi di amici, che non si soffermino meramente solo al “mangiare” ma che si guardino anche intorno, apprezzandone l’arredamento, i pregevoli lavori di ristrutturazione/ammodernamento e le luci soffuse.

    Sarebbe perfetto su una scogliera in Normandia. O in un faro nel Mare del Nord. Ma sto sognando. Comunque, e finalmente un posto diverso, non la solita pizzeria o il solito ristorante. Lunga vita alla brasserie!
    Sicuramente io non potrei mai aprire un locale, perché applicherei una rigida selezione all’ingresso: togliendo la gente maleducata, i bambini, i tamarri eccetera non rimarrebbe nessuno, fallirei nel giro di una settimana.

    E così, anche se la magia è stata interrotta, abbiamo finito la cena in bellezza con delle crepes al burro che mi faranno cestinare le ultime analisi del colesterolo (come in Bretagna, le galette sono salate, mentre le crepes sono dolci), immaginandoci di prendere le moto fuori per continuare il nostro viaggio verso mete lontane e sconosciute, per poi perdersi nel nulla (di solito intorno a Borgaro…).
    Mentre esco, sicuro di ritornarci magari prenotando tutto il locale per non avere dei rompimaroni intorno, vedo un coatto nostrano che sgomma allo stop: l’incantesimo è finito, sono ritornato sulla terra.

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