Nell’estate 2014 – sembra impossibile che siano già passati quattro anni – vi furono alcuni dissidi, di cui riferii in questa rubrica, nella leadership del Teatro Regio: il sovrintendente Walter Vergano e il direttore musicale Gianandrea Noseda arrivarono ai ferri corti, e lo scontro fu ricomposto grazie all’intermediazione dell’allora sindaco Piero Fassino e alla nomina di una figura di compromesso (Gaston Fournier-Facio) quale direttore artistico.
Guidato da tale triade, il teatro ha proseguito il suo percorso di perfezionamento artistico e di conquista della ribalta operistica internazionale, e sembrava inequivocabilmente proiettato su questa linea almeno fino all’estate 2019, naturale scadenza del quarto mandato di Vergnano, al quale sono legati tutti gli altri incarichi. Poi, a fine marzo, hanno iniziato a circolare voci secondo cui Vergnano sarebbe stato intenzionato ad abbandonare la guida del teatro, addirittura in anticipo rispetto alla fine del mandato, per ragioni personali riconducibili a una certa stanchezza dopo 19 anni da sovrintendente (si può considerare un record) e a problemi di salute occorsigli nei mesi scorsi.
La notizia è stata dapprima smentita, poi, nell’arco di alcune settimane, in una convulsa girandola di annunci, riunioni, dichiarazioni, dimissioni, rettifiche, smentite, candidature (poche, a dire il vero), che sarebbe lungo e complesso ricostruire nei dettagli, si è arrivati alla nomina del nuovo sovrintendente nella persona di William Graziosi, indicato dal consiglio d’indirizzo il 24 aprile e confermato il 2 maggio dal ministro Franceschini (la ratifica ministeriale è più o meno un atto dovuto, tanto che può essere firmato da un governo dimissionario).
Al momento delle dimissioni, Vergnano ha avallato la versione delle “ragioni personali”, salvo in seguito precisare che queste ragioni non erano estranee al suo ruolo: era infatti venuto a sapere di un buco di bilancio, di cui era all’oscuro, che probabilmente farà chiudere i conti del 2017 in rosso; per questo il progetto, già coltivato, di lasciare la carica è stato repentinamente anticipato. Graziosi proviene da Jesi, dove – dopo un periodo di attività come manager aziendale – ha occupato per anni ruoli dirigenziali nella Fondazione Pergolesi Spontini; è inoltre consulente di vari teatri stranieri, tra i quali spicca l’opera di Astana (Kazakistan), di cui è stato vice sovrintendente e direttore artistico nel 2013-2014. Insomma, non è l’ultimo arrivato nel settore, ma non è nemmeno una figura di spicco che tutti conoscano per chiara fama, e sulla sua nomina il consiglio d’indirizzo del Regio si è spaccato: quattro contro tre, con un consigliere assentatosi al momento del voto e due che hanno votato contro e si sono dimessi.
Trovare qualche nome di altissimo profilo pronto a insediarsi in quattro e quattr’otto non sarebbe stato certamente facile (all’estero, con maggiore lungimiranza, gli avvicendamenti ai vertici dei teatri d’opera sono programmati con anni di anticipo), ma ciò che ha irritato alcuni componenti del consiglio e diverse persone nel mondo delle istituzioni culturali è il modo un po’ sbrigativo con cui l’Amministrazione Comunale attuale ha voluto chiudere la partita imponendo il proprio candidato.
In assenza di una conoscenza diretta della persona, non intendo esprimere alcun giudizio su Graziosi, le cui capacità valuteremo a posteriori dal suo operato. Quello che è certo, è che si trova a lavorare in una situazione tutt’altro che facile, con il consiglio d’indirizzo diviso in parte dimissionario e un probabile bilancio rosso da cui partire. E anche dal punto di vista artistico, in teatro si deve ripartire da zero, non solo perché le cariche di direttore artistico e direttore musicale sono decadute insieme a Vergnano: Gianandrea Noseda il 26 aprile ha fatto sapere che non intende proseguire la sua collaborazione con il Regio, in disappunto con le decisioni del consiglio, soprattutto con quella di cancellare la tournée in America programmata nel 2019 (e annullata perché mancavano sufficienti coperture finanziarie).
Un direttore musicale di primo piano che se va sbattendo la porta dopo undici anni lascia un vuoto difficilmente colmabile tra il pubblico e tra i complessi artistici che ha formato. A ciò si aggiunga che, pochi mesi fa, ha lasciato il suo incarico anche il direttore del Coro, Claudio Fenoglio, sotto la cui guida la formazione ha raggiunto livelli di eccellenza universalmente riconosciuti.
Insomma, dopo un lungo periodo di crescita, il teatro d’opera torinese si ritrova, decapitato, a dover voltare completamente pagina nell’arco di un mese, con inevitabili tensioni interne, un bilancio difficile e il cartellone dell’anno venturo verosimilmente da risistemare.
Sembra il paesaggio dopo una violenta tempesta. Può essere un’occasione per rinnovarsi e partire verso nuove mete; ma è inevitabile il rischio che il riassestamento comporti, rispetto al recente passato, un arretramento che sarebbe doloroso per il prestigio dell’istituzione e per le orecchie dei melomani torinesi. In bocca al lupo al Teatro Regio per il suo futuro!