“Viaggiando alla scoperta dei paesi troverai il continente in te stesso”
proverbio indiano
Non potevo non andarci con Anja Wenger. Dopo esserci stato nel 1980 con Secondo Cravero ed Enrico Ansaldi ed esserci ritornato con i miei fratelli Enrico e Stefano e mia cognata Sandra nel 1991, ecco che ho trovato l’occasione per rivedere questi luoghi magici.
Grand Canyon, la meraviglia dell’Arizona
Non si rimane insensibili alla vista del Grand Canyon, non è umanamente possibile. La sua maestosa bellezza, la sua grandiosità trasmettono ai milioni di visitatori che lo ammirano ogni anno delle sensazioni uniche.
Il Grand Canyon è un tratto del fiume Colorado, che nel corso dei millenni ha prima contribuito con i sui detriti a costruire l’immenso altopiano chiamato Colorado Plateau, che si estende su ben 5 stati americani: Nevada, Utah, Arizona, New Mexico e Colorado. Penetrando poi nella roccia friabile per oltre 1 chilometro di profondità, il fiume ha creato questa gigantesca spaccatura larga in media 16 chilometri ma lunga oltre 400. Non è l’unico canyon del Colorado Plateau, ve ne sono moltissimi altri, ma è l’unico a meritarsi l’appellativo di “Grand”. La quasi totalità di questa vastissima superficie è protetta come National Park.
Il Canyon divide di fatto il parco in due metà: il North Rim e il South Rim, in pratica il bordo nord e il bordo sud. Nonostante la distanza in linea d’aria fra i due bordi sia minima, in quanto corrisponde alla larghezza del canyon, non esistono ovviamente vie di comunicazione diretta: a titolo di esempio se si vuole raggiungere il Centro Visitatori del North Rim partendo da quello del South Rim bisogna mettere in conto ben 350 chilometri di strada. In America, i concetti di spazio e distanza sono differenti da come li intendiamo noi Europei, abituati a una terra in cui tutto è minuscolo e proporzionato: in America tutto è sconfinato.
Il South Rim, ubicato in Arizona, è quello che si raggiunge più facilmente ed è aperto tutto l’anno. La città più vicina è Williams, da cui si impiegano meno di 2 ore per il Visitor Center ed è raggiungibile anche dall’aeroporto del Grand Canyon, con piccoli aerei da Las Vegas, o in treno da Williams a mezzo di carrozze panoramiche per quali conviene prenotare per tempo.
Il North Rim, invece, è chiuso durante l’inverno per via delle condizioni climatiche, e si raggiunge solo con l’automobile.
La visita più semplice e meno impegnativa che si può organizzare per apprezzare la bellezza del luogo è quella dal South Rim. Percorrere con la propria auto i circa 40 chilometri che separano il Navajo Point dal Visitor Center, approfittando dei tantissimi punti panoramici che si incontrano per strada, consente di godere di panorami che si perdono nell’immensità dell’infinito.
Una strada panoramica che va percorsa lentamente, per godersi fino in fondo uno degli spettacoli più belli che la natura offre. Poco dopo il Navajo Point si può salire sulla Desert View Watchtower, che offre la vista finale del canyon mentre il fiume imbocca la direttrice nord, e del Painted Desert.
Chi preferisce un’esperienza più personale deve invece puntare sul North Rim, alto quasi 3000 metri, mettendo in conto il maggior percorso necessario per raggiungerlo a prescindere da dove ci si trovi. Una volta lasciata la macchina si potrà raggiungere facilmente il Bright Angel Point, Angelo Splendente, e osservare la vastità del Canyon.
MONUMENT VALLEY
La Monument Valley, più che un luogo da visitare, è un luogo da vivere alla ricerca della magia che esso trasmette.
La strada statale US 163 è una delle tante strade panoramiche diffuse sul territorio americano, ma ha una particolarità: a detta della maggioranza la sua trentina di chilometri sono semplicemente il meglio che gli Stati Uniti possono offrire in termini di panorami. Si parte da Kayenta e si percorre verso nord, lentamente e con i finestrini abbassati, perché i colori intensi di questa terra meravigliosa non meritano di essere visti solo attraverso il vetro di un’auto. L’azzurro del cielo fa da sfondo ai due colori dominanti, il rosso della terra e il giallo degli arbusti cotti al sole. Nel mezzo solo il lungo serpentone di asfalto grigio.
Va percorsa lentamente, la US 163, perché ogni metro offe una veduta diversa soprattutto quando dopo pochi chilometri si entra nella Monument Valley e la vista si allarga all’infinito, con le Buttes, collinette, formatesi dalla corrosione del vento e dell’acqua. Infine si giunge al posto di controllo della riserva, si paga l’ingresso (non essendo Parco Nazionale, i soldi vanno direttamente ai Navajo) e dopo poche centinaia di metri si parcheggia al centro visitatori.
Di fronte all’ingresso si trova una terrazza da cui si gode una delle viste più entusiasmanti del luogo. Le 3 buttes più famose: Left Mitten, Right Mitten e Merrick Butte sono lì davanti.
Esiste una strada fortemente dissestata che attraversa le buttes. Formalmente è aperta a tutte le auto a patto di non superare la velocità di 5 miglia orarie. In alternativa ci si può rivolgere alle guide Navajo e saranno loro a guidarvi sul percorso per mostrarvi le vedute più belle, fra cui il celebre John Ford’s point, la prospettiva preferita del grande regista, e a portarvi sotto le tantissime buttes che sorgono nella valle, per ammirare le imponenti pareti verticali.
OATMAN
Mentre la mitica Route 66 sale nelle Black Mountains, i guidatori percorreranno decine di chilometri senza che vi siano segni di vita, fino a quando non verranno fermati dai burros, asinelli selvaggi. Se ti trovi in un autentico insediamento minerario del selvaggio West con un asino sul tuo cammino, congratulazioni: sei arrivato nella città fantasma di Oatman. La cittadina prende il nome da Olive Oatman, una giovane ragazza che viaggiava verso ovest con un gruppo di Santi degli Ultimi Giorni per stabilire una colonia mormone in California. Lungo la strada, nel 1850, fu rapita dalla tribù Yavapai, dove fu tenuta prigioniera per cinque anni fino a essere liberata nelle vicinanze della località di Oatman nel 1855. Solo pochi anni dopo il cercatore Johnny Moss trovò l’oro e da allora la sua popolazione si è moltiplicata. Questo boom durò fino al 1941, quando gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale e ordinarono a tutti i minatori di smettere di estrarre l’oro e di scavare minerali per l’esercito. Dopo il boom delle miniere la gente di Oatman ha dovuto trovare un nuovo modo di rilanciare il luogo, e lo ha fatto con il turismo a tema Route 66. Oatman non avrebbe potuto essere un posto migliore, con i suoi edifici Old Western della fine del 1800 e la sua popolazione di burros, discendenti da quelli dei cercatori d’oro. Al giorno d’oggi, i visitatori possono accarezzare gli asinelli, ammirare spettacoli di auto d’epoca e assistere alle rievocazioni di sparatorie quotidiane nelle strade, visitare l’Oatman Hotel dove si trova la suite per la luna di miele di Clarke Gable e Carole Lombard dopo il loro matrimonio nel 1939 a Kingman. L’hotel è anche la casa di “Oatie the Ghost”, il fantasma di William Ray Flour, un minatore irlandese morto nell’hotel nel 1930 dopo aver bevuto troppo whisky.