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    Piazza San Carlo, dodici mesi dopo

    3 giugno 2017. Un anno fa…

    Circa 30 mila persone si radunano in Piazza San Carlo, il salotto di Torino, per assistere alla proiezione su maxischermo della partita tra Juventus e Real Madrid, finale di Uefa Champions League, la seconda in tre anni per i giocatori del mister Max Allegri. Ancora una volta però la Juve perderà la partita decisiva e “la coppa dalle grandi orecchie” continua a sembrare stregata per la società bianconera…

    Purtroppo però, dal “lutto” sportivo si è passati quella maledetta sera ad un lutto vero. Verso le 22,15 la Juventus sta perdendo per 3-1 e la disfatta sembra ormai certa, ma accade qualcosa di strano: improvvisamente la gente assiepata in piazza comincia a correre verso una direzione, come un’unica onda, ed è il panico ed il terrore. Alla fine di questo incubo e dopo una notte allucinante, si conteranno oltre 1500 feriti e, purtroppo, una donna deceduta: si chiamava Erika Pioletti, aveva 38 anni e muore dopo 12 giorni di agonia.

    Cos’è successo? Le ipotesi si rincorrono, subito si pensa ad un attacco terroristico, allo scherzo idiota di qualcuno, di ragazzi con zainetti, qualcuno afferma di essere stato colpito da spray urticante… Da subito emergono però le insufficienze e le lacune organizzative: con una migliore organizzazione, si sarebbe potuto evitare il peggio e, chissà, magari la perdita della vita della donna.

    E’ emersa subito la profonda impreparazione e disorganizzazione di chi doveva essere pratico nel gestire questi eventi: d’altronde due anni prima si era già organizzato lo stesso evento, ma in maniera diversa. Solo in aprile la Procura della Repubblica di Torino, grazie ad intercettazioni legate ad altri indagini, avrebbe scoperto la vera ragione della tragedia: vengono arrestati un gruppetto di quattro giovani magrebini, “specializzati” in rapine durante questi eventi affollati che avrebbero spruzzato proprio dello spray al peperoncino per creare un diversivo che gli permettesse di borseggiare tranquillamente i colpiti; invece si scatenò quest’ondata di panico che ha travolto tutto e tutti. Dieci le persone fermate per questo tipo di rapine, quattro erano sicuramente in piazza la sera del 3 giugno, due avrebbero confessato.

    Scoperta la causa scatenante del caos, però l’indagine della Procura non si è affatto fermata: rimane aperta l’inchiesta, forse persino più grave, sugli organizzatori dell’evento. Un evento organizzato in maniera frettolosa, approssimativa, da persone che invece avrebbero dovuto prevedere il minimo imprevisto e che erano in grado di farlo, avendo già organizzato eventi simili.

    Sempre in aprile si è chiusa la suddetta inchiesta, che precede la richiesta di rinvio a giudizio di 15 dei 21 iniziali indagati. Eccellenti le persone coinvolte: il sindaco Appendino, il suo ex capo di gabinetto Giordana, l’ex questore Sanna, il suo ex capo di gabinetto Mollo, i dirigenti di Turismo Torino (l’ente comunale che ha materialmente organizzato la serata) Montagnese e Bessone, l’architetto Bertoletti che allestì la piazza. Archiviata la posizione del prefetto Saccone.

    Pesanti le accuse: omicidio, lesioni e disastro colposi. Una consulenza tecnica disposta dalla Procura avrebbe infatti stabilito che intorno all’unico maxischermo (due anni fa ne erano stati messi due proprio per dividere la concentrazione della folla) vi erano poche vie di fuga e troppe transenne ed ostacoli: al massimo sarebbero potute entrare 20 mila persone.

    Ma le domande che sorgono spontanee sono ancora molte…

    Ma perché ci si ostina a organizzare eventi affollati in una piazza “chiusa” (e “fragile”) come Piazza San Carlo?

    Non sarebbe meglio farlo in piazze più “aperte” come Piazza Castello o Piazza Vittorio?

    La gente sarebbe poi disposta, sicuramente, anche a pagare uno o due euro di biglietto pur di avere un evento gestito meglio… A Madrid hanno aperto lo stadio Bernabeu per assistere alla partita, perché a Torino no?

    Perché dal parcheggio sotterraneo della piazza continuavano a spuntare carrelli spinti da venditori abusivi pieni di bottiglie di vetro di birra, mentre i negozianti, giustamente, non potevano vendere nulla in bottiglia?

    Dov’erano i controlli?

    Gli interrogativi rimangono ancora tanti su quella sera, ma intanto una giovane donna di 38 anni non c’è più: doveva essere una serata di festa, di sport, dove una squadra avrebbe certamente perso, ma non doveva perdere una città intera, colpita nella sua credibilità dall’approssimazione e dalla superficialità di chi dovrebbe gestirla e tutelarla.

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