Una persona non dovrebbe mai trovarsi di fronte a quest’assurda scelta, ma purtroppo succede ancora.
In molte aziende, soprattutto le piccole, purtroppo, non ci sono ancora oggi le dovute condizioni di sicurezza e di protezione. A volte per “ignoranza” dei lavoratori stessi, ma spesso per interesse dei datori di lavoro, le precauzioni a rischio d’infortuni e conseguenze gravi per la salute sono assenti.
Nella nostra zona è il caso di ricordare l’IPCA di Ciriè (chiamata non a caso la fabbrica della morte), l’Amiantifera di Balangero, e per una causa diversa la Thyssenkrupp di Torino.
Tre realtà produttive ormai, per fortuna, fuori servizio. Tralasciando Paesi in cui, la vita umana è considerata meno di nulla, e pensando al nostro, tutti dovrebbero sapere quel che succede a Taranto, una delle città più inquinate d’Europa, ove ha sede l’ILVA. Si tratta del più grande polo siderurgico italiano, che sta creando da sempre seri problemi di salute, non solo ai lavoratori ma anche ai residenti. Per quanto tempo si è fatto finta di nulla? I responsabili dell’azienda in primis, il sindacato, e poi tutti coloro che avrebbe dovuto verificare e denunciare.
Intanto là, all’interno del sito, si possono ancora facilmente notare numerosi mucchi di materiale chiamate “colline ecologiche” ma di ecologico hanno ben poco. Ingannano l’occhio, non la pelle, di chi vive a Tamburi, il quartiere a ridosso delle ciminiere dell’acciaieria. Per decenni, nuvole di polvere, hanno steso un tappeto colorato sulle strade, sui giardini, sui balconi e nei polmoni. Per decenni, in quel quartiere, si sono stesi i panni solo quando non soffiava la tramontana, altrimenti bisognava rilavarli. Per decenni, si è accettato di convivere con un vulcano artificiale che aveva preso in ostaggio Taranto, offrendo 13 mila posti di lavoro in cambio della salute.
Quando si è cominciato a misurare la diossina, si è scoperto che le quantità in gioco erano decine di volte superiori ai valori di riferimento indicati dall’Unione Europea.
In un quarto di secolo, i morti per neoplasie a Taranto sono più che raddoppiati, collocando Taranto, per le tutte le neoplasie, fra le aree a maggiore incidenza, e per le neoplasie polmonari ben oltre la media nazionale.
Il problema è tornato in evidenza nel 2012, quando, finalmente, un tutore della legge ha detto basta. Il Gip di Taranto, Patrizia Todisco, quell’anno confermò il sequestro degli impianti dell’acciaieria, dichiarandosi non disposta a revocarli, finché non venisse compiuta l’opera di bonifica e rimodulato il sistema di produzione con i relativi inquinanti immessi nell’aria.
Immediatamente si scatenò la reazione del Governo di allora, dei sindacati, degli stessi operai temendo che l’impianto fosse chiuso per sempre, lasciandoli in mezzo ad una strada.
Il dilemma è rimasto: è più giusto pensare alla salute, come dispose il Gip di Taranto, o tutelare il posto di lavoro? Chi scrive si è trovato più volte in seria difficoltà per il lavoro, ricorda bene lo stato d’impotenza e di frustrazione, non lo augura a nessuno.
Però occorre evidenziare che il diritto alla salute e alla vita è costituzionalmente un diritto assoluto che non è suscettibile di limitazioni e di compromessi, a differenza del diritto di proprietà privata e di libera impresa.
Una persona sana, anche se disoccupata, può sperare di individuare qualche soluzione al suo problema; una persona occupata ma seriamente ammalata, ha solo la speranza di non soffrire troppo prima di morire.
Le alternative, secondo me, si potrebbero anche creare, considerando che si tratta di terre con un’ottima vocazione agricola e turistica.
Ora, nel 2018, con l’avvento del “governo del cambiamento”, si è giunti a firmare un accordo con i nuovi titolari dell’azienda.
Un accordo che principalmente tenta di salvaguardare l’occupazione. Ma è sulla reale bontà degli interventi e sulla loro efficacia che si gioca l’accordo, stipulato combinando ostinatamente interessi svariati e non necessariamente conciliabili: piena occupazione e abbattimento dell’inquinamento a fronte di standard di produzione elevati.
L’obiettivo di un ambiente autenticamente salubre e il ripensamento della città in termini di riconversione o sostenibilità, non sembra porsi in cima all’agenda delle priorità politiche.
La sensazione tra i cittadini del capoluogo jonico non è condivisa né granitica, ancora alle prese con incognite diffuse e uno sguardo al passato che non lascia dubbi sui temibili scenari. Le finestre per ora restano chiuse, e il dilemma rimane immutato