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    Quando un’elezione è realmente democratica?

    Domenica 20 gennaio 2019. Elezioni suppletive in Sardegna per il collegio uninominale di Cagliari per la Camera dei Deputati. A seguito delle dimissioni di Andrea Mura, eletto per il Movimento 5 Stelle, ma espulso dal movimento nel luglio scorso per le reiterate assenze dai lavori parlamentari, è stato necessario convocare questa giornata di voto. A vincere è stato Andrea Frailis, giornalista della nota emittente locale Videolina, candidato indipendente per il centrosinistra. Ha ottenuto poco più del 40% delle preferenze, battendo il nuovo candidato del M5S, Luca Caschili, che ha sfiorato il 29%. Terzo posto per la candidata del centrodestra Daniela Noli, quasi 28%, e ultimo il candidato di CasaPound, Enrico Balletto con il 3% scarso. Ma sono state davvero delle elezioni democratiche? Nel loro svolgimento e ragionando giuridicamente ed asetticamente, assolutamente sì. Ma per altri versi assolutamente no. Forse l’aggettivo “democratico”  utilizzato non è quello più corretto: meglio l’aggettivo “rappresentativo” probabilmente. Quelle di Cagliari sono state elezioni realmente rappresentative della volontà popolare di quel collegio? Perché questo dubbio? Perché la percentuale dei votanti è stata del 15,54%! Neanche un elettore su cinque degli aventi diritto si è recato alla urne.  Alle elezioni del 4 marzo 2018 aveva votato, nello stesso collegio, il 67,2%: è già quella non era una percentuale “entusiasmante”. Sono elezioni valide quindi? Giuridicamente sì, ma davvero il neodeputato si sentirà espressione della volontà del territorio che dovrà rappresentare in Parlamento? Ha vinto con il 40% delle preferenze del 15% che si è recato alle urne. A spanne, lo ha votato quindi il 7% degli aventi diritto: neanche un cagliaritano su dieci. E’ evidente che il vero vincitore di queste elezioni suppletive è l’astensionismo: quasi l’85% degli elettori lo ha “scelto”, più o meno direttamente, più o meno consciamente. Parrebbe che il M5S abbia già finito di intercettare il voto di protesta e l’astensionismo, almeno in quel collegio: sì, no, agli esperti l’ardua sentenza. Sta di fatto però che la nostra democrazia è in pericolo: se tali percentuali di disaffezione al voto dovessero confermarsi altrove, banco di prova le prossime elezioni regionali ed europee, la situazione sarebbe grave. E già le consultazioni per Bruxelles sono, da sempre, meno affollate. Servirebbero sempre meno voti per vincere in un collegio e sarebbe quindi sempre più facile ottenerli, in un certo senso. Una scarsa partecipazione al voto non è indice di democrazia e di rappresentanza: un sintomo di una malattia che bisogno imparare a conoscere per neutralizzare il virus, prima che il corpo si indebolisca troppo. La medicina qual è? La partecipazione attiva alla vita politica e sociale nella propria comunità: sempre e comunque, anche se siamo disaffezionati e sfiduciati, magari convinti che non cambia mai nulla. Come cantava Giorgio Gaber, “libertà è partecipazione”: sfruttiamola prima che qualcuno decida di togliercela questa libertà e potremmo non accorgercene in tempo. E’ già successo e ci è costato caro, molto caro.

     

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