Quando il termine per la consegna dei pezzi è già scaduto, e il direttore inizia a premere perché in redazione ci sono tempi più stretti del consueto, il giornalista (cronicamente) ritardatario rischia di andare in crisi, specialmente se per quel mese non ha (ancora) la più pallida idea di che cosa scrivere ai suoi lettori. Qualsiasi pezzo di attualità suonerebbe un po’ scontato. E rischierebbe di essere la riscrittura o di quanto uscito sui maggiori quotidiani (stante che, per le prolungate vacanze pasquali, il vostro critico è stato assente dalle manifestazioni musicali cittadine delle ultime settimane); o di quanto da lui stesso pubblicato altrove. Oppure, potrebbe interessare assai poco a chi si appresta a leggere. Un’intervista? Non c’è tempo di farla. La recensione di un libro? E quando si riesce a leggerlo?! (altri, magari, scriverebbero la recensione basandosi sulla quarta di copertina, ma al sottoscritto non sembra molto corretto). E allora? Allora intanto per una sera non si scrive, non si può certamente rinunciare al derby della Mole (per fortuna il direttore, di eguale fede calcistica, su questo punto concorda), ci penseremo domani.
Ma qui nasce un’idea bizzarra… Lasciamola perdere. Però, magari un articolo bizzarro, una volta tanto, non dispiace. I musicologi paludati perdoneranno. E chissà che qualche nuovo lettore, attirato dal titolo e dalla cornice, non inizi ad interessarsi alla musica classica… Proviamo a buttare giù qualche battuta, così, alla leggera… E via! Del resto, la maggior parte dei critici musicali, come quasi tutti gli italiani, quand’anche non abbiano il tempo di seguire regolarmente le partite, una qualche passione per il calcio ce l’hanno. A Torino, riferimento dei critici granata era Giorgio Gualerzi, grande esperto di vocalità del teatro d’opera mancato nel 2016 (due volte questa pagina fu dedicata a lui), il quale, nato nel 1930, aveva visto giocare il Grande Torino prima della tragedia di Superga. I bianconeri hanno invece la più convinta esponente in una battagliera collega del “Giornale della musica”.
Così, al termine di questo flusso di coscienza, dopo il derby (che non compete a me commentare) e la commemorazione di Superga, si rimette mano alla tastiera. Perché, in fondo, il mondo della musica, in particolare quello del teatro d’opera, e il mondo del calcio, qualche cosa in comune ce l’hanno (alle differenze non facciamo caso, sono macroscopiche ed evidenti a chiunque). Innanzi tutto, il calcio (il discorso varrebbe per tutti gli sport, ma scegliamo come esempio quello in Italia più popolare) e la musica sono attività che nascono per ragioni di diletto, in quanto non hanno una ricaduta pratica e tangibile sulla vita quotidiana, se non il diletto di chi le fa e il diletto di chi vi assiste. Ancor oggi, tante persone suonano, cantano o tirano calci al pallone per il proprio piacere. Ma chiunque è in grado di distinguere chi gioca la partita a calcetto con gli amici da Andrea Belotti o Cristiano Ronaldo, così come chi canta “Nessun dorma” in una tampa lirica da Luciano Pavarotti o Gregory Kunde. La dimensione pubblica e spettacolare intimamente connessa alle prove sportive e alle esecuzioni musicali ha fatto sì, infatti, che praticare lo sport e la musica assumessero, accanto alla dimensione ludica, una dimensione professionistica, e che i maggiori professionisti di entrambi i settori diventassero star acclamate e assai ben remunerate. Non è un fatto esclusivo dei nostri tempi: i grandi cantanti d’opera erano personalità di mondo già nel Settecento, e nell’Ottocento italiano il gioco del pallone (diverso dal calcio attuale, che è di nascita inglese e si è affermato da noi solo un secolo fa) era lo spettacolo più seguito insieme all’opera; anche Leopardi dedicò i propri versi a Carlo Didimi, un pallonista che guadagnava, in una partita, quanto un maestro elementare in dieci anni di lavoro. E da questo si evince un’altra somiglianza tra il calcio e la musica: essendo attività che tanti amano praticare, ma nelle quali pochissimi eccellono, e in cui bastano pochi professionisti per appagare una fitta schiera di spettatori nei teatri e negli stadi, vi è una durissima selezione tra i tanti che vorrebbero essere protagonisti di questi mondi (e magari riescono anche a conseguire discreti risultati sul piano privato) e i pochi che “sfondano” e possono vivere e fare fortuna in essi. Ma tutti, al calcio come alla musica, si accostano per passione: senza di essa se ne allontanerebbero presto. È proprio nella passione, trasformata in professione attraverso lo studio e l’allenamento, che risiede, a mio parere, il lato più spontaneo, e al contempo più sano, del mondo dello sport come di quello della musica. Quando questa componente emotiva si perda per trasformare il tutto in un giro d’affari, tanto lo sport quanto la musica perdono la loro vera natura.