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Comune di Caselle Torinese
venerdì, Aprile 19, 2024

    La casa di Salvatore

    Prima parte

    Il sonno di Salvatore Di Meglio era stato agitato quella notte.
    Si era rivoltato e risvegliato diverse volte nel letto. Quel sogno ritornava ossessivo.
    Sognava suo padre Antonio al lavoro in un’antica proprietà di famiglia. Un costone di montagna in località Cava Pallarito nel comune di Fontana Serrana ad Ischia.
    Vedeva suo padre al lavoro con zappa, pala e piccone. Riparava le antiche grotte scavate dagli avi nel fianco della montagna. Diceva:” Salvatore, non vedi come sono ridotte queste belle grotte che conservavano il nostro vino, devo venire io dall’altro mondo a ripararle?”
    Salvatore si svegliò definitivamente che era ancora buio. Non riusciva a stare calmo. L’agitazione era troppa. Decise di andare subito a Cava Pallarito. Era stato solo un sogno ma una certa inquietudine lo spingeva ad andare. Sua moglie Assunta e i figli dormivano ancora. Inforcò il vecchio motorino e via verso le grotte.
    Le antiche grotte lo accolsero che era ancora buio. L’ingresso sembrava la bocca  delle viscere della terra. I rovi e le sterpaglie, che ostruivano l’ingresso, rendevano l’accesso difficile. All’interno si vedevamo detriti e cumuli di spazzatura.
    Guardò sconsolato. Quei luoghi, a lui così familiari e dove da ragazzo amava giocare e dove aveva abitato con la famiglia per dodici anni, erano in uno stato pietoso e  chiedevano aiuto.
    Si sedette demoralizzato su un masso. Si appisolò in un dormiveglia nervoso.
    Rivide suo padre che gli raccontava che quelle grotte erano state scavate dai suoi nonni per farne delle cantine dove conservare il vino. Avevano scelto quel posto perché la pietra di tufo, tipica di quei monti, era agevole da scavare.
    Ora comprendeva il senso del grido di dolore che suo padre e gli avi gli avevano trasmesso in sogno: salvare quel luogo sacro per la famiglia.
    Mentre era seduto sulla pietra rivide i momenti in cui, quarant’anni prima, aveva deciso di ricavare, nel fianco del costone e sfruttando le grotte già esistenti, dei locali per farne la casa per la sua famiglia.
    Approfittò di un vecchio canale di scolo delle acque per farne una scala che portava su, in alto, a un piccolo slargo. Il lavoro di scalpello era duro e lo spazio angusto.
    Lavorando in tutti i momenti liberi scavò nel fianco della montagna fino a ricavarne un piccolo ma vero alloggio: bagno, camera da letto e soggiorno. I nuovi locali assieme a quelli preesistenti formavano un complesso rustico ma dall’indubbio fascino. Dal terrazzo si godeva di una splendida vista. Nel realizzare il bagno  dimostrò tutto il suo talento. Ricavò la vasca da bagno e lavandino dal corpo delle rocce. un lavoro fine e accurato.
    Spianò per bene il terrazzino e lo decorò con piante. Il risultato fu un affascinante terrazzo che si affacciava sulla sottostante valle che terminava al mare.
    Visse lì con la famiglia. Un luogo poco consueto ma originale. Salvatore non lo sapeva, inconsciamente aveva realizzato una casa in negativo. Non mettendo ma togliendo. Esattamente come altri uomini e donne avevano ricavato, fin dai tempi più remoti, le loro case dal corpo delle pareti delle montagne. L’esempio più illustre è Matera.
    I suoi trovavano scomoda quella soluzione per diversi motivi. Ne discussero. Salvatore sarebbe rimasto volentieri a vivere lì. Dovette riconoscere che sua moglie Assunta e i suoi figli non avevano tutti i torti a voler tornare a vivere nel paese.
    Cava Pallarito rimase abbandonata per molti anni.
    Ora Salvatore era lì. Quel luogo chiedeva aiuto. Lui era l’unico che avrebbe potuto salvarlo. La fatica la conosceva, eccome se la conosceva, essendo nato contadino. Grandicello cominciò a lavorare con i muratori. Dimostrò subito talento innato. Contadino e muratore due mestieri che chiedevano braccia solide e dedizione.
    Da solo cominciò a ripulire le grotte da sterpaglie e detriti. Una faticaccia.
    Poi si dedico a risanare le pareti delle grotte scavate nel cuore della montagna. Voleva fare un lavoro ben fatto: sabbia e calce erano l’ideale. Gettare la malta contro le pareti era piacevole. La cazzuola volteggiava in aria come la bacchetta di un direttore d’orchestra. Lì accanto c’erano alcune pietre, istintivamente le raccolse e le fissò nella malta come a formare figure. Lavorava d’istinto, non aveva un disegno preordinato. Del resto Salvatore non aveva mai disegnato in vita sua.
    Come d’incanto sulle pareti nascevano uccelli e disegni geometrici che rimandavano a figure preistoriche. Nei remoti tempi preistorici l’uomo non era condizionato dalla tradizione, componeva spontaneamente, realizzava quelle figure liberamente. esattamente come un bambino. È la mente fantastica che guida la mano. Ecco perché è arte. Un’arte senza tempo, un’arte libera.
    Lavorando la mente si era liberata. Aveva messo da parte le remore. Voleva fare cose diverse, non solo disegni. Questo atteggiamento era favorito dal fatto che lavorava da solo. La magia non si interrompeva.
    Pensò di incidere la malta con un punteruolo. Emergevano figure antropomorfe o animali. Alcune figure sembravano come emerse da luoghi oscuri e inquietanti. Sembravano anime in pena in cerca di refrigerio.
    L’assenza di tecnica e cultura artistica, in Salvatore, confermavano ciò che diceva De Chirico: “L’arte non si può insegnare.” Oppure ciò che diceva Picasso:” Ci va una vita per imparare a disegnare come un bimbo.”
    Ormai Salvatore era senza freni. Si accorse che sulle pareti c’erano delle cavità: ” Ne farò nicchie dove mettere statue come degli idoli.” Detto fatto. Imparò a modellare figure semplici e misteriose, come certi idoli precolombiani. Alcune nicchie sembravano quelle dei lari delle domus romane.
    Completò lo scavo di alcuni cunicoli parzialmente scavati. Fatica, ancora fatica, Ma non la sentiva. bisognava andare avanti. Un disegno cominciava a profilarsi nella mente. Quelle caverne ed i cunicoli erano diventati come un piccolo labirinto dove Minosse aveva rinchiuso il Minotauro. Quel luogo trasudava mistero e fascino. Sembrava che dal buio dei cunicoli rimbombassero voci d’oltretomba.
    Al termine di questo lungo lavoro  Salvatore si fermò. Si sedette a riposare. Aveva lavorato utilizzando ogni momento libero. I suoi famigliari avevano compreso l’importanza del progetto. Avrebbero voluto dare una mano. Fu irremovibile:” Tocca a me. Ho ricevuto un mandato preciso.”
    Ora bisognava dargli un’anima.

    (continua)

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