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Comune di Caselle Torinese
sabato, Luglio 27, 2024

    Agriturismo diffuso

    Abbiamo finalmente deciso di scollarci dalle poltrone e iniziare a fare qualche piccola vacanza, magari solo in Italia per riprendere l’allenamento dei viaggi in moto e per oliare le giunture e la schiena. Insomma, per vedere se eravamo ancora vivi nonostante tutto.
    Sfogliando una bella rivista che riguarda i viaggi in Italia, abbiamo deciso per la Toscana o meglio nei dintorni di Pescia-Montecatini: per me un ritorno alle origini, perché il babbo era nato qui.
    La mia mente malata e golosa volava già non tanto verso i musei, quanto verso i piatti tipici come la ribollita, il caciucco, i cantuccini con il vin santo, i ricciarelli o il panforte di Siena.
    Decidemmo di partire un lunedì, in modo da evitare il traffico orribile del week end: l’idea iniziale era quella di percorrere tutta la statale, ma tra autovelox, semafori, code, incidenti…scelsi l’autostrada.
    Anche perché se avessi dovuto attraversare Genova sarei ancora lì adesso, anzi avrei sbagliato strada e sarei finito nell’acquario, dove i sorveglianti mi avrebbero buttato nella vasca dei capodogli, spacciandomi per uno di loro. La domenica avrei intrattenuto i turisti felici con quei pessimi spettacoli dove i poveri delfini fanno nuoto sincronizzato e inseguono dei palloni… tristissimo!
    In effetti, il traffico orribile del week end non c’era. Sostituito da quello normale di chi lavora: TIR carichi di incudini che mi facevano la rasetta a 180 km. all’ora, furgoni dei corrieri che superavano le Lotus di alcuni disoccupati, enormi SUV elettrici che li senti solo quando ti stanno arrotando, motociclisti con missili jap a 300 km all’ora e automobilisti che ti sorpassano per uscire subito a destra all’autogrill, tagliandoti la strada e causandoti un lieve infarto, niente di che.
    Insomma, un casino infernale: nonostante la mia estrema prudenza nel guidare, ho rischiato diverse volte di ottenere un bel po’ di olio con lo sconto, ovvero l’estrema unzione.
    Per evitare lo slalom tra i cantieri della famigerata Torino-Savona, ho percorso un tratto della Torino-Milano per poi girare al primo svincolo verso Sud, sulla Alessandria-Genova.
    Ah che bello, guidare in pieno relax: non appena si abbandona la Torino-Milano, il traffico si dimezza.
    Ma… C’è sempre un ma. Probabilmente ero finito in un formicaio: non ho mai visto tante gallerie così in vita mia che nemmeno un minatore.
    Quando sei in moto ed entri in galleria arrivando dal pieno sole, è come andare in cantina arrivando dalla spiaggia: se poi si considera che avevo già alcuni avvoltoi spiaccicati sulla visiera del casco, vederci era quasi impossibile. Comunque, sono ancora qui a raccontarlo.
    Genova è tremenda: non capisco come possano vivere in un agglomerato così enorme; ci sono molti tratti di autostrada che l’attraversano, anzi entrano dalla camera da letto ed escono dal tinello: alcuni genovesi si sono organizzati con le colazioni al volo, dove l’automobilista prende la brioche sul comodino, il caffè sul letto e butta l’importo in una cesta prima di uscire.
    Arrivati vivi in questo bel paesetto chiamato Vinci (no, non è il regno delle slot machine e dei gratta e…vinci, qui è nato Leonardo) cercammo l’agriturismo, anche se sbagliai uscita allungando lievemente e, trovandomi a Vibo Valentia, tornai un pochino indietro, questione di qualche oretta.
    In Toscana, appena esci dall’autostrada, ti attende una spietata rete di stradine, vicoli, strade panoramiche in mezzo ai cipressi (più volte ho pensato di essere trapassato): tutto molto bello, ma per chi come me si rifiuta di usare il navigatore diventa un tantino difficile.
    L’unica cartina che ho sempre con me è in scala 1:900.000, riguarda l’Italia intera e risale al 1978: in pratica sono evidenziate le città, ma solo quelle più grosse.
    Comunque, gira qua, gira là, trovammo il posto a notte fonda sotto gli occhi sgranati di un cameriere che dormiva beato, strafatto di vin santo.
    L’agriturismo era veramente bello e curato, con il personale sempre molto gentile. Ma… Era un agriturismo diffuso, come si usa oggi: in pratica si tratta di una parte centrale, dove si trovano la reception, il ristorante e la sala per le colazioni, ma gli alloggi sono disseminati in circa 15.000 km. quadrati in tante piccole casette. Sperduti nella tundra toscana. Nel deserto di Atacama.
    Quando ritirai le chiavi l’idea mi sembrava carina, perché casetta isolata uguale a tranquillità. Ma fate attenzione signori, perché vi toccherà la via crucis al mattino, se non andate in auto.
    Va beh dai, dalla nostra casina la sala delle colazioni sarà stata distante un chilometro, ma non so se avete presente come mi alzo, come parlo e in quali condizioni.
    La prima sera rimanemmo a cena nel ristorante dell’agriturismo, dove mi demolirono tutti i sogni sulle golosità: il panforte è una specialità di Siena, il caciucco lo trovi solo a Livorno.
    Pazienza, mi accontentai di assaggiare la finocchiona, che non è una nuova definizione riguardante il curioso popolo dei transgender ma un salame con dei semi di finocchio, e la schiacciatella, cioè della pasta di pane con uvetta passita, che non trovai particolarmente buona.
    Il nostro ritorno alla casina andò bene perché non compresi che il percorso era in discesa.
    La mattina fu tutta un’altra storia.
    I toscani sono molto scherzosi. Ma non parlano, urlano. Vicino alla casina c’erano le vigne: l’uva aspettava sadicamente solo me per essere raccolta. Sembrava fatto apposta.
    Così, alle sette del mattino conoscevo già tutto il repertorio del vernacolo toscano tra insulti, parole curiose e scherzi, mentre si recavano a vendemmiare. Non era proprio così tranquillo…
    Cosa fare? Dopo la rianimazione si andava a far colazione.
    Io avevo ancora la schiacciatella che faceva capolino, e non vi dico la fatica di camminare in salita appena alzato: durante il cammino (che la Pro Loco del paese ha subito battezzato “Il cammino di Baldini in Composta”, facendo il verso al Cammino di Santiago di Compostela) incontravo tutti gli altri sventurati che uscivano barcollando dalle loro casine, diretti alla sala della colazione.
    Una processione lenta e silenziosa, dove si intravedeva già qualcuno terrorizzato che di nascosto stava prenotando un hotel con tutti i comfort, nello stesso fabbricato. Qualcuno faceva autostop.
    Però devo ammettere che la colazione era stupefacente, con tutte le deliziose torte fatte in casa: non ho mai capito perché quando sono a casa per colazione mangio due striminziti biscotti con un caffè e quando sono fuori al mattino faccio il cenone di Capodanno. Mah, abitudini forse.
    Un aspetto negativo di soggiornare in mezzo ai campi, quando viaggiate in moto, è che per andare a cena dovrete riprenderla. Voi direte: e allora, che problema c’è? Sei motociclista no? Calma…
    Un giorno siamo andati a visitare il museo di Leonardo Da Vinci (questo sì che era un inventore, altro che i nostri odierni scienziati che insegnano a sbucciare una banana su Tik Tok guadagnando milioni): all’uscita diluviava. Ma dico, abbiamo passato tre mesi di siccità e se mi muovo io arriva Twister?
    Quindi, già stanco morto dopo due ore di visita al museo: mettiti la giacca antipioggia, i pantaloni, i copri scarpe…- no, li ho lasciati nella stanza… pazienza ormai andiamo avanti!- e i guanti.
    Dopo nemmeno due ore dovevamo uscire per cena: ecco dove è il problema… diluviava ancora, e la roba non si era certo asciugata. Avevo solo un paio di scarpe. Quel paio di scarpe: c’erano delle rane dentro. In moto devi portare l’essenziale. E poi il bauletto doveva essere vuoto per riempirlo di leccornie locali, come le eccezionali Cialde di Montecatini. Che arrivati a casa erano panpesto.
    I guanti, che sono un po’ vecchiotti, sono in teoria antipioggia: ma forse i miei servono a non fare uscire l’acqua da dentro, il contrario. Indossare la roba fradicia è una cosa da film horror.
    Comunque, dopo diversi tentativi riuscii a vestirmi, e andammo a cena al ristorante di un paese vicino: non ne volevo sapere di guidare sotto il diluvio. I piedi erano ghiacciati.
    Le scarpe, due puzzole morte. I guanti, due stracci bagnati e mollicci, che per infilarli ho dovuto ungermi di crema per le mani così mi rimase l’impressione di averle a bagno nella ricotta.
    Il cameriere quando mi vide rimase commosso: un baluba mezzo ghiacciato e tremante, con i capelli spettinati e umidicci, i jeans bagnati, la visiera del casco appannata e le scarpe che lasciavano la scia, come le lumache. E puzzavo di cane bagnato, anzi nel tavolo vicino c’era una Yorkshire probabilmente in calore che mi puntava, ma i padroni la allontanarono fissandomi schifati.
    Per fortuna non era un ristorante di lusso, sarebbe stato imbarazzante.
    Allora, da buon toscano simpaticone, il cameriere mi chiese: “Ecché, siete in moto?”
    “No, vede, dato che ultimamente abbiamo paura in auto, mettiamo il casco”.

    Bear

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