Luisa stava dando gli ultimi tocchi alla sua modesta cena. La scelta di una vita
morigerata era una tradizione che le era stata trasmessa dal suo amato marito.
Giovanni, così si chiamava, fin da giovane aveva l’abitudine di non eccedere. Le
diceva:” Dobbiamo evitare gli eccessi per poter godere delle cose belle e vere.
Dobbiamo essere lucidi e in noi stessi.”
Luisa fece sua questa filosofia di vita. Anche lei non amava le cose di sola apparenza.
Luisa portò la cena in tavola. Era apparecchiato per due, però a mangiare era solo lei.
Come le capitava spesso aveva disposto posate e piatti anche per Giovanni suo
marito, il quale era mancato già da un paio d’anni.
Non aveva mai elaborato il lutto.
Non solo. Non aveva mai perdonato al suo amato Giovanni di essersi concesso il
lusso di andarsene per primo. Eppure avevano fatto un patto: “Dobbiamo fare anche
l’ultimo viaggio assieme, visto che non ci siamo mai separati nemmeno per poco”.
Mentre Luisa consumava la cena guardava il piatto apparecchiato per suo marito.
Cercava di immaginarselo mentre la traguardava da sopra i suoi occhialini da lettore
incallito.
Certo, la loro era stata una bella avventura. Non si pensi che andavano d’amore e
d’accordo su tutto. Tutt’altro, gli scontri c’erano. Eccome se c’erano.
Mai su questioni banali. Sempre su problematiche di spessore etiche, politiche e
culturali. Le discussioni erano accese e appassionate. Alla fine c’era sempre la
convergenza sulla sintesi. Questo era la meta vera del contendere.
Quindi, tutto sommato, non erano neanche litigi, era il loro modo di confrontarsi e
cercare una risposta che non fosse banale a interrogativi di peso.
Luisa e Giovanni erano da sempre di sinistra: di tipo problematico. Ambedue
volevano capire la realtà delle cose, più che aver ragione. Giovanni le diceva:” Se ti
do ragione per chiudere la discussione, significa che non ho gran rispetto di te. Solo
con il confronto si giunge a una sintesi ragionevole.”
Lei era d’accordo perché il loro comprendere la realtà era finalizzato all’azione sociale
e di sostegno verso chi non se la passava troppo bene.
“ Vedi Giovanni – diceva Luisa -, se noi discutiamo e poi non segue l’azione significa
una sola cosa: siamo ipocriti, come quegli intellettuali tutte chiacchiere e niente
impegni concreti. Oppure come quelle persone che, ben vestite e dai modi affettati,
tutti rispettano e ammirano e che in realtà ciò che fanno lo fanno solo per interesse o
prestigio personale ma non fanno nulla per la comunità.”
Nonostante il dolore per la perdita di Giovanni, Luisa non aveva rinunciato sia
all’impegno nel volontariato, vista l’età faceva quel che poteva, che agli incontri
rituali con le sue amiche d’infanzia.
Se avesse rinunciato suo marito non sarebbe stato d’accordo. Le diceva:” Stare tra la
gente, per noi, e come per i pesci stare nel mare”.
Del resto mica poteva starsene sempre barricata in casa. Non aveva neanche il
conforto dei suoi amati figli che, lei e Giovanni, avevano cresciuti ed educati con
amore e una giusta severità:” Non dobbiamo crescere polli in batteria”, dicevano.
Ora erano affermati professionisti. Il lavoro li aveva portati lontano. Che gioia
quando c’erano le rimpatriate.
Attendeva con impazienza i rituali appuntamenti con le amiche.
Si ritrovavano ogni settimana in un bar della zona gestito da un allegro e socievole
barista. Anche lui conoscenza di vecchia data.
La tiravano per le lunghe. Si chiacchierava, si beveva caffè o té. C’erano sempre
buonissimi pasticcini. Qualcuna si concedeva anche un liquorino. Si scambiavano
libri e ricette e innocenti pettegolezzi. In questi incontri non si facevano discussioni
impegnate:” Siamo qui per svagarci e fare salotto. Bisogna pur essere leggeri, ogni
tanto.”
Ed è proprio di ritorno da uno di questi incontri salottieri che Luisa incontrò quello
che sarebbe diventato un suo amico e le avrebbe tenuto compagnia nella solitudine.
Stava tornando con passo lento e tranquillo verso casa. Si avvicinava il tramonto e,
come sempre, percorreva una stradina che attraversava un bel piccolo parco oltre il
quale c’era casa sua. All’improvviso le sembrò di sentire come un lamento
proveniente da un gruppo di cespugli. Visto che era da sola pensò che fosse meglio
continuare. Tuttavia la curiosità la spinse a guardare. Nel folto dei cespugli c’era un
cane tremante e sporco. Era di media taglia e di coloro fulvo: un bastardino. Cercò di
avvicinarsi per rendersi conto meglio.
Il digrignare dei denti le consigliò di non avvicinarsi. Sicuramente era stato
abbandonato e si era rifugiato nei cespugli. Per evitare di essere morsa si allontanò.
Tuttavia il pensiero di quella bestiola abbandonata cominciò a fissarsi nella sua
mente.
Pensava:” È un cane…, che cattiveria, però. Perché lo hanno abbandonato, poveretto?” Si alzò il mattino seguente con lo stesso pensiero. Decise: doveva fare qualcosa. Prese del pane e del latte caldo e si avviò verso i cespugli.
Il cane era ancora li più tremante che mai. Con un bastone gli spinse davanti la zuppa
di pane e latte. Il cane, dopo aver annusato, si mise a mangiare con voracità. Aveva
gradito. Luisa guardava soddisfatta il cane che mangiava. Rischiò una carezza. Il cane
lasciò fare, aveva capito che poteva fidarsi. Poi si avviò verso casa. Dopo un
pezzo di strada si voltò, il cane la seguiva scodinzolando. Decise: lo adotto e lo
chiamerò Amico. Aveva trovato un compagno con cui dividere la solitudine. Amico si
rivelò mansueto e coccolone.
Quando Luisa si sedeva nella poltrona, Amico le saltava sulle ginocchia. Luisa si
appisolava e sognava Giovanni.
L’Amico di Luisa
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