Gli inibitori della pompa protonica (IPP) sono tra i farmaci più prescritti al mondo. Considerati da sempre farmaci sicuri ed efficaci, hanno rivoluzionato il trattamento dei disturbi gastrici, oltre all’indicazione per altre malattie come l’eradicazione dell’Helicobacter pylori e dell’esofagite eosinofila.
Sono conosciuti da tutti con il termine improprio “gastroprotettori”, che induce a pensare che non si tratti di un farmaco vero e proprio, ma di qualcosa che possa fare bene sempre e a tutti. Non è così e purtroppo in più del 50% dei casi vengono assunti impropriamente. Ma di quali farmaci stiamo parlando? Omeprazolo, pantoprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo e rabeprazolo, farmaci che agiscono bloccando la produzione di acido cloridrico nello stomaco per una lunga durata (18-24 ore).
Recenti studi hanno associato gli IPP ad alcuni eventi avversi come le fratture conseguenti all’osteoporosi. Ci sono anche segnalazioni di infezioni intestinali, tra cui quella da clostridium difficile, oltre a scarso assorbimento di vitamine e minerali come vitamina B12, magnesio e ferro. Inoltre, ci sono alcune segnalazioni di demenza, polmonite, malattie renali, infarto del miocardio e ictus. Per le malattie renali, gli studi suggeriscono costantemente che l’uso di IPP può essere associato ad un aumentato rischio di eventi avversi renali, specialmente negli anziani, con l’uso a lungo termine di IPP. Inoltre sembrerebbe esservi anche una correlazione tra uso cronico di IPP e l’insorgenza di cancro gastrico. A dire ciò è una grossa revisione pubblicata pochi mesi fa cioè un’analisi di tutti gli studi presenti in letteratura: il lavoro è accessibile da tutti gratuitamente “Review Arq Gastroenterol. 2022 Apr-Jun;59(2):219-225. doi: 10.1590/S0004-2803.202202000-40. Safety of long-term proton pump inhibitors: facts and myths”.
Un altro enorme studio (Estimates of all cause mortality and cause specific mortality associated with proton pump inhibitors among US veterans: cohort study) pubblicato nel 2019 ha evidenziato che il trattamento prolungato con IPP si associa ad una aumentata mortalità globale e cardiovascolare. Per verificare l’eventuale eccesso di mortalità attribuibile all’uso degli IPP, sono state costituite due coorti, rispettivamente di 157.626 e 56.842 soggetti (età media 65 anni, 95% maschi, 87% bianchi) che, nel periodo compreso tra luglio 2002 e giugno 2004, avevano iniziato un trattamento con IPP o con anti-H2, avendolo assunto per almeno 90 giorni nei 180 giorni precedenti l’arruolamento. Durante un follow-up mediano di 10 anni si sono verificati complessivamente 80.062 decessi (37%). Le cause di morte più frequente sono state le malattie cardiovascolari (12%), le neoplasie (9%) e le malattie dell’apparato respiratorio (4%). La percentuale di decessi è risultata maggiore nel gruppo trattato con IPP (37.92%) rispetto al gruppo trattato con anti-H2 (35.69%).
Un eccesso di decessi statisticamente significativo si è riscontrato per quanto riguarda le malattie dell’apparato cardio-circolatorio (+17,47 x 1000), le neoplasie (+12,94 x 1000), le malattie infettive e parassitarie (+4,20 x 1000) e le malattie dell’apparato genito-urinario (+6,25 x 1000).
È stata inoltre valutata l’associazione tra eccesso di mortalità e durata dell’esposizione agli IPP riscontrando una relazione tipo dose-effetto per quanto riguarda la mortalità per cause cardiovascolari, neoplasie e malattie dell’apparato genito-urinario. Ciò significa che il rischio aumenta in chi li assume per più tempo.
Analizzando studi ancora più recenti, pochi mesi fa è stato pubblicato uno studio (Geng T et al. Proton Pump Inhibitor Use and Risks of Cardiovascular Disease and Mortality in Patients with Type 2 Diabetes. J Clin Endocrinol Metab. 2022 Dec 27;dgac750) che ha evidenziato che gli adulti affetti da diabete mellito di tipo 2 che assumono IPP hanno un rischio più alto di malattia coronarica (+27%), infarto miocardico (+34%), scompenso cardiaco (+35%) e mortalità per tutte le cause (+30%) rispetto a chi non li assume. I ricercatori hanno raccolto dati di oltre 19.000 adulti con diabete di tipo 2 tra marzo 2006 e ottobre 2010 (età media 59 anni, 59% uomini).
In conclusione, in attesa di ulteriori studi, la chiave per limitare al minimo il rischio di tali effetti avversi è l’uso razionale degli IPP alla dose efficace più bassa e nella durata più breve possibile e solo dietro prescrizione medica.
Attenti ai “gastroprotettori”!
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