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Comune di Caselle Torinese
sabato, Luglio 27, 2024

    Filomena, la levatrice

    “Peppino mi raccomando, la macchina è pronta, c’è il pieno?. Non si sa mai. Aspetto una chiamata da un momento all’altro.
    Lo sai, il nascere e morire non conoscono orari né danno appuntamento. Quando è l’ora di nascere il bimbo mica dà la voce. Certo ci sono dei segni premonitori, ma devi correre e, soprattutto, non devi commettere errori.
    Siamo noi che dobbiamo essere sempre pronti e sul chi va là.”
    Discorsi, questi, che Giuseppe Sorrentino detto Peppino, marito di Mena la levatrice, conosceva bene. Sua moglie li ripeteva sempre. Lui non si arrabbiava né rispondeva. Erano eccessi di prudenza necessari. Del resto il lavoro di sua moglie Filomena, che tutti in paese chiamavano ” la mammà” nel senso che era considerata la madre putativa di quasi tutti i bimbi del paese, era proprio quello di aiutare i neonati a venire al mondo.
    Far venire i cristiani al mondo è cosa tutt’altro che facile, bisogna evitare rischi per bimbi e mamma. I pericoli erano sempre dietro l’angolo. C’erano anche imprevisti capaci di mettere in difficoltà le ostetriche più esperte.
    Peppino, marito e autista di Mena mammà, teneva la sua vecchia e amata Bianchina sempre pronta e perfettamente in ordine dal punto di vista meccanico. Era sempre pronto a scattare. A qualsiasi ora: notte e giorno.
    Si domandava: “Chissà perché la maggior parte dei bimbi vengono al mondo di notte. Sono poche le notti in cui posso farmi una bella dormita. Va bene così, questa vita è sacrificata ma dà tante soddisfazioni. Vedere un neonato che emette i primi vagiti ti riconcilia e ti gratifica.”
    Filomena Fiorentino era la levatrice del paese e non solo. La chiamavano da tutto il circondario, da ogni dove. Era dolce e disponibile. Aveva sempre una parola buona per tutti e, merce rara, sapeva dare il consiglio giusto nel momento giusto. Senza saccenza.
    In un periodo storico in cui si nasceva prevalentemente in casa, una donna esperta come lei era veramente una grazia di Dio. Del resto gli ospedali erano anche poco attrezzati. I ricchi andavano in cliniche che sembravano alberghi. I poveracci a casa,
    sperando che tutto filasse liscio.
    Aveva un ottimo rapporto professionale con il bravissimo medico condotto del paese, il dottor Antonio, persona sempre prodiga di consigli. Fu lui che la fece crescere professionalmente con tante piccole lezioni mirate.
    Diceva:” Io amo questo lavoro. Ma so benissimo che, più che un lavoro, è una sorta di missione perché devi essere sempre pronta. Devi convincerti che la vita delle mamme e dei neonati è nelle tue mani. Se non ti convinci di questo, cambia mestiere.”
    “Nessun compenso monetario può ripagare certi sacrifici, non solo fisici”, pensava. Ci sono momenti in cui lo stress può giocarti brutti scherzi come quando ti trovi difronte a un parto difficile.
    Il feto si presenta in una posizione che non consente una espulsione naturale. Sei da sola, puoi contare solo su te stessa. I famigliari presenti al massimo possono prepararti l’acqua calda. Fosse solo questo. Ti trovi in una frazione isolata, in mezzo ai boschi oppure in una casa di contadini arrampicata su un declivio. Per arrivarci hai dovuto percorrere l’ultimo chilometro a piedi su un sentiero disagevole e sconnesso.
    Neanche la mitica Bianchina riusciva a passare.
    Lì, in quelle condizioni a chi puoi chiedere aiuto?
    Puoi solo raccomandarti a Dio.
    Mentre sei lì a cercare una soluzione, bisogna sbrigarsi è questione di pochi minuti, inconsapevolmente ti accorgi che stai pregando. Ti aiuta. Le mascelle sono serrate. Le donne di casa sono lì che pregano anche loro. Chiedono a Dio che le tue mani riescano nel miracolo.
    Mena era convinta che la preghiera dava forza, agilità e destrezza alle sue mani.
    Ce l’hai fatta. Hai aiutato il bimbo a venire al mondo. Hai dovuto risolvere una situazione difficile, tutto è andato bene.
    È ora di andare, per ora. Certamente devi tornare a controllare. Il capofamiglia, un contadino dalle mani callose e nere di terra, ti chiede:” Filumè, quanto fa, quanto le dobbiamo?”
    Ti guardi intorno. È una casa di poveri contadini, faticano dalla mattina alla sera su un podere in affitto, conducono una vita misera e fatta di sacrifici. E allora? Allora Mena dice, sapendo che Peppino è d’accordo:” Tranquillo Carminù, poi mi pagherai. L’importante che tutto sia andato bene. Fai così: tu hai ottimi pomodori, me ne dai un po’ e siamo pari.”
    Era così Mena mammà: dai poveri non si faceva pagare.
    Quante volte era costretta a passare da una puerpera all’altra, senza riposo. Lamentarsi era inutile. Creava stress in te e agli altri. Meglio rimboccarsi le maniche e andare.
    Era Peppino a dirle: “Dai andiamo, mica possiamo lasciare a sé stessa quella povera ragazza di Annuccia. È la sua prima gravidanza. Sarà terrorizzata dalla paura.”
    E via, la Bianchina scattava.
    Mena mammà e Peppino avevano raggiunto un perfetto affiatamento, non solo nella vita, anche in quella particolare attività che è il far nascere. Peppino era oramai capace di darle una mano nell’assistenza delle partorienti.
    La loro esperienza era utile anche per comporre situazioni incresciose sorte nelle famiglie. Spesso nate da incomprensioni. Emergevano in quei momenti utili capacità di mediazione. Bisognava usare molto tatto per comporre situazioni potenzialmente funeste.
    Come quella volta in cui un giovane contadino si era convinto che il bimbo che stava per nascere non fosse suo.
    Sua moglie era in preda alla disperazione. Riuscirono a sbrogliare la matassa e convinsero l’uomo dell’onestà di sua moglie.
    Dopo la riappacificazione i genitori del bimbo appena nato dissero:” Filomena, tu e Peppino dovete essere madrina e padrino al battesimo. È un po anche figlio vostro.” Anche le mamme dei due sposi dissero insieme:” Donna Filumè, ci conosciamo da una vita. Tu e Peppino siete una benedizione per noi. Siete di famiglia. Dovete essere voi padrino e madrina.”
    Mena, sorridendo, con un cenno della testa e un voce dolce disse:” Certo ci saremo. È un onore”
    Peppino infilò la chiave nel cruscotto della Bianchina, il motore cominciò a pulsare. E via verso una nuova vita.

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