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sabato, Dicembre 7, 2024

    Maccheroni alla chitarra

    Piatto simbolo della gastronomia abruzzese nel mondo

    Restiamo anche questo mese in terra d’Abruzzo per ospitare un secondo articolo tratto dalla nuova rivista “Transumanze”, voce delle Pro Loco di quella regione, e che vi abbiamo presentato nel numero di aprile di questa rubrica. L’articolo è appetitoso, in quanto tratta, con dotti riferimenti storici, del piatto principe della gastronomia abruzzese: i maccheroni alla chitarra. Ne è autore lo chef Lorenzo Pace, presidente dell’Unione Regionale Cuochi Abruzzesi, nonché socio fondatore, nel 2013, dell’Ordine dei Cavalieri dei Maccheroni alla Chitarra. Un organismo, che ha come finalità la promozione di quel piatto, e di cui fanno parte accademici della cucina, giornalisti enogastronomici, tecnologi alimentari, sociologi, storici dell’alimentazione, nonché – ovviamente – cuochi.

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    Maccheroni alla Chitarra

    Piatto simbolo della gastronomia abruzzese nel mondo

    Intorno alla seconda metà del 1700 venne costruito in Abruzzo un attrezzo chiamato Maccarunare formato da un telaio di legno di ciliegio rettangolare con sopra tesi dei fili di ferro distanziati tra loro circa 2 millimetri. Non vi sono fonti documentali che riportano la data certa e la motivazione per cui fu realizzato questo nuovo attrezzo per preparare i maccheroni. È presumibile che esso sia l’evoluzione tecnica del vecchio Rendròcele in quanto il Maccarunare risultava essere più pratico e consentiva un formato di pasta più regolare, armonico e delicato. Alcuni studiosi ritengono che i “maccaronari” del territorio Frentano rifacendosi ai telai di canne, anticamente utilizzati per l’essiccazione dei vermicelli e degli spaghetti, abbiano maturato l’idea di costruire un attrezzo con dei fili taglienti utile alla preparazione di questa pasta.

    Nell’area Vestina del pescarese il Maccarunare assumeva il nome di “Carrature”. Questa denominazione deriva da due declinazioni dialettali di quel territorio, una dalla parola francese “carrer”, dovuta all’influenza linguistica lasciata dalla presenza francese in Abruzzo avvenuta nella seconda metà del 1700, che significa squadrare, riferita alla forma che viene data alla sfoglia prima di essere tagliata. L’altra spiegazione può rifarsi al modo di dire dialettale di praticare una profonda incisione ossia “carrare”, riferendosi in questo caso alla pressione che viene fatta sulla sfoglia appoggiata sui fili del Maccarunare per essere tagliata.

    Il Maccarunare si diffuse rapidamente nell’area pedemontana abruzzese, mentre nell’aquilano, documenti storici rivelano che nella prima metà del 1800 era molto rara la presenza di questo attrezzo.

    Della presenza del Maccarunare nelle case abruzzesi di fine Settecento si hanno dei riscontri in alcuni documenti notarili. Nel 1779 a Casoli (Chieti) nella dote di una sposa venne registrata la presenza di “un maccaronaro con corde di ottone; prezzo: carlini 6”, mentre nel 1871 lu Carrature è presente nella dote di una sposa di Penne (Pescara).

    Con il Maccarunare si realizzavano, appunto, dei maccheroni ottenuti attraverso l’impasto della farina di grano tenero con uova e sale.  Successivamente l’impasto veniva spianato con un mattarello allo spessore di 2 mm, la stessa distanza che intercorre tra un filo e l’altro del Maccarunare, si tagliavano delle sfoglie, che in vernacolo abruzzese erano chiamate “le pettele”, inferiore al perimetro delle corde del Maccarunare. Le sfoglie si stendevano singolarmente sui fili del Maccarunare, facendo pressione con il mattarello sulla sfoglia, la stessa veniva tagliata dai fili di ferro ottenendo i tipici maccheroni dalla forma leggermente quadrangolare.

    Anche per l’ulteriore evoluzione del nome del Maccarunare non vi sono date certe.

    Presumibilmente nella seconda metà del 1800 il Maccarunare cominciò ad essere chiamato “Chitarra”, il termine diventato di uso comune tanto da essere riportato nel “vocabolario dell’uso abruzzese”, di Gennaro Finamore del 1893.

    Questa trasformazione nominalistica del Maccarunare è avvenuta con l’evoluzione della lingua e della società, infatti, il nome Chitarra era sicuramente più moderno e soprattutto in lingua italiana. Indubbiamente anche la similitudine con lo strumento musicale ai quali i fili di acciaio tesi sul telaio assomigliano, ha contribuito a cambiare il nome di Macarunare in Chitarra. Vi è anche un altro elemento che indusse ad usare questa parola ed è il fatto che nel caso in cui la sfoglia non è completamente tagliata dalla pressione fatta con il mattarello sulle corde si passa con le dita sopra di essa per tagliarla completamente creando un leggero suono come un arpeggio.

    I Maccheroni alla chitarra erano un piatto per le occasioni importanti e per questo il suo condimento è sempre stato ricco di gusto e sostanza. All’inizio della loro produzione erano conditi con un ragù di carni miste di vitello, maiale e agnello, senza il pomodoro perché ancora poco utilizzato per condire la pasta. Successivamente si passò a condire i maccheroni con una salsa di castrato oppure di agnello, e la stessa carne cotta nel pomodoro poi veniva mangiata come secondo piatto. Fino ad arrivare ad una salsa più elaborata e dal sapore delicato tipica del territorio teramano con le carni di maiale, agnello e vitello cotte nel pomodoro per conferirgli il sapore di carne, che poi vengono tolte e alla salsa si aggiungono delle polpettine di carne di vitello fritte.

    Nella seconda metà del 1900 nella fascia costiera abruzzese si cominciò a condire i Maccheroni alla chitarra anche con diverse salse di pesce. Oggi che la creatività dei cuochi non ha più barriere e remore i Maccheroni alla chitarra sono conditi con le più svariate tipologie di salse.

    A ulteriore dimostrazione di quanto i Maccheroni alla Chitarra siano il piatto simbolo della gastronomia abruzzese Il 19 giugno 2007 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha inserito i “Maccheroni alla chitarra” nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT).

    Lorenzo Pace

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    Paolo Ribaldone
    Paolo Ribaldone
    Dopo una vita dedicata ad Ampere e Kilovolt, ora dà una mano a Cose Nostre

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