Piazze Amiche
Nella Città Metropolitana di Napoli, dopo la cessazione delle pubblicazioni di A20, mensile della Pro Loco di Arzano, rimane a rappresentare – validamente – il mondo GEPLI, “Il Foglio”, periodico di informazione e cultura pubblicato dalla Pro Loco di Palma Campania. Un periodico che esce con cadenza trimestrale, e che nell’anno appena concluso ha festeggiato i 30 anni di vita al servizio della cittadina vesuviana.
Dall’ultimo numero della rivista riprendiamo, sul tema della riscoperta della “Napoletanità, tra storia e tradizione”, un articolo di Giulia Nappi, giornalista e guida turistica, collaboratrice de “Il Foglio”. Ringraziamo sia lei che Antonio Ferrara, presidente della Pro Loco editrice del giornale, per il permesso di re-pubblicazione.
LA GENTE DI NAPOLI
Sui muri dei Quartieri Spagnoli
Napoli – C’è la Napoli di via Caracciolo, una distesa di azzurro tra l’acqua del golfo e il cielo limpido, c’è la Napoli delle colline, di Posillipo, del Vomero, di Capodimonte, c’è Spaccanapoli con le meraviglie dell’arte e della fede e poi ci sono i Quartieri Spagnoli. A pronunciarle queste parole non sai cosa ti aspetta, ad affacciarti dall’elegante via Toledo su questo dedalo di vicoli pensi se ne valga la pena: “vasci” (“bassi”, i caratteristici locali su strada, anche ad uso abitativo), panni stesi e pochi angoli in cui entra il sole. Quando ti decidi, però, comincia un viaggio alla scoperta della napoletanità, la storia che incontra i social, i Santi e i Miti del presente, la città bassa e la città alta, l’accoglienza turistica 2.0 in quella straordinaria arte di vivere e di reinventarsi che è nel DNA partenopeo.
I quartieri spagnoli sono nati nel XVI secolo, quando don Pedro De Toledo ridisegnò la capitale del viceregno di Spagna aprendo la via che assunse il suo nome, asse che fiancheggiava il nucleo antico e comunicava con la “city” moderna: il palazzo vicereale e Largo Santo Spirito (che molto dopo diverrà Piazza del Plebiscito). Toledo divenne la strada della nobiltà napoletana e l’area a ridosso, in salita fino alla collina del Vomero, l’alloggio delle truppe spagnole, uno scacchiere perfetto di insule e di viottoli, i quartieri spagnoli.
Nata come enclave di soldati stranieri, la zona presto vide il proliferare di diversi fenomeni ai margini della predominante vita sociale: prostituzione, gioco d’azzardo, piccola criminalità. Un’immagine che, dopo secoli, i quartieri hanno faticato a togliersi di dosso, rievocata anche dalla stessa fisionomia urbana, così intricata e labirintica. Ma, divenuto territorio del popolo alla fine del viceregno, i quartieri hanno sempre difeso orgogliosamente la loro identità, senza mai nascondere la polvere sotto al tappeto. Così che nel Settecento nacquero qui e si diffusero in tutta Napoli le edicole votive: Madonne, Gesù vivo o crocifisso, San Gennaro fanno capolino in ogni angolo di strada, da affreschi o da cornici in alluminio, illuminati da led o da ceri votivi. I ceri votivi, infatti, sono il vero perché di questo sacro arredo urbano, uno stratagemma perfetto e in grado di far mancare il coraggio a qualsiasi malintenzionato che prima, nel buio delle strade non illuminate dalla corrente elettrica, invece agiva indisturbato. E’ qui che si trovano le più famose trattorie napoletane, dove gustare non solo la pizza ma la cucina di tutti i giorni, la pasta e patate, la genovese, quei piatti poveri che ogni giorno si cucinano nei vasci dei quartieri o alla Sanità. È qui che è nata la street art partenopea, quando all’inizio degli anni 2000 un duo di artisti originari dei quartieri, Cyop & Kaf, hanno cominciato a riempire di colore e di valori comunitari gli edifici “sgarrupati” e il degrado di certi anfratti. Loro hanno cominciato e tanti hanno proseguito, rivestendo gli scorci, i vicoli dei quartieri di immagini che sono divenute veri simboli di appartenenza al luogo e, oggi, attrazioni turistiche.
Giungendo dalla Pignasecca, quartiere popolare di confine, in vico San Liborio si incontra il vascio di Filumena Marturano, la leggendaria prostituta nata dalla penna di Eduardo De Filippo che al cinema prese il bel corpo e il volto di Sophia Loren, lo stesso rappresentato sull’uscio. Vero o falso, poco importa: De Filippo lo fa dire a Filumena, in un passo celeberrimo della commedia, che è nata lì, dove l’inverno faceva tremare i denti e l’estate mancare il respiro. Qualche insula dopo compare la Tarantina, una bionda signora che stringe ‘o panariello (il bussolotto della tombola) tra le mani; è Carmelo Costa, riconosciuto come il primo “femminiello” di Napoli, oggi diremmo un transessuale, negli anni ’50, quando Carmelo giunse a Napoli dalla Puglia, una femmina un po’ sui generis che in questa città fu accettata e scelse di vivere. Cammina cammina e si incontrano “’e scugnizzi d’e’ quartier”, Sophia Loren e Bud Spencer. Non esattamente nati ai quartieri ma giunti alla gloria del cinema internazionale valorizzando le proprie radici partenopee, Sofia e Carlo – come chiamati all’anagrafe – sono due ragazzi che ce l’hanno fatta e per questo si sono meritati un posto in Largo Baracche, una delle poche piazzette dei quartieri. E come loro tanti sono i napoletani che hanno fatto fortuna e sono celebrati sui muri dei quartieri spagnoli: Pino Daniele, Renato Carosone, Massimo Troisi, Luciano De Crescenzo, Totò. Già, Totò. Figlio illegittimo di un principe decaduto, nacque nel quartiere Sanità, tirato su solo dalla mamma che da Antonio lo ribattezzò Totò. C’è la memoria di questo importante legame nel vicolo Totò, con i versi dipinti della poesia “A cchiù sincera”, scritta per la mamma e ci sono le immagini che hanno reso celebre Totò nel mondo, con la bombetta, vestito da donna nel ’62 in Totòtruffa, nei panni di Superman. In parallelo al vicolo Totò, infine, c’è uno dei murales più antichi, realizzato nel 1990 da un giovanissimo tifoso del Napoli che per festeggiare la vittoria del secondo scudetto immortalò sul fianco di un palazzo, sino al secondo piano di altezza, il mito, l’eroe di quegli anni ruggenti per la squadra partenopea: Diego Armando Maradona.
Via Emanuele De Deo spontaneamente divenne ritrovo dei tifosi, anche negli anni poco gloriosi della serie B e dei disastri legali e sportivi di Maradona. Nel 2017, sull’onda di questa vivace verve creativa che ha contagiato i quartieri, il murales fu ripreso da un artista argentino, Francisco Bosoletti che sul palazzo accanto ha dipinto la seducente ed enigmatica Pudicizia, opera di Antonio Corradini custodita nella Cappella Sansevero e alter ego della dea egizia Iside. Dopo il 25 novembre 2020, giorno in cui è scomparso Diego Armando Maradona, il luogo è diventato memoriale dell’amatissimo campione, adornato da bandiere, cuori e frequentato ogni giorno da centinaia di turisti, oltre che di tifosi. Tanti, ancora oggi, vengono qui per accendere un lumino dinanzi al murale, bambini e ragazzi vengono a scattarsi un selfie in questo immenso photobomb a cielo aperto, forestieri e napoletani visitano questo posto che racconta Napoli pur essendo dedicato a uno straniero, un ragazzo della periferia povera di Buenos Aires, con piaceri e vizi comuni, che è diventato qualcuno tirando calci ad un pallone.
Giulia Nappi