Un Don per amico

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Questo racconto è ispirato alla vicenda umana di don Giovanni Balocco. Amico di noi tutti.
A lui questo brano è dedicato.

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La porta della camera da letto si aprì e l’ostetrica, rivolgendosi a Marco, disse:
” Marco, dai vieni: Maria, tua moglie, ha appena dato alla luce un bel maschietto. Corri!” Era il 21 Marzo 1936.
Marco Balocco, un contadino di Benevagienna, gran lavoratore e marito affettuoso, con il cuore che palpitava, si precipitò nella stanza.
Adagiato al fianco di sua moglie c’era il suo primogenito. L’emozione gli bloccò le parole in gola. Non osò accarezzare il neonato, aveva paura che le sue manone da contadino, robuste e callose, potessero graffiare la tenera pelle del bimbo.
” Lo chiameremo Giovanni, per ricordare quella che sarebbe stata sua nonna e che sin chiamava Giovanna”, disse Marco. Maria acconsentì con un sorriso.
A Giovanni seguirono due femminucce: Maria e Maddalena, chiamata Lena. Le amate sorelline.
Da subito Giovannino si dimostrò un bimbo sveglio e curioso. Faceva mille domande. Osservava con attenzione ogni cosa.
Con il tempo emerse in modo chiaro la sua predisposizione per gli studi.
Quando giunse l’età giusta per andare a scuola suo padre gli disse:” Mi raccomando studia. Faremo anche sacrifici se necessario. Mi piacerebbe che tu diventassi un buon medico. Diventerai uno importante. Forse addirittura medico condotto. Una vera autorità”.
Giovannino compì i primi cicli scolastici a Benevagienna, poi medie presso i Salesiani.
Anche i primi anni del ginnasio li frequentò presso i Salesiani, ma a Chieri.
Durante questi primi anni di frequentazione dei Salesiani, Giovanni fu favorevolmente colpito dal metodo di studio e dal rapporto che essi instauravano con i giovani. Comprese che il “metodo preventivo”, ideato da don Bosco, era l’ideale per prevenire devianze giovanili e indirizzare gli stessi su un percorso virtuoso. Accompagnandoli verso un percorso di vita sano, sarebbero diventati buoni cittadini e cristiani.
Questa esperienza lo portò alla scelta di entrare nel seminario:” Voglio diventare salesiano, voglio occuparmi dei giovani”, diceva Giovanni.
Papà Marco non gradì questa scelta. Lo voleva medico. Comprese le istanze di suo figlio. Sospirando disse:” Anche occupandosi dei giovani compie una missione. Va bene così.”
Giovanni compì gli studi del ginnasio e noviziato a Chieri, Pinerolo e Bollengo. Completò gli studi in teologia e si laureò in storia e filosofia. Prese i voti a Foglizzo dove compì ulteriori studi e cominciò l’attività di insegnante.
Dopo qualche anno il seminario di Foglizzo chiuse per mancanza di vocazioni.
Che fare? Era giunta l’ora di decidere che indirizzo dare alla sua vita. La certezza era data dal fatto di voler restare nel mondo dei giovani. A contatto con essi. Non si vedeva proprio nei panni di parroco.
Prese la decisione definitiva: avrebbe partecipato a un concorso per insegnare nelle scuole statali. Vinse e gli venne assegnata una cattedra in storia e filosofia a Mortara. Si rivelò una destinazione felice.
A Mortara visse un periodo di insegnamento breve ma intenso. Cruciale dal punto di vista formativo. Nacquero amicizie destinate a durare una vita.
I suoi superiori non apprezzarono la decisione di insegnare nelle scuole statali. Giovanniinvece fu deciso:” Voglio restare a contatto con tutti i giovani a prescindere dal loro orientamento. Voglio insegnare e dialogare con loro come una persona qualunque. Solo confrontandoci con tutti possiamo capire in che società viviamo.”
Diventò prete secolare.
Questa scelta si rivelerà felice. Un episodio lo conferma.
Don Giovanni e l’insegnante di religione avevano accompagnato la classe in gita a Recanati, la città dove nacque Leopardi. Visitarono anche Loreto.
La sera c’era la messa. Non imposero la partecipazione. Ognuno era libero di decidere. Solo la metà degli studenti partecipò. Ovviamente, i due insegnanti non fecero appunti agli assenti. Dopo la messa uno degli studenti, che non aveva aderito alla celebrazione, disse loro:” Non siamo venuti apposta per vedere se rispettavate la nostra scelta. Abbiamo apprezzato il vostro comportamento.”
Questo atteggiamento aperto e dialogante faceva sì che i ragazzi esprimessero stima e amicizia nei suoi confronti.
Durante i fine settimana, in qualità di sacerdote, iniziò a collaborare con la parrocchia di Volpiano. In breve diventò amico del parroco, don Mario.
Questi lo presentò al cardinale Pellegrino, grande pastore in quella turbolenta Torino degli Anni Settanta. Pellegrino apprezzò la sua decisione di insegnare nelle scuole statali:” Dobbiamo stare in mezzo alla gente a prescindere dal loro orientamento. Solo in questo modo saremo lievito e potremo svolgere un ruolo.”
Quando don Mario andò in pensione iniziò a collaborare, il sabato e domenica, con la parrocchia di Caselle, affiancando don Claudio.
In breve diventò amico di tutti.
Il suo carattere aperto e gioviale lo spinge naturalmente verso le persone. Dialoga con tutti.
Il nostro Don ama viaggiare. Ha compiuto viaggi in ogni dove. Per scelta, sempre da solo. Ha amici anche in Canada e Australia, suoi ex studenti.
“Viaggiare è molto importante, – dice – conosci il mondo. Impari ad apprezzare le diversità. Comprendi che i tuoi problemi sono uguali a quelli di chi sta dall’altra parte del mondo. La tua mente si apre.”
Tutte queste esperienze lo aiutano a capire che, per essere un buon insegnante, occorre un metodo che abbia alla base una solida preparazione. Questo è ovvio. “Soprattutto, – riflette – non bisogna vendere fumo. I ragazzi se ne accorgono e non perdonano. Inoltre bisogna essere molto chiari e senza ambiguità. Quando iniziavo un nuovo ciclo i ragazzi, vedendo la piccola croce sul bavero, dicevano: – Lei è prete?- Rispondevo: – Certo che sì. Ma qui sono solo il vostro insegnante di storia e filosofia. -”
Non vendere fumo. Ecco un insegnamento per l’oggi. Utile in una società splendente di benessere ma oscurata dal fumo della vuota apparenza.
Con il suo bastone don Giovanni continua a mischiarsi ai Casellesi.
Ama la buona tavola.
“Ricordiamoci, -dice- quando ci si siede a tavola e si mangia assieme, di fare un gesto che ci fa incontrare e smussa le asperità. Chiediamoci perché Gesù compie i gesti più significativi a tavola. Dove sedevano tutti.” Già, perché?
Facciamo così: continuiamo la discussione al tavolino del bar, mentre beviamo un caffè.

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