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Comune di Caselle Torinese
lunedì, Aprile 29, 2024

    R.S.A. Dancing

    Good Morning Cose Nostre! Questo mese vorrei parlarvi di una trappola. L’ennesima trappola nella quale sono caduto, nonostante la mia eterna diffidenza verso alcune… promozioni.
    Era da parecchio tempo che sentivo parlare di questo posto miracoloso, una trattoria piemontese  dove oltre a mangiare bene si svolgono dei concerti di ottimi gruppi.
    Considerando che i locali dove si suona sono quasi tutti scomparsi come le vere “Piole”, per non andare sempre negli stessi decisi di provarci, fermo restando che come saprete non mi interessano quei siti Internet dove si possono trovare migliaia di commenti riguardo ogni ristorante, hotel, trattoria o gabinetto: è curioso come, da quando c’è quell’enorme bidone di spazzatura chiamato Internet, siamo diventati tutti esperti chef e non vediamo l’ora di consigliare dei perfetti sconosciuti con i nostri gusti personali, salvo poi accoltellarci fuori per una mancata precedenza.
    Decisi per un gruppo molto ricercato a Torino (pensavo per bravura, invece sono proprio ricercati dalla Polizia) che esegue cover di brani beat anni 60: Edoardo Vianello, Gianni Morandi, Caterina Caselli, Rita Pavone, Fred Bongusto eccetera (per i Millenials: andate a cercare questi artisti su qualche Storia del rock cartacea. Anche se nessuno di loro prende a calci dei fiori, vi assicuro che sono molto gradevoli da ascoltare. Potreste persino scoprire la musica). Insomma, potrei definirlo quasi il mio genere.
    Per mia fortuna (pensai), suonavano di mercoledì. Perfetto, non avrei trovato molto casino sia come traffico (la trattoria si trova nei dintorni di Piazza Solferino, in pieno centro maledizione) che come avventori del locale: di solito la gente esce dal venerdì. Che illuso che sono: prima della pandemia uscivano dal venerdì, adesso che sono tutti impazziti escono tutte le sere fino a tarda notte.
    Dato che ultimamente la famigerata rotonda di Piazza Baldissera è diventata un ingorgo di auto ferme per delle ore, tra lamiere roventi e curiose imprecazioni in tutti i dialetti specialmente stranieri, decisi saggiamente di uscire dalla bretella Caselle-Torino e percorrere tutta Via Cigna fino a Piazza Statuto, per poi prendere Via Pietro Micca (quello che ha inventato il pane).
    Calcolai che avrei impiegato una mezz’oretta, grazie anche al fatto che tutti i tristi impiegati escono intorno alle 16.30, per cui al mio passaggio delle 18.30 non avrebbe dovuto esserci nessuno.
    Due ore. Impiegai due ore per percorrere tre km. circa, perché oltre a me, anche i guidatori delle altre diecimila auto incolonnate decisero di non passare da Piazza Baldissera: che bello, mi mancavano proprio queste situazioni da “Partenze intelligenti” e “Bollini neri” per le vacanze. Pazzesco.
    Arrivai in Piazza Solferino già con tachicardia, visioni sacre e pressione a duecento, con una lieve incazzatura, ed ero già in ritardo: dovevo solo trovare parcheggio. Peccato che in questa piazza ci siano migliaia di uffici, banche e locali, oltre al Teatro Alfieri: dopo averla girata una quindicina di volte (il vigilante della banca si insospettì dal mio quinto passaggio e mise mano alla Smith&Wesson), mi nascosi dietro un furgoncino in attesa di tendere l’agguato. Finalmente un Suv Mercedes che occupava tre posti andò via. Era fatta. Salutai la mia auto che credevo di non ritrovare mai più, e mi avviai.
    La trattoria non è niente di che: un grosso stanzone con il bancone in fondo, un discutibile arredamento a metà tra vintage e moderno e decine di tavolate preparate, che oltre a preoccuparmi molto, si riempirono completamente di gente rendendo l’aria subito irrespirabile.
    Unica consolazione, il più giovane ero io, c’era una media di età oltre ai centoventi anni. Mamma mia che fans club che ha questo gruppo: diciamo che se a Striscia la Notizia hanno le Veline, questo gruppo ha le Pergamene. Se INPS o quelli di Prevenzione Serena avessero fatto una retata, ci avrebbero presi tutti.
    E così, il locale che secondo me avrebbe dovuto essere mezzo vuoto, straboccava di gente lievemente agè che parlava anzi urlava per farsi capire, apparecchi acustici permettendo.
    Non mi restò quindi che cenare, in attesa dell’esibizione: qui compresi che questo locale (come molti altri) si spacciava per trattoria, ma con prezzi decisamente molto più alti da ristorante di lusso causati anche dalla maggiorazione per il concerto, cosa che ritengo molto disonesta perché non lo fa nessuno in città, almeno che io sappia.
    Quando suonavo con i Monsters, nessuno delle decine di locali a Torino ci ha mai omaggiati della maggiorazione. Anzi, a causa delle birre consumate a volte eravamo noi a pagare il locale…
    Comunque, i miei quattro grammi di antipasto e i miei cinque agnolotti al sugo di arrosto bagnati da un calice di Dolcetto servito con il contagocce furono molto buoni: avrei preso volentieri del dolce, ma non mi andava di accendere un mutuo.
    Quando tutti erano solo all’antipasto, il gruppo iniziò a suonare. Ora, chi è musicista e suona nei locali, sa che non c’è niente di più triste che suonare davanti a delle tavolate, perché la gente pensa solo a strafogarsi e a parlare e quasi nessuno ascolta il gruppo. Andò proprio così, almeno all’inizio.
    Mi ricordai di quei discutibili programmi che trasmettevano le varie televisioni private tipo “Tele Erbaluce del Canavese” o “Rete Raschera dal Cuneese”, dove in enormi locali si esibivano gruppi di liscio davanti a centinaia di tavolate: in pratica dieci ore di concerto e cena, dove alcuni rimasero seduti per sempre a causa del troppo vino o della gonna troppo corta della cantante. Tristissimo.
    Questo gruppo che si spaccia alla grande non mi piacque per niente: erano imprecisi e stonati, e mi massacrarono tutti i brani, uno per uno, sbagliando cori e accordi.
    Ma posso anche capirli, perché avevano a disposizione due centimetri quadrati e dovevano rimanere immobili per non immergere gli strumenti nell’insalata russa. Inoltre, dato il pubblico, dovettero cambiare alcuni titoli dei brani, come “Prendiamo in affitto una bara” di Edoardo Vianello, “Tu hai troppo sale” di Gino Paoli, “Nessuno mi può operare” di Caterina Caselli , “Deambulare” di Domenico Modugno, “Io moribondo” dei Nomadi, “C’è una strana cataratta nei tuoi occhi” dei Rokes, “Stai lontana da me (hai il Covid)” di Celentano, “Tu che hai la lastra in mano” di Carosone, “Pancera gialla” di Gianni Pettenati, “Varicella di Luna” di Mina e infine la più moderna “Tu chiamale se vuoi, emorroidi” di Lucio Battisti. Curiosità: sapevate che già negli anni 70 c’era il politicamente corretto? Il nostro grande Lucio dovette variare il titolo ad un suo brano, perché la censura non l’avrebbe accettato. La canzone, che aveva intitolato “Testicolo pulito” dovette essere rinominata “Balla Linda”.
    A proposito, se volete sentire un ottimo gruppo di musica beat anni Sessanta, consiglio vivamente i Re Beat: sono della nostra zona e sono veramente bravi, guidati dalla formidabile cantante Ilaria.
    Era veramente triste: avete presente il Capodanno nel film di Fantozzi? Stessa cosa. Oppure, ancora peggio, un matrimonio tra un “Bacio, bacio”, una lambada e il triste imitatore di Elvis di turno.
    Dopo alcuni brani la gente finì la cena e si scatenò, o meglio cercò di ballare tra un tavolo e l’altro perché non c’era spazio: in un tripudio di pancere, pastiglie per la pressione, pantaloni con paillette, dopobarba da dieci euro a damigiana e defibrillatori, mi trovai così catapultato nella balera, nel vecchio Dancing della Torino degli anni Sessanta. Oppure in una R.S.A.
    Ora capisco perché fuori c’era un’ambulanza parcheggiata.
    Per fortuna rimasero tutti al loro posto: avevo il terrore che ad un certo punto partisse il trenino con “Eeeeh mi amigo Charlie, Charlie Brown”. Non avrei retto quel poco che ho mangiato…
    Comunque, tra il calore, i nuovi virus a quintalate, il profumo di umanità ed il rumore non ce la facevo più: a metà concerto fuggii per sempre da questo locale e piansi nel ritrovare la mia auto ancora intatta, senza nemmeno una riga, un graffito o la plin plin di un cane sopra una ruota, che è il miglior amico dell’uomo, ma non delle gomme delle nostre auto.
    Sulla strada del ritorno, dato che avevo fame, decisi di fare un salto alla mitica Divina Commedia per vedere chi suonava. Davanti al pub c’erano delle Harley parcheggiate, e questo bastò a risollevarmi il morale: il mio mondo esisteva ancora e stava ritornando a prendermi.
    Fui fortunato perché l’ottimo gruppo era una mia vecchia conoscenza che proponeva cover dei Creedence Clearwater Revival. Vero Southern Rock suonato con veri strumenti.
    Questa sì che è vita: mentre due ragazze bikers ballavano sul tavolo, mi gustai le penne al Jack Daniels, una Tennent media e la mitica musica di John Fogerty!

    Bear

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