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martedì, Dicembre 3, 2024

    Cosa conta davvero nell’inflazione mediatica?

    Russia e contro-Russia

    Dopo le bolle mediatiche che hanno monopolizzato l’ultimo decennio ( l’“economismo” nel momento della crisi finanziaria e il “virologismo” durante la pandemia), con la guerra d’Ucraina è venuto il turno della telenovela politico-militare.
    Dapprima, nelle ultime settimane s’è assistito ad alcuni proclami violentissimi da parte Yevgeny Prigozhin, capo della compagnia militare privata Wagner e già celebre figura di potere russa. Costui, fedelissimo di Putin da almeno un ventennio, ha manifestato l’intenzione d’un colpo di mano, se non di Stato. Chi è questo Prigozhin? In sintesi: proprietario di società coinvolte nello scandalo delle interferenze russe nelle elezioni politiche americane del 2016 e del 2018; fondatore della compagnia Wagner, direttamente legato al Ministero della Difesa russo per affari di controspionaggio.
    Yevgeny Prigozhin il 23 giugno scorso ha dichiarato di voler marciare su Mosca, e con i propri sodali fino a 200 chilometri dalla capitale l’ha fatto, col fine di epurare la Presidenza e il Ministero della Difesa. Ad un certo punto, per evitare «un enorme spargimento di sangue», Prigozhin ha deciso di cambiar versione e rotta, rettificando che la marcia aveva soltanto carattere dimostrativo e spostandosi (forse, per il momento) in Bielorussia.
    Ora, s’è detto tutto e il contrario di tutto in proposito, e che la Russia sia zeppa d’oligarchi e poteri in lotta fra loro è storia, ma cosa conta davvero tutto questo per l’Italia e l’“Occidente”? Può esser vero che la Russia viva una crisi disgregante tra Forze Armate, Wagner e Presidenza, come ancor più reali sono le enormi lacune tattiche, le insufficienze logistiche e la dilagante corruzione nelle catene di comando e fra gli attori protagonisti della guerra che hanno generato nei mesi non poco malcontento. Tuttavia può darsi che, prendendo in analisi i curricula di Putin e Prigozhin, la messa in scena sia stata preparata a regola d’arte al fine di dissimulare una crisi interna e confondere il fronte ucraino. Se invece davvero si fosse ormai generata una frattura fra il “comandante” e il presidente… un colpo di Stato non si proclama, si fa. Similmente a quanto avvenne in Italia nel 1970 con Borghese poi, il colpo anche soltanto ventilato o minacciato, legittimò il potere (e la repressione) da parte del governante. Inoltre, i 25 mila uomini impegnati dalla Wagner nel presunto putsch erano un po’ pochini per impossessarsi della Federazione Russa.
    A corroborare quanto detto, precedenti le dichiarazioni del capo della Wagner, ci sono le parole di Dmitrij Trenin, professore dell’Alta scuola di economia di Mosca, che si è pronunciato così a proposito dell’esito della guerra: «Il principale campo di battaglia per la Russia è interno. […] La sconfitta significherebbe capitolazione all’esterno e disintegrazione interna. Ma non credo che ciò accadrà». Ecco l’essenza del conflitto, e su questa si possono immaginare scenari ed esiti.
    Malgrado sia comprensibile e condivisibile una velata esultanza per l’Ucraina da parte di molti organi di stampa, qualora come accennato si prospettasse realmente una deriva disgregante per la Russia, c’è da tener presente che l’implosione della Federazione rappresenterebbe una catastrofe per l’ Occidente, in primis per l’Unione europea, al pari se non peggio della guerra in corso. Armi nucleari in mano ad islamisti, fanatici politici e criminali d’ogni tipo? Una Libia grande quanto un continente (con 6.000 testate nucleari, repetita iuvant)?
    Secondo per gli Stati Uniti, come ricorda Lucio Caracciolo: “La maggioranza resta affezionata alla “dottrina Eisenhower” fissata nel 1953, per cui non c’è nulla di peggio della vittoria totale in una guerra totale contro Mosca. Perché implica lo scontro atomico. E perché il vincitore avrebbe la scelta fra occupare e gestire il vinto – con ciò scadendo a classico impero-caserma, contro la sua natura liberale – o lasciare che se ne occupi, a suo modo, il super-nemico di oggi e di domani: la Cina” . Gran belle prospettive.

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