Avventura a Briançon

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Good Morning Cose Nostre! Il mio caro dottore, dati i disastrosi esiti degli esami annuali che sono un trionfo di colesterolo e trigliceridi, mi dice sempre che devo bere molto, mangiare sano e fare moto.
Visto che ormai l’autunno e forse l’inverno non esistono più, a causa dei tragici cambiamenti climatici che preoccupano molte persone, talmente preoccupate che sono ancora felicemente in spiaggia, decido di seguire i suoi consigli: prendo la mia Harley per celebrare il rito annuale a Briancon, ovvero la Raclette innaffiata da un buon vino rosso (quindi c’è tutto: bere molto, mangiare sano e la moto).
Così, mentre aspetto la compagna che si restauri velocemente per il viaggio, sistemo il catetere e il defibrillatore cromati sul manubrio e cerco il kit di pronto soccorso, da qualche parte in cantina.
Motociclisti attenzione: in Francia la Polizia è parecchio severa con i bikers stranieri, se non volete prendere una multa dovete avere nelle borse il gilet giallo in stile ANAS, e il kit di pronto soccorso.
Eccolo, l’ho trovato; anche se piuttosto vecchiotto (scaduto nel 1965) va bene lo stesso, se non lo aprono e scoprono la pomata all’ittiolo e il cotone giallo emostatico, dei veri medicinali vintage.
Partiamo alle otto rigorosamente in un giorno feriale, per evitare la plebaglia che la domenica infesta ogni strada praticabile; faccio subito benzina così mi tolgo il pensiero: sono duecentocinquanta km. totali, cinquecento euro di pieno dovrebbero bastare. In effetti la benzina è lievemente aumentata.
All’imbocco della famigerata tangenziale a Venaria, mi si presenta una infinita coda di auto, camion, furgoni e TIR. Un quarto di tutti questi mezzi sono dei catorci con omologazione Euro 1 o al massimo Euro 2: per fortuna in Italia finisce sempre a tarallucci e vino, e questi potranno tranquillamente inquinare ancora per almeno due anni, alla faccia del clima e delle sue disastrose conseguenze future.
Sono tutti fermi. Quindi, con grande tensione e con le auto a cinque centimetri dalla targa della moto (questi imbecilli non capiscono che se dovessi frenare improvvisamente sarebbe un disastro) inizio il pellegrinaggio; ogni tanto provo a passare in mezzo alla fila, con lo scappamento dei TIR che mi fa i colpi di sole, ma è pericoloso perché c’è sempre il menefreghista che forse per un trauma infantile (i genitori non hanno mai voluto comprargli la moto) non ci fa passare e ci chiude tra il suo SUV e il camion affiancato, creando un curioso sandwich uomo-macchina, degno della migliore I.A.
Notevoli i soliti furbetti intelligenti che sorpassano tutti sulla corsia di emergenza, per poi giustamente ricevere una bella cartolina di saluti dalla Polizia di Stato, con sospensione della patente, spero.
Comunque, finito l’incubo di questa superstrada ormai ingestibile e impraticabile, dimostrazione che i motori a combustione non saranno mai eliminati perché con la benzina i petrolieri guadagnano miliardi, usciamo sulla statale in direzione Susa. Che bello, finalmente un minimo di relax. Magari.
C’è una categoria di utenti della strada che sono quasi tutti dei criminali: i corrieri.
Sorpassano a sinistra, a destra anche in terza fila, e hanno sempre una fretta pazzesca: merito del progresso, della tecnologia e di tutti coloro che comprano on line. Se me li vedo arrivare da dietro, cerco di stare a destra il più possibile, perché tanto passano lo stesso arrotandoti. Terribile.
Finalmente compaiono i primi tornanti dopo Susa, in direzione Oulx e Claviere: che bello percorrerli in quarta con un filo di gas sentendo il grosso motore bicilindrico dalla enorme coppia che borbotta ai bassi giri pennellando i curvoni, guardando il panorama sottostante. Magari.
Gli emuli di Valentino Rossi, ovvero gli smanettoni che guidano potentissime moto specialmente jap credendo di essere in pista per poi schiantarsi sulla prima curva che “stringe” essendo incapaci di governare dei missili simili (bella zio, ma su Tik Tok questo tornante sembrava facile), mi sorpassano in piena curva facendo un piego talmente azzardato che raschiano le spalle sull’asfalto. Alcuni con la ragazza appollaiata sui due centimetri quadrati di sellino, per la quale provo persino apprensione.
Purtroppo, su queste strade sono morti in parecchi in una strage senza fine: a lato strada ci sono delle foto con dei fiori, tristi testimonianze di chi correva troppo.
Quindi anche in questo caso devo guidare con la massima attenzione. Ma come si fa a rilassarsi in un mondo di esauriti? Tutti incazzati, tutti che corrono, tutti che ti insultano se fai notare qualcosa.
Comunque, alla fine di Indianapolis siamo arrivati ancora vivi alla frontiera: vedo con piacere che sono tornati i poliziotti che fermano le auto, specialmente camper e furgoni.
Effettivamente i francesi sono più rigidi di noi, che stiamo trasformando l’Italia in un hotel gratuito per gente diversamente abbronzata. Non ci controllano perché sarebbe difficile nascondere un migrante nelle borse della moto, poi avranno visto il mio volto cereo ancora terrorizzato dai furgoni dei corrieri.
I tornanti che conducono alla cittadina sono spettacolari, con panorami mozzafiato: belle anche le varie scritte che incontriamo lungo il percorso, come “Abbasso le frontiere”, A.C.A.B., “No Tav”, “Liberate Tizio” eccetera, dimostrazione che anche in Francia c’è una bella e sana gioventù educata.
Ed è anche molto rilassante passare davanti a decine di camionette della Gendarmerie, con i poliziotti in assetto anti sommossa che ci squadrano, pronti alla battaglia. Siamo in zona di guerra.
Briancon è decisamente migliorata dall’ultima volta che l’ho vista: hanno riaperto diversi negozietti e alcuni ristoranti, e c’è un bel via vai di turisti stranieri e italiani (li riconosco dai pietosi marsupi, agganciati sotto la pancia o indossati obliquamente, li vieterei per legge: un insulto al buon gusto).
Parcheggiata la preziosa moto, nella speranza di ritrovarla almeno intera e non presa in ostaggio da qualche “Comitato di lotta antiamericano” ci incamminiamo nella caratteristica stradina centrale, divisa da una piccola e graziosa fognatura a cielo aperto che la percorre tutta longitudinalmente.
Il ristorantino è notevole: arredato con gusto, dove prevalgono pietra e legno; la Raclette è ottima, così come il leggero vino rosso. A causa di questo, e della feroce lampada da diecimila watt che scalda il formaggio a un centimetro dal viso, nel giro di dieci minuti sono paonazzo e straparlo iniziando una terrificante critica sui No Tav e No Vax, suscitando i sospetti di alcuni militanti di un centro sociale seduti fuori che iniziano a guardarmi male pensando che sia uno sbirro infiltrato nelle loro colonne.
Dopo questa ottima mangiata, dolce compreso, mi sono reso conto che la qualità della cucina in Francia in alcuni ristoranti è decisamente migliorata; qualcuno potrà obbiettare che la Raclette è solo formaggio fuso, patate e verdurine, e si può fare benissimo a casa. Verissimo, ma mangiarla in un localino in Francia soprattutto a cena è tutta un’altra storia. Molto più intimo e romantico.
Usciti dal ristorante verso le 15, una piccola deambulazione barcollante in giro per il paesino con quaranta gradi all’ombra (siamo a ottobre, andrà tutto bene) e poi in sella: è ora di rientrare, ci aspetta una giungla piena di pericoli da superare ad ogni angolo.
Infatti, ecco il pericolo nei tornanti dopo Claviere: il famigerato pensionato con la Panda.
Se prima le auto viaggiavano a duecento all’ora su statale (tra l’altro piena di Autovelox probabilmente manomessi o rotti), ora siamo all’opposto: va a trenta all’ora, nonostante il divieto sia dei settanta.
Bisognerebbe spiegare a questi personaggi che anche la Panda non ha solo la prima e seconda marcia, ma potrebbero usare anche le altre tre. Questo pericolo ambulante viaggia tutto a sinistra, e ha creato una coda di almeno dieci km; alcuni automobilisti insofferenti hanno sorpassato in punti ciechi, in curva o a destra, provocando incidenti e formando altre code; gli smanettoni non hanno problemi, forse non lo hanno nemmeno visto. I corrieri tentano di affiancarlo e buttarlo nel burrone, ma sono troppo larghi per la carreggiata. Riesco a sorpassarlo in un rettilineo, pregando S. Elvis: eccolo lì tranquillo, con il motore a ottocentomila giri in seconda che chiede pietà mentre parla con la signora a fianco, ascoltando Radio Maria a manetta, dimostrazione che forse qualcuno lo sta proteggendo.
Giunti nuovamente a Susa, ci fermiamo in un bar per rilassarci un attimo, non prima di aver rischiato l’incidente a causa di un deficiente su una vecchia Punto che non mi ha dato la precedenza non rispettando lo stop: per fortuna la mia guida è molto prudente, specialmente se non sono solo in sella.
Bevendo un’aranciata per sopperire alla “mappazza” del formaggio, si parla poco: la tensione e la stanchezza hanno preso il sopravvento. Abbiamo percorso pochi km. in giornata, eppure mi sembra di essere in giro da un mese. L’età non c’entra o meglio c’entra poco, ci sono motociclisti molto più anziani di noi. Il discorso è che è diventato impossibile andare ovunque, per la moltitudine di cafoni, prepotenti e incapaci che hanno conseguito la patente al Grande Fratello. Ecco il vero problema.
Al rientro, niente più orrende tangenziali o autostrade, ma la più sicura strada di Givoletto-La Cassa; poco importa se una mandria di mucche che rientra dagli alpeggi ci fa aspettare un’ora buona, almeno nessuno può sorpassare e non rischiamo di ucciderci. E poi c’è un…buon profumo di natura.
Arrivati ancora una volta vivi a casa, finalmente un vero relax dopo la doccia: sto pianificando un nuovo giro a Valloire, con il passaggio sugli spettacolari Colli Autaret e Galibier. In autobus, però.

Bear

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