Il diritto internazionale: tanti dubbi

Gli spostamenti di massa sono mezzi geopolitici che possono superare la soglia ordinaria delle azioni di sicurezza e difesa d’uno Stato. Per dirla con Romano: «Uno studioso americano ha scritto che i migranti non sono soltanto gli effetti di un conflitto: sono anche un’altra arma, non meno efficace di quelle che vengono usate nelle guerre moderne»...

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Si conviene tutti che il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, insieme con la Risoluzione 3314 (XXIX) del 1974, disciplini tra le altre attività belliche il “blocco navale”, considerandolo come strumento di guerra, tuttavia è altrettanto vero che gli spostamenti di massa sono mezzi geopolitici che possono superare la soglia ordinaria delle azioni di sicurezza e difesa d’uno Stato. Per dirla con Romano: «Uno studioso americano ha scritto che i migranti non sono soltanto gli effetti di un conflitto: sono anche un’altra arma, non meno efficace di quelle che vengono usate nelle guerre moderne».
Le vulnerabilità del diritto internazionale vengono spesso sfruttate da stati e attori non statuali, come organizzazioni terroristiche e criminali – ma anche ong – poiché consci dell’acquiescenza da parte di chi si professa tra i “padri fondatori” – e lo è – della struttura giuridica internazionale, ovvero i Paesi europei insieme agli Stati Uniti. Se però quest’ultimi, gli Americani, credono fermamente d’essere «giudice» in campo, concedendosi ampie deroghe e libertà di manovra, il Vecchio Continente sente di doversi punire seguendo, senza dubbi, una via che è sempre stata opinabile, ma in questa stagione politica di frizioni e attriti a livello internazionale, soprattutto culturali, andrebbe messa decisamente in discussione, ovvero quella del diritto umano globale prima di tutto.
«L’Italia resta la principale porta di ingresso nel Vecchio Continente, dovendo gestire sia gli ingressi via terra a Trieste attraverso la cosiddetta “rotta balcanica” sia i flussi marittimi attraverso il Mediterraneo», dice Limes di Settembre. Trieste nel 2023 ha visto arrivare 7.890 persone dalla rotta orientale, mentre quella centrale dell’Africa resta la più corposa e logorante per la Penisola: «Dal 1° gennaio al 1° settembre 2023 si sono registrati 114.526 sbarchi. Al netto degli individui ancora in fase di identificazione, i primi quattro paesi d’origine dei migranti sono africani: Guinea (13.052), Costa d’Avorio (12.763), Tunisia (9.283) ed Egitto (8.058). Seguono Bangladesh (7.035), Pakistan (6.175), Burkina Faso (6.076), Siria (4.428), Camerun (3.797) e Mali (3.604). Dal 2021 al 2023 si è assistito a un’impennata degli sbarchi (+290%): 39.410 nel 2021, 58.251 nel 2022, 114.526 nel 2023.», voce del Ministero dell’Interno. Sullo scacchiere mediterraneo la Libia è uno stato fallito e la Tunisia gioca la carta del ricatto sui soldi europei, dopo aver firmato un accordo ben preciso, alla stessa stregua della Turchia che governa illegalmente in Tripolitania e decide le sorti della rotta balcanica, anch’essa con l’arma estorsiva. L’Algeria non vigila come dovrebbe su organizzazioni che operano al proprio interno falsificando documenti, come riportato dal TG3 Piemonte il 28 settembre scorso. Varrebbe a questo punto la pena di contemplare una riforma delle regole del gioco, a proposito delle possibili risposte coercitive a livello internazionale verso azioni destabilizzanti camuffate da richieste d’assistenza. L’Unione Europea potrebbe comunque legalmente riportare i migranti al punto di partenza con Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) che nel Mediterraneo centrale nessuno ha mai vista in azione . Ai sensi poi degli articoli 17, 18, 19 e 21 della Convenzione di Montego Bay del 1982 e dell’articolo 83 del Codice della Navigazione, è assolutamente legittimo negare a qualsiasi imbarcazione l’accesso a un proprio porto, a ragione di sovranità e per ragioni di sicurezza. In più c’è da dire che nessuno dei Paesi di provenienza sopramenzionati, salvo la Siria per certi versi, sta attraversando una guerra; molti vivono un alto livello d’instabilità che però non giustifica asilo. Il Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’Ue, ha abbozzato l’8 giugno scorso una riforma del “Patto Ue su Migrazione e Asilo” che prevede le seguenti modifiche: valutazione delle domande d’asilo alle frontiere esterne dell’Unione; se la domanda risulta esser infondata o inammissibile, gli Stati di primo approdo (Italia, per es.) entro sei mesi dovranno gestire o il rimpatrio, oppure il trasporto verso gli Stati di transito, ad esempio Libia e Niger. Una buona proposta che nonostante qualche capriccio umanitarista e da parte della magistratura in patria, nell’Ue potrebbe prossimamente trovare attuazione, anche se la citazione voluta nella bozza ultima dal governo tedesco all’incontro di Bruxelles del 4 ottobre: «Le operazioni umanitarie non devono essere considerate come strumentalizzazione delle migrazioni, quando non sussiste il tentativo di destabilizzare uno Stato membro», risulta già sinistra poiché: come sarà dimostrabile al fine prender provvedimenti?

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