In molti, a settembre inoltrato, piacevolmente sorpresi e per la verità anche un po’ preoccupati dall’insolito perdurare del bel tempo, hanno pensato che all’estate di quest’anno non sarebbero bastati i tempi supplementari poiché anche l’inizio dell’autunno, in larga parte del nostro Paese, si è rivelato poco più di una consuetudine riportata dal calendario.
Poi il tempo, che per fortuna oltre a essere galantuomo è anche privo di padroni, ci ha consegnato un finale di ottobre senza sorprese. Con la complicità dell’orologio, restituito all’ora del sole, ai suoi ultimi giorni si sono accompagnati i primi pomeriggi sensibilmente più brevi, a volte piovosi, già inclini a regalare pensieri e riflessioni che per consolidata abitudine costituiscono la vigilia dei momenti in cui più intenso si avverte il ricordo dei nostri cari che gli anni o il destino hanno portato altrove per sempre .
Così in uno di questi pomeriggi ho percorso a piedi il lungo viale alberato che, ora illuminato, ricorda le tante vittime sacrificate alla follia della guerra Provvisto unicamente del desiderio di ritrovare voce e calore di chi mi era appartenuto, nella innaturale intimità di un cimitero ancora spoglio, ho dialogato con tutti loro in commosso silenzio, riascoltando infine con la stessa antica, filiale disobbedienza i consigli e le raccomandazioni della vecchia zia Antonietta.
La curiosità, e la malcelata volontà di scoprire i confini di un luogo che nonostante scongiuri assortiti non sarà estraneo a nessuno, mi ha fatto poi incontrare vecchi amici e soprattutto alcuni coscritti con i quali, rimosso il diaframma di pietra che ci separava, ho rivissuto in pochi commossi attimi una intera stagione di “ ti ricordi ? “
Insieme a Pier Franco Borla, dopo gli indimenticabili anni dell’oratorio ho rivisitato il lungo percorso della nostra scuola serale quando, in gara per giocare la partita della vita , quella stessa vita che l’avrebbe poi prematuramente sconfitto, unito all’impegno e ai sacrifici potevamo spendere come moneta corrente l’oro dei nostri vent’anni. Salvatore Vasca mi aspettava per dirmi, nel nostro indimenticato dialetto originale, che suo fratello Gino lo aveva da poco raggiunto.
Ci eravamo lasciati al secondo anno di avviamento verso la fine degli Anni Cinquanta. La ricordavo, prima di trasferirsi a Virle per completare la scuola, in sella a una vecchia bicicletta senza freni come la sua giovanile esuberanza, offrire al vento i primi pensieri e l’irrequieta, nera, coda di cavallo. Percorreva il viale Bona dove il padre, insieme a un gruppo di volenterosi ragazzi saldava cancelli e ringhiere per la nuova Caselle che stava arrivando. Maria Maddaleno l’ho ritrovata oggi.
Dopo un attimo di comprensibile imbarazzo mi ha chiesto se mi ricordavo ancora di lei. Si, le ho risposto e senza aggiungere altro, lasciandomi sopraffare dai ritrovati, ingenui sguardi scolastici di allora, mi sono avviato all’uscita.
E mi sono messo a pensare: “Domani sarà tutto diverso.
Per la ricorrenza dei defunti questo cimitero sacro ai nostri affetti e ai nostri ricordi, che oggi per le dimensioni raggiunte presenta le sembianze di un paese all’interno di una città, e tuttora si accinge a preparare nuovi approdi per altri futuri inquilini, domani apparirà come un immenso giardino fiorito popolato di gente e di colori.
In tanti sistemeranno con mano sicura, confortati dal decisivo assenso dei congiunti, il ricco mazzo di fiori a cui almeno per alcuni giorni non faranno mancare l’acqua. Poi, trasferito dall’indice della propria mano alla fredda immagine in ceramica il timido bacio del congedo, mentre si sorprenderanno a guardare l’altra gente intorno le signore, con faccia scarsamente meravigliata, fingeranno di scoprire quanto le amiche, nel frattempo, sono invecchiate. Improvvisando minuscoli capannelli si confronteranno parlando del successo dei figli, del caro vita e naturalmente del persistere di vecchi malanni mai risolti ai quali forse se ne aggiungeranno di quelli nuovi già temuti nelle scorse settimane.
Intanto le prime incerte ombre che annunciano la sera malinconicamente si adageranno su quel delicato e riconoscente trionfo di fiori e di luci soffuse. Fuori dal cimitero qualcuno dei probabili eredi del vecchio Giovannina consegnerà agli infreddoliti parenti il cartoccio con le caldarroste. Dovranno accompagnare il ritorno a casa e tentare di scaldare oggi, e per i giorni che verranno, non solo le mani esposte ai primi fastidi del clima novembrino ma insieme una coscienza che troppo spesso, anche davanti alle tante moderne tragedie, cerca improbabili attenuanti alla propria pigrizia.
Domani, quando per un giorno tutti i morti saranno uguali, cullate dalle onde di un mare che sa essere a volte ingeneroso e ostile, vorremmo finalmente scorgere nei folti petali di un simbolico crisantemo, le lacrime chiare fin qui ignorate, di una non lontana, interminabile disperazione. E magari farle un po’ nostre.”
Il pomeriggio della vigilia
Così in uno di questi pomeriggi ho percorso a piedi il lungo viale alberato che, ora illuminato, ricorda le tante vittime sacrificate alla follia della guerra Provvisto unicamente del desiderio di ritrovare voce e calore di chi mi era appartenuto, nella innaturale intimità di un cimitero ancora spoglio, ho dialogato con tutti loro in commosso silenzio, riascoltando infine con la stessa antica, filiale disobbedienza i consigli e le raccomandazioni della vecchia zia Antonietta. Ma domani sarà tutto diverso. ..