Fiera di paese

Da sempre, a Caselle, il lunedì è giorno di mercato. Intorno ai tanti banchi tradizionali e a qualche moderna soluzione espositiva sistemata su ruote, molta gente affezionata a questo vecchio, familiare appuntamento, da qualche tempo bisettimanale, cammina spedita verso il banco dove è sicura di trovare filo, organza ed elastico ormai scomparsi dalle comuni mercerie...

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Da sempre, a Caselle, il lunedì è giorno di mercato. Intorno ai tanti banchi tradizionali e a qualche moderna soluzione espositiva sistemata su ruote, molta gente affezionata a questo vecchio, familiare appuntamento, da qualche tempo bisettimanale, cammina spedita verso il banco dove è sicura di trovare filo, organza ed elastico ormai scomparsi dalle comuni mercerie, oppure a passo lento stabilisce, in un istantaneo mentale confronto prezzi quale tra l’offerta ortofrutta del mercato e il vicino supermercato sia più conveniente. Sui due lati della Circonvallazione, adibiti ad improprio e pericoloso parcheggio, le auto in sosta aspettano l’arrivo ormai prossimo del mezzogiorno insieme al ritorno trafelato di qualcuno ancora fermo sull’angolo della piazza a discutere fatti veri o presunti della vita di Caselle. Il mercato, del resto, costituisce da sempre occasione di incontro fra vecchie amicizie o semplici conoscenze. In entrambi i casi, esauriti i convenevoli, spesso vi si assapora il gradevole senso di vacanza che procura l’occuparsi dei fatti altrui. Era già così tanti anni fa quando il lunedì mattina sulla Piazza Boschiassi e nel tratto di Via Torino davanti ai portici, ovvero nello spazio allora riservato all’appuntamento settimanale, si sistemavano i banchi quasi tutti di provenienza locale tranne qualche… forestiero che esponeva capi di abbigliamento adatti alle possibilità economiche degli Anni Cinquanta e stoffe di varia qualità che incontravano un buon successo di vendita soltanto nei momenti in cui lo spaccio aziendale del Lanificio Bona non disponeva, dell’economico, inconfondibile suo tessuto, utile ad essere successivamente convertito in gonne, sciarpe o pantaloni.
Davanti ai Battuti madre e figlio, entrambi coloriti e corpulenti, con sorprendente semplicità e precisione affidavano ad alcune cassette di legno vuote disposte sul selciato, il compito di sorreggere considerevoli tranci di merluzzo e latte di metallo colme di acciughe che ogni volta, dopo aver finto di scuoterle per eliminare il sale in eccesso, i due solerti commercianti racchiudevano in fogli di massiccia e spugnosa carta gialla in attesa di ritrovarle tra il verde del prezzemolo finemente tritato o annegate in qualche apposita terrina di promettente bagna caoda.
Periodicamente nel corso dell’anno e in particolare nei mesi di maggio e dicembre il mercato abituale si trasformava impadronendosi completamente, per una intera giornata della via principale del paese.
Si spingeva fino ad occupare gran parte del prato della fiera dove erano esposte attrezzature, macchinari agricoli e capi di bestiame pronti a cambiare stalla in grazia di una semplice, vigorosa stretta di mano che si concludeva sempre in qualche trattoria davanti ad una robusta merenda. Era il giorno della fiera del paese, quasi una festa. La folla dei visitatori interessati ai prodotti esposti, o dei semplici curiosi, che occupava i viali e quasi interamente il prato faceva tornare alla mente le domeniche del lungo percorso di gloria sportiva vissuto su quel terreno dalla squadra di calcio locale trasferitasi dalla primavera del 1950 nel nuovo impianto intitolato alla memoria di Andrea Leone, accompagnata dalla passione di tanti giovani sostenitori che il calcio aveva legato ai colori del sodalizio rossonero.

Tra questi tifosi c’era Piero Martin, casellese, cuore granata, antifascista.
Ho conosciuto Piero circa quindici anni or sono nel corso della manifestazione pubblica con cui sulla piazza Andrea Mensa, nella prima domenica di febbraio, Caselle ricorda il sacrificio dei cinque partigiani caduti nell’inverno del ’45. Negli anni successivi ci siamo spesso ritrovati in altre analoghe circostanze, ogni volta obbedienti allo stesso impegno e agli stessi sentimenti.
Il mese scorso, nei giorni del Cudine, Piero ci ha lasciato.
Cudine è la piccola frazione del comune di Corio in cui nel novembre del ’44, nel pieno della lotta antifascista, avvenne l’eccidio che costò la vita a 33 persone tra civili, partigiani e militari. Un appuntamento al quale per anni abbiamo partecipato insieme.
Dal balcone della scuola elementare, da tempo deserta, circondato dagli scolari del capoluogo e da oratori ufficiali spesso del tutto ignari, parlando a un pubblico di parenti delle vittime o di curiosi occasionali, sempre più infreddoliti e sempre meno numerosi, ricordavo i fatti accaduti, rifuggendo dalle solite assortite banalità e dagli immancabili luoghi comuni. Negli occhi di Piero il freddo luminoso del mattino sembrava riflettere nuovamente i segni indelebili della sua personale tragedia, insieme a paure, emozioni e speranze che dalla punta dell’Uja alla cima pianeggiante del Monte Soglio avevano accompagnato i passi di tanti giovani in corsa verso la libertà. Al termine dell’incontro, facendosi largo tra bandiere e gagliardetti, mi salutava semplicemente così : “ciao Sindaco”, arrotolando stretto il gonfalone per meglio custodire il segreto della nostra amicizia.
Ciao, Piero. Oggi non so dirti altro.

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