Bisogna fare la pace. La pace è il bene supremo.
In effetti il tema della pace risuona sempre più insistente in un momento storico che
pare sempre più ingovernabile e i focolai di guerra si intensificano.
Che fare, come si può costruire un mondo di pace? Rispondere in maniera razionale a
questo quesito è molto difficile. Per farlo dobbiamo mettere da parte le nostre
convinzioni e andare ai nodi strutturali del problema.
Vorrei in questa sede esaminare alcuni dei nodi più importanti, a mio avviso, che
sono alla base dell’instabilità mondiale.
In questo ci può aiutare una vicenda storica importante.
Siamo nel 1219, Francesco d’Assisi si reca in Palestina dove è in corso la quinta crociata.
È accompagnato da qualche frate. Vuole visitare i luoghi santi. Non ci riesce.
Essendo una persona geniale prende la decisione, apparentemente pericolosa, di
andare a parlare con il sultano Al Kamil al Malik che si trovava nella città di
Damietta. Vuole convertirlo.
Il sultano, che era persona colta e raffinata, riceve Francesco e, nonostante fosse
vestito da straccione, con gli onori dovuti agli ospiti.
Francesco rimane nel campo musulmano alcuni giorni a discutere con i sapienti del
sultano e con Al Kamil stesso. Ovviamente il sultano non si converte. Si stabilisce però un rapporto di stima reciproca. Francesco e i suoi frati tornano al campo
sotto la protezione del Sultano.
Per Francesco quell’incontro fu un fallimento? No.
Da quel momento i frati francescani poterono accedere in sicurezza nei Luoghi Santi
e organizzarvi una sede stabile. Furono gettate le basi di quella che sarebbe diventata “ La Custodia di Terrasanta” tuttora esistente.
Apparentemente questa vicenda, di ottocento anni fa, avrebbe poco da dirci. Invece
mette in evidenza uno dei problemi che sta alla base dell’instabilità odierna:
l’incapacità dei maggiori esponenti degli stati imperialisti a parlare tra loro e
riconoscere agli interlocutori il diritto di rappresentare interessi diversi.
Questo è un fattore di instabilità che se non risolto può precipitare il mondo in un
conflitto mondiale. Con le immaginabili conseguenze.
Di cosa si tratta? Vediamo.
La storia insegna che il destino dei popoli, e del mondo, è sempre stato regolato dagli
stati imperialisti. Sono costoro che, essendo i più forti, dettano l’agenda. Può piacere
o meno ma il meccanismo ha sempre funzionato così.
Veniamo ai giorni nostri. Dal dopoguerra, e fino alla caduta del blocco sovietico, il
mondo era diviso in due sfere d’influenza: da una parte c’era l’impero che gravitava
intorno agli USA e dall’altra l’impero sovietico. Era il periodo della cosiddetta Guerra
Fredda. Certamente ci furono crisi anche gravi ( la crisi di Cuba), ma nel bene e nel
male venivano risolte. Nacque la “linea telefonica rossa” tra Washington e Mosca.
Questo equilibrio non è stato sostituito da nessun altro.
Gli equilibri nati alla fine del conflitto mondiale, in parte ancora esistenti in seno al
consiglio di sicurezza dell’ONU, non esistono più, inoltre nazioni come Francia e
Gran Bretagna non sono più attori di primo livello.
Altri protagonisti sono comparsi sulla scena mondiale con l’ambizione di diventare
coloro che tengono il banco e danno le carte: Cina in primo luogo e non
dimentichiamo l’India.
In questo primo scorcio del secolo, per motivi diversi, gli stati imperialisti vivono
periodi di crisi con caratteristiche diverse ma strutturali: Gli USA attraversano una
crisi politica interna le cui conseguenze non sono ancora identificabili. La Russia,
dopo il crollo del sistema sovietico, ha certamente conservato lo status di grande
potenza ma le problematiche economiche ne fanno una potenza regionale, pur
conservando ambizioni egemoniche; la Cina, l’unica grande potenza che ha margini
di crescita economica, politica e militare, nonostante la presenza di problemi, ha
chiaramente detto che il suo obiettivo è quello di diventare la maggiore potenza
mondiale entro la metà del secolo.
Questo è il nodo cruciale: per motivi diversi queste tre potenze, senz’altro le
maggiori, non riescono a mediare tra loro e formare un blocco di potere che governi i
conflitti e le sfere d’influenza.
Il risultato è che l’instabilità di questo quadro ha fatto sì che tutta una serie di despoti
regionali si sentano autorizzati a coltivare sogni di gloria nelle rispettive aree
d’influenza.
È indispensabile che i maggiori Stati comincino a mediare tra loro per comporre
divergenze per ora insanabili. È quindi necessario che ci sia un mediatore super
partes. Chi può svolgere questo ruolo se non l’ONU?
Quello dell’ONU è un capitolo fondamentale.
L’ONU nasce alla fine della seconda guerra come strumento di composizione delle
crisi e per mediare e intervenire negli scenari critici. Il ruolo centrale è svolto dal
Consiglio di Sicurezza in cui i paesi vincitori hanno un seggio fisso e il diritto di veto,
capace di bloccare ogni decisione. È composto da cinque membri fissi: USA, Russia,
Gran Bretagna, Francia e Cina, gli altri sono a rotazione.
In realtà il potere reale dell’ONU è relativo poiché le sue deliberazioni non riescono
quasi mai a imporsi. Questo per due motivi: il diritto di veto dei paesi vincitori e
perché nessun stato ha trasferito quote di potere reale all’ONU. Quest’ultimo aspetto è
cruciale perché solo dotando l’organismo di una sua politica di governo vera, assieme
a un vero esercito mondiale, sarebbe in grado di esercitare un ruolo coercitivo di cui
c’è tanto bisogno.
Questo aspetto, il trasferimento di quote di potere, riguarda anche l’Europa: è il vero
ostacolo che impedisce la costruzione di un’Europa federale e capace di svolgere un
ruolo centrale nello scenario europeo e mondiale. Se non ci si riuscirà, l’insignificanza
è il destino dell’Europa.
Mica è finita qui. Il ruolo dell’ONU è ulteriormente indebolito dalla nascita del G7.
Ovviamente esistono molti altri nodi da affrontare e porre all’ordine del giorno. Se
non affrontati aggraveranno ulteriormente il quadro qui esposto.
Si facciano cortei, veglie di vari tipo e appelli, ma se non si sciolgono i nodi
strategici è tutto inutile.
Provare a fare la pace
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