Questo capitolo suggerisce al lettore la visita a due interessanti luoghi del sacro in terra pedemontana, uno nel Roero e l’altro nell’Astigiano. Si tratta di due complessi devozionali piccoli, forse poco noti, ma che meritano di essere visitati.
Il primo è il cosiddetto Santuario dei Piloni e si trova a quello di Montà d’Alba. Ha il suo centro nella chiesa dedicata a san Giacomo apostolo, che in passato condivideva il titolo con un altro apostolo, Filippo; dall’edificio si snoda l’itinerario cultuale, trapuntato da tredici cappelle con statue in gesso policromo e organizzate come stazioni della Via Crucis.
L’area nella quale si trova il complesso fu già sacralizzata nel passato lontano, quando ospitava un centro di culto in epoca precristiana, anche se probabilmente ciò avvenne precedentemente la conquista romana, le uniche tracce reperite sono una lapide funeraria romana, oggi perduta, e due altorilievi (romani?) in pietra inseriti nella facciata della chiesa.
Su uno dei mattoni della facciata della chiesa è presente la scritta “AGATONI PONT”: un riferimento che è stato collegato a papa Agatone (eletto nel 678); si tratta di un’indicazione rilevante, poiché se ciò corrispondesse al vero, il primitivo edificio potrebbe quindi essere collocato nel VII secolo. Però, sulla base delle indicazioni storiche, è invece probabile che il primo nucleo del santuario risalga XI secolo.
Se ci basiamo solo sulle fonti certe, dobbiamo aspettare il 1625, quando il vescovo di Asti scriveva che l’edificio di culto dedicato a san Giacomo era in pessime condizioni, ormai privo di arredi e suppellettili. Da allora, trascorsero ancora molti anni prima della riapertura al culto; fu possibile solo dopo un’importante opera di ricostruzione, ma anche di trasformazione.
Così la lapide in latino (che proponiamo tradotta) posta nel santuario ricordava l’importante impresa: “Con l’ottenuta munificenza del Sommo Pontefice / con l’aiuto dei Cavalieri di Malta / con l’offerta dei fedeli, / questa antichissima ara dedicata all’apostolo San Giacomo, / che fu sempre incompleta e misera, / celebra il suo completamento nel maggio 1651, / essendo priori i Signori Giovanni Bornengo, / Stefano Gandolfi e Giacomo Aprile, Montanesi”.
Dal santuario si snoda un percorso devozionale scandito da una serie di cappelle: le più antiche (la prima e l’ultima, quella del Santo Sepolcro) risalgono alla metà del XVIII secolo; le prime dodici presentano una struttura architettonica identica: pianta ottagonale con qualche accenno neo-gotico. Le attuali statue di gesso sono del XIX secolo.
Il complesso non segue un ordine urbanistico preciso e si snoda sulla base di un’impostazione libera, che si armonizza senza distorsioni con l’ambiente naturale circostante.
È quindi certo che, originariamente, i piloni in realtà fossero veri e propri “piloni”, con scene della Via Crucis dipinte sulla facciata. A partire dal 1887 quelle strutture furono sostituite con le attuali cappelle. L’opera di rifacimento fu affidata a Placido Massello, che disegnò le cappelle esagonali con un’impostazione standardizzata; comunque a differenza dei primitivi piloni, le cappelle vennero arricchite dal corpus plastico. Nel 1903 il Santuario dei Piloni era completato; nel 1933 fu aggiunta la Grotta dell’Agonia e nel 1956 la Croce luminosa dedicata ai soldati caduti in guerra.
Merita particolare attenzione la cappella chiamata Santo Sepolcro, indicata nelle fonti per la prima volta nel 1742: ha pianta centrale ottagonale ed è circondata da un porticato.
All’interno della costruzione è collocata la statua di Cristo morto, con tutta una serie di segni tipici derivati dalle sofferenze subite nel corso della Passione; l’opera, in legno d’ulivo di Palestina, è conservata dentro un’urna di vetro e si dice sia il dono di un cavaliere reduce dalla crociate. Secondo il parere degli storici dell’arte, si tratterebbe però di una realizzazione del XV secolo. 5
Spostiamoci adesso a Mongardino: anche in questo caso la struttura del complesso è basata sul modello della Via Crucis; nell’insieme si tratta di una realizzazione di tono minore, ma che ha saputo far propria la lezione dei sacri monti, utilizzando la simbiosi tra pittura e scultura per raccontare la Passione di Cristo. Le cappelle, tredici, sono collocate tra i colli astigiani in una posizione di notevole fascino paesaggistico; il modello architettonico è semplice, ma s’innesta senza attriti nell’ambiente, oggi antropizzato e amalgamato ad alcune strutture abitative. I piccoli edifici furono realizzati a partire dal 1739 e disposti ad anello sul colle.
All’interno di ognuna vi sono statue di gesso e scagliola, alcune in pessimo stato, che riproducono alcuni episodi della Passione di Cristo fino all’arrivo al Calvario; la cripta della chiesa di Sant’Antonio corrisponderebbe alla quattordicesima cappella. Le preesistenti statue in cotto, molte delle quali realizzate da don Giuseppe Tagliano, sono andate perdute, a esclusione di alcune che si trovano all’interno della chiesa di Sant’Antonio.
Le quattro cappelle che si trovano all’inizio del percorso, risultano preliminari al ciclo passionale e sono dedicate alle Anime del Purgatorio, alla Natività, all’Ultima Cena e a Gesù nell’orto del Getsemani.
La disposizione intorno al colle Sant’Antonio di questi edifici consacrati al culto, sacralizzò e determinò un repentino cambiamento di fisionomia del sito. Infatti, quest’area, nel 1706, venne utilizzata per realizzare una struttura difensiva, resasi necessaria per difendere la località dalle azioni belliche francesi, in quel tempo impegnate nell’assedio di Torino.
In seguito tutta l’area fu affidata a don Tagliano che, a partire dal 1730, volle convertire la funzione di quel luogo: si fece così via via sempre più forte l’idea di una Via Crucis da adagiare sul perimetro circolare del trincerone che cingeva il colle.
All’impresa parteciparono artigiani e artisti rimasti anonimi, che certamente subirono l’influenza dell’arte più aulica caratterizzante i sacri monti alpini e prealpini, divenuti una sorta di archetipo per numerosi percorsi devozionali realizzati tra XVI e XVIII secolo.
Nel corso del XIX secolo, la Via Crucis di Mongardino subì un notevole degrado e solo dall’inizio del Novecento furono attuati i necessari interventi di restauro. Le nuove statue in gesso e scagliola, un’ottantina, misurano circa un metro di altezza e furono donate dall’Istituto Salesiano di Torino.
Anche se le statue policrome risultano fortemente scrostate e segnate dagli assalti del tempo, alcuni complessi plastici conservano ancora tutta la spontaneità del primitivo progetto evocativo: di grande fascino, per esempio, la cappella dell’Ultima cena, in cui la differenza tra gli apostoli è scandita da una semplice ma robusta impostazione classificatoria, che ne accentua il legame con la tradizione evangelica. Ormai molto deperiti i fondali dipinti, in alcuni casi la scenografia è vitalizzata dalla presenza di materiali contadini, semplici, ma che ben si adattano alle necessità rappresentative. Emblematica la cappella della Natività, in cui predomina il legno lavorato secondo un’impostazione che crea un continuum tra l’interno e il mondo esterno, dove il legno era un materiale necessario per il lavoro in campagna.
L’opera di salvaguardia ebbe anche il ruolo di variare l’aspetto primitivo del complesso; inoltre furono anche sostituite le statue con altre nuove e ogni cappella fu affidata a una famiglia del paese perché provvedesse al mantenimento.
Ulteriori interventi alle soglie degli anni Quaranta del Novecento e altri in tempi recenti, hanno salvaguardato il complesso di Mongardino dal degrado, mantenendo viva una testimonianza di fede e di cultura che meriterebbe maggiore attenzione dal punto di vista turistico.