“Sei un copione!”
A scuola era, e forse lo è ancora, assolutamente proibito. Se la maestra o il prof di turno ti beccava ad allungare il collo sul compito del compagno erano guai, seri: non si può copiare! Carpire la traduzione giusta, il risultato o il passaggio fondamentale di un’equazione o la risposta corretta al test di storia non è mai stato considerato bello, anzi, è squalificante, immorale e controproducente. Chi copia è un asino e soprattutto un incapace!
Anche nell’arte il vezzo di copiare è sempre stato bandito e stigmatizzato e la frase “È solo una brutta copia” è diventato sinonimo non solo di maldestra imitazione, ma persino di goffo, disarmonico, sproporzionato, deforme, mostruoso, malfatto, sgraziato, antiestetico, orrido, orrendo, orribile, orripilante…
Insomma, utilizzare pedestremente l’idea altrui, riprodurla, spacciarla in qualche modo per nostra, è da sempre, nell’immaginario collettivo, un fatto riprovevole, inutile e fondamentalmente dannoso.
In tempi più recenti, poi, i Giapponesi si sono incarnati nell’icona del subdolo imitatore quando, negli Anni Settanta del secolo scorso, spesso si narra, iniziarono a scorrazzare tra Europa e Stati Uniti, con tanto di macchina fotografica al collo, a immortalare i prodotti industriali occidentali per dar poi vita a delle copie, più o meno soddisfacenti, Made in Japan.
Ma la realtà è un’altra, e con risvolti ben diversi.
I Giapponesi, infatti, iniziarono a “copiare”, soprattutto le auto, ben prima della seconda guerra mondiale per espandere, così, la loro nascente industria, poi… fecero il grande balzo di qualità: decisero di valorizzare e, quando possibile, migliorare il prodotto copiato. Così fecero e stravolsero i mercati occidentali con le loro creazioni.
Perché vi parlo di Giapponesi e del “saper copiare”?
Perché il mondo, per fortuna, in questi ultimi decenni è cambiato, anzi è stato stravolto dalle nuove tecnologie dell’informazione che lo hanno dilatato in modo esponenziale, permettendo a tutti noi, di conoscere, comprendere e soprattutto di condividere il sapere.
Se nel passato poteva accadere, spesso, di sviluppare più o meno contemporaneamente e in area diverse del modo una medesima intuizione (pensate per esempio al telefono, della cui invenzione vengono accreditati i nomi di Charles Bourseul, Antonio Meucci, Innocenzo Manzetti, Johann Philipp Reis, Alexander Graham Bell, ed Elisa Gray… e lo stesso accadde per l’invenzione della radio, della televisione, della lampadina e del computer…), oggi, per fortuna, non è più possibile.
Se non vi è mai capitato, provate a pensare, in qualunque campo del sapere, a qualche cosa di particolare, a una intuizione innovativa, ad un’idea bislacca per migliorare un oggetto esistente, un nuovo giocattolo, un attrezzo, e poi fate una ricerca su internet : inesorabilmente scoprirete che, in un modo o nell’altro, qualcuno ci era già arrivato.
Incredibile, ma è vero ed è bellissimo. Sì, perché oggi abbiamo la possibilità di far viaggiare in tempo reale le idee e, come dicevo, di condividerle. Abbiamo l’enorme e favorevole opportunità di moltiplicare all’infinito, per il bene di tutti, il “metodo giapponese”: sfruttare positivamente per noi ciò che altri hanno già pensato e realizzato e nel caso, migliorarlo.
Eppure, incredibilmente, molte volte ci troviamo nella condizione di arrancare, disperati, alla ricerca di soluzioni ai nostri problemi, spesso collettivi, senza renderci conto delle opportunità alla nostra portata o colpevolmente incapaci di saperle coglierle.
Alcuni esempi?
Da anni siamo alla ricerca, a Caselle come in tante altre cittadine dell’hinterland torinese, di una soluzione all’inarrestabile declino del commercio al dettaglio, della manifattura e al rilancio dei centri storici. Parole, dibattiti, discussioni, proposte… Eppure…
Eppure, da tempo, ci sono in Europa esempi lungimiranti di risposte risolutive a simili problemi, come il progetto MISTA, dove le città metropolitane giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo di strategie industriali adeguate, sia costruendo visioni e scenari, sia mettendo a disposizione incentivi e strumenti per stringere un nuovo dialogo tra città e manifattura, o la proposta della Federazione Vitrines d’Europe con il progetto “la Capitale Europea del Commercio di Prossimità”, per il rilancio o lo sviluppo del commercio al dettaglio.
Per non parlare del concetto urbano residenziale, “La città di 15 minuti” in cui la maggior parte delle necessità quotidiane dei residenti può essere soddisfatta spostandosi a piedi o in bicicletta direttamente dalle proprie abitazioni, che non fa nient’altro che rimodulare, adeguandolo ai nostri tempi, il modo di vivere dei nostri nonni.
Senza parlare di casa nostra.
Gli esempi di innovative soluzioni ai problemi citati sono infiniti e per farli nostri… basta un click.
Ne parlano i giornali, come il Sole 24 ore, con un articolo su 8 progetti di rigenerazione urbana in altrettante città italiane (https://www.ilsole24ore.com/art/citta-scena-8-progetti-rigenerazione-urbana-nome-crescita-socio-culturale-AEiHvGUB), o decine di siti che propongono innovative soluzioni.
Banalmente, poi, sarebbe sufficiente aprire il portale della Confcommercio e leggere l’interessante studio del 2018 dal titolo: “ Il dilemma strategico dei centri storici italiani “. Qui si analizza il problema e si propongono fattibili soluzioni… anche per Caselle! (https://www.confcommercio.it/documents/20126/1299344/Ravazzoni+-+Il+dilemma+strategico+dei+Centri+Storici+Italiani.pdf)
È sufficiente allungare il collo e… copiare!
Restare al palo, esclusi dai cambiamenti, dalle soluzioni per semplice passiva negligenza è, oggi, una ingiustificabile colpa.
Manco più la macchina fotografica dei giapponesi ci serve, basta accendere un computer, connettersi e imparare dagli altri.