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domenica, Maggio 19, 2024

    Educare alla legalità, educare ai diritti umani

    A Caselette si è conclusa con una giornata  emozionante la ”Biennale della legalità”

    A Caselette si è conclusa con una giornata  emozionante la ”Biennale della legalità”, a cura dell’associazione “Calabresi per la legalità”.
    Il titolo della giornata conclusiva è stato:  “9 maggio 1978”  e i  testimoni non potevano che essere Giovanni Impastato e Agnese Moro. Il presidente dell’associazione organizzatrice, Lotufo ha aperto il dibattito presentando i due graditi ospiti: ”La storia impatta su ognuno di noi e, qua tra noi, sono presenti due persone che sono accomunate dalla volontà di costruzione, non solo storica“. Giovanni Impastato che  si rivolto all’uditorio con frasi brevi, secche: -“Il 9 maggio non è solo una data, è memoria storica. Il 9 maggio 1978 si è tentato di bloccare un processo di rinnovamento che culminò con l’uccisione di Peppino Impastato, di Aldo Moro e, due anni più tardi di Pio La Torre e Piersanti Mattarella. Agnese Moro, ricordando quel giorno di maggio, lo definisce come la conclusione tragica di un periodo parlamentare osteggiato da molti e si sofferma con voce emozionata ma fermissima sui 55 giorni di prigionia di suo padre Aldo. “Quei giorni – afferma – sono stati la causa di due eventi gravissimi: il cambio della cultura politica: trattare per la vita di una persona diventa un’offesa per la dignità dello Stato e questo atteggiamento sconfessa del tutto la libertà sancita dalla Costituzione  e dalla democrazia. Lo Stato è tutto, la persona niente. Dichiarare che trattare coi rapitori  non serve, è come dire che la politica non serve, dialogare non serve. Certamente i colpevoli dell’assassinio di Moro  sono stati i brigatisti rossi ma esiste la responsabilità di non aver fatto nulla per impedire la sua uccisione.”
    Il 9 maggio per entrambi è stato il giorno delle lacrime non versate. Per i famigliari di Peppino si è dovuto ricomporre un corpo, per Aldo Moro ci fu l’uso del corpo, sui giornali, in televisione per mesi. Giovanni Impastato racconta la sua ricerca della verità: “Peppino, dopo aver sconfessato la sua stessa famiglia affiliata a Cosa Nostra prima, e denunciato attraverso il suo impegno politico il boss Badalamenti poi, fu sacrificato per una feroce ragione di stato. Ora i processi si sono conclusi, i colpevoli individuati e i beni della famiglia Badalamenti  confiscati. La radio in cui lavorava Peppino si può visitare così come percorrere i famosi 100 passi .Un grande successo è rappresentato dal fatto che l’accoglienza in questi luoghi tragicamente famosi viene fatta da ragazzini, il tal modo la memoria non si perderà.”
    Agnese Moro parla della sua verità ormai sancita da svariati processi: “Ogni anno emergono nuove verità che sono sempre le stesse, noi, i famigliari abbiamo vissuto tutto in diretta .Alla verità ci dobbiamo arrendere e, a volte la verità diventa anche plurale. Non ci siamo mai arresi per amore della giustizia.”
    C’è ancora la voglia di cambiare il mondo? “Sì, – dice Agnese- ho voglia di giustizia di libertà, di legalità che è rispetto della dignità umana. La rassegnazione non ha bisogno della verità.
    Ho grande fiducia nel futuro. Noi Italiani non siamo la paccottiglia che passa in tutte le televisioni, siamo noi il Paese reale. Occorre avere fiducia nelle istituzioni, non nelle persone che disonorano le istituzioni.” Mentre il dibattito si avviava alla conclusione, inaspettatamente, è salito sul palco don Luigi Ciotti che ha esordito con le parole del presidente Sandro Pertini:”Per combattere la mafia occorre rispettare fino in fondo la nostra Costituzione. Non dimentichiamo ciò che di buono è stato fatto, ma da 170 anni continuiamo a parlare di mafia. È cambiata la criminalità organizzata ora il crimine è globalizzato. Non ci sono più le stragi, c’è meno sangue ma le mafie  sono sempre più forti. Non basta tagliare la malaerba in superficie! Finché non ci sarà maggiore consapevolezza della peste mafiosa e della peste corruttrice. Le mafie non godono solo del sostegno attivo ma anche e, soprattutto, del sostegno passivo di chi non le contrasta. La malattia italiana è la neutralità, è la delega. Ora più che mai dobbiamo rinnovare il senso di responsabilità dentro di noi. La lotta alla mafia deve essere un impegno, è una lotta di civiltà, è l’affermazione dei diritti umani L ’obiettivo è la giustizia, lo strumento la legalità.” Don Ciotti ha concluso così il  suo accorato appello  tra gli applausi scroscianti degli astanti, scossi dal suo sincero e coraggioso  impegno civile, nonostante debba vivere con la scorta armata da molti anni. Chi scrive è tornata a casa più  consapevole di quanto potere  abbia il coraggio delle  persone: la forza di cambiare le cose, tutte le cose, forse il mondo. Pensiero ingenuo, forse, ma abbiamo tutti  molto da fare,come dice Don Ciotti: -L’Italia sarà completamente liberata solo quando la mafia sarà debellata, definitivamente.

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