Siamo lontani

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VenticinqueGocceNon è ancora giorno, e il lo smartphone mi comunica che WhatsApp sta scaricando i messaggi, le immagini, gli auguri, di una serena domenica: tutti simili, tutti grondanti buonismo e pace. Li cancello e li vedo ostinatamente ritornare. Ma dove li vanno a prendere?!

Tanta pace. Non ne rimane traccia appena dò uno sguardo veloce alle notizie dal mondo: RAI NEWS 24 è angosciante.

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Spengo dopo pochi minuti, e ripongo pure il cellulare, dopo un frettoloso buona domenica a tutti, in realtà non lo è affatto: l’arancione Donald e il cerebroleso Kim Jong Un sono col dito sul pulsante rosso, la Turchia governata dal sultano Erdogan che comunque bussa all’ Europa, ha in ostaggio un nostro giornalista, ancora Parigi, e il terrorismo in tutte le sue modalità ha la prima pagina e continua a colpire, ultimamente sotto forma di camion pesante. E’ un mezzo molto comune, ne passano tanti. Ovviamente per arrivare ad utilizzarlo come arma di distruzione, occorre mettere alla guida un cosiddetto “radicalizzato”. Ormai il termine è inteso come se si parlasse quasi di un passaggio, un traguardo, la fine di un corso di studi.

Ti sei già radicalizzato? No, ma sto studiando per diventarlo ! E…i ragazzi? Ah…loro si stanno radicalizzando a Londra! Bene! Complimenti! Sono soddisfazioni!

Esasperare una situazione, impedendo ogni compromesso: radicalizzare.

E basta poco: si sceglie la “persona giusta”, poche lezioni magari via internet, che è sempre il sistema più comodo, quand’è cotto al punto giusto lo si piazza su di un camion, e con l’effetto sorpresa, magari all’interno di un’ area pedonale, il risultato è sicuro.

Eppure, pensavo, qui da noi non è ancora successo nulla di simile. Mi domando come mai: vuoi vedere che tutto sommato la nostra intelligence è migliore di tante altre in Europa? Non che le altre non sappiano chi delinque sul territorio, ma apparentemente, arrivano spesso troppo tardi. Dei nomi degli assassini, dei loro spostamenti, ce ne facciamo poco a strage compiuta.

Ma spaventa anche un altro tipo di radicalizzazione: quella nascosta. Le cronache sono ormai sature di personaggi che hanno un’ idea a senso unico dell’ integrazione. Personaggi che rimangono sul nostro territorio, che chiedono appunto l’ integrazione, ma quando i loro figli, o particolarmente le loro figlie, mostrano di abbracciare la cultura e i costumi occidentali, ecco uscire la violenza, la brutalità, se mi permettete l’ignoranza.

E non c’è mediatore culturale in grado di sedare questo delirio, anzi, mi chiedo cosa sia realmente questa figura.

Gli ultimi episodi venuti alla luce, riguardanti giovani picchiate o umiliate perché avevano assaporato quel senso di libertà nei pensieri, nel modo di vivere, negli abiti o negli stessi capelli, che per noi sono la normalità, fa rabbrividire. Una violenza incomprensibile da parte di chi prima chiede di essere accolto, ma allo stesso tempo non accetta e odia la cultura del paese che li ospita. Anzi, la combatte: e che dire delle cosiddette baby gang, composte da bambini figli di immigrati, ma nati qui, che hanno perso le loro radici, ma non accettano e non conoscono nemmeno le nostre, con genitori che su di loro non riescono o non vogliono esercitare il benchè minimo controllo. Anch’essi pericolosissimi tanto quanto certa criminalità organizzata, ma non punibili per la legge. Così come quei ragazzi saliti sul treno proveniente dalla Liguria che hanno fatto vivere nel panico  le persone presenti. Tutti a piede libero. Lasciare un paese dove la parola “libertà” non trova nemmeno una traduzione e delinquere là dove questa ha un significato profondo, è un insulto ingiustificabile.

Inutile girarci troppo intorno: comunque la si metta, alla radice di tutto ciò, esistono culture incompatibili, usi e costumi lontani ed incomprensibili, abitudini distanti dal nostro modo di vivere, l’impossibilità di una vera integrazione. Dobbiamo riconoscere i diritti di coloro che non sono disposti a riconoscere i nostri? Una società civile ha delle regole da rispettare e da far rispettare.

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Luciano Simonetti
Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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