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Un tempo, quando ancora non esistevano appositi strumenti di misurazione (prima i barometri, poi i teodoliti, oggi i satelliti artificiali, i GPS), l’altezza delle montagne si valutavano “ad occhio” guardandole dal basso in alto.
Per tale motivo, senza oggettivi parametri di comparazione, alcune montagne, per la forma o la posizione rispetto ai più comuni punti d’osservazione, furono erroneamente giudicate più alte di altre e tali convinzioni restarono, per secoli, ben radicate nelle credenze popolari.
E’ il caso del Rocciamelone che si erge, con la sua caratteristica forma piramidale, ben visibile da Torino e dalla pianura piemontese, a dominare le sottostanti vallate: la Valle di Viù, la bassa Valle di Susa, la Val Cenischia e la francese Valle dell’Arc.
Questa montagna s’identifica con un passato di superstizioni e di religiosità che trova una spiegazione nel fatto che, per molto secoli, è stata considerata la vetta più alta delle Alpi, nonostante la sua altitudine (m 3538 s.l.m.) sia relativamente modesta e non le consenta neppure d’essere la cima più elevata delle Valli di Lanzo.
La più antica testimonianza di questa credenza si trova nel Chronicon Novaliciense, una delle più importanti opere della letteratura latina medioevale, scritto da un anonimo monaco, vissuto nella seconda metà del XII sec. Il Chonicon narra la storia dell’abbazia della Novalesa, fondata nel 726 dal patrizio franco Abbone sulle pendici del Moncenisio in Val Cenischia, che fu un grande centro di potere e di coltura in età carolingia.
Nel libro 2°, cap. 5° si trova il racconto dell’ascesa al Rocciamelone, uno dei tratti di maggior poesia del Chronicon. Il Rocciamelone è detto dall’autore Monte Romuleo, dal nome di un tal re Romolo che, affetto dalla lebbra, vi dimorava nella bella stagione per cercare refrigerio. A proposito dell’altezza del monte, l’ignoto autore scriveva: “Sulla parte destra di questo monastero si ha il monte Romuleo, più alto di tutti i monti ad esso circostanti (trad.).
Il monaco narrava poi di un vecchio del luogo che, avendo cercato di raggiungere la vetta del Rocciamelone, insieme ad un certo conte Clemente, era stato respinto dalla nebbia improvvisamente calata, mentre pareva che dall’alto si lanciassero pietre su di loro. Lo stesso vecchio aveva riferito al monaco che la scalata era stata tentata anche da Arduino Glabrione, conte e poi marchese di Torino nel sec.X, accompagnato dai monaci dell’abbazia, per trovare il tesoro lasciato sulla cima dal re Romolo. La montagna aveva però, ancora una volta, ricacciato gl’indesiderati visitatori.
Il Thesauro, nella sua Historia di Torino, parla di un demonio, che ne difendeva la vetta, il quale secondo una credenza popolare avrebbe continuato a padroneggiane sulle Alpi finché san Bernardo d’Aosta non lo sconfisse sul Monte Pennino ove fu poi eretto l’ospizio del Gran San Bernardo.
La prima scalata conosciuta del Rocciamelone avvenne nel 1358 e fu una delle prime ascensioni di cui si ha testimonianza nella storia dell’alpinismo mondiale. La scelta di salire sul Rocciamelone era dovuta proprio al fatto che esso era considerato la montagna più alta. Bonifacio Roero d’Asti, essendo in schiavitù fece voto alla Madonna di costruire una cappella sulla montagna più alta che vi fosse in Italia, e nel 1358, dopo la sua liberazione, scavò nella roccia presso la punta del Rocciamelone una cappella in cui ripose un immagine della Vergine. Si tratta di un Trittico in bronzo dorato raffigurante al centro la Madonna con il Bambino Gesù, a destra S. Giovanni con Rotario, a sinistra S. Giorgio che dal 1653 è conservata nella Cattedrale di S. Giusto a Susa). Inoltre Bonifacio costruì un edificio, due ore di cammino più in basso, che servisse di ricovero ai pellegrini che fu chiamata Ca d’Asti.
Nel 1418 il Rocciamelone fu asceso, partendo da Susa, da Amedeo VIII duca di Savoia, che dalla cima volle consacrare le sue terre alla Vergine.
La prima descrizione particolareggiata di una salita si trova nella narrazione dei viaggi di un certo signor de Villemont, che compì la scalata nell’agosto del 1588.
Un’altra testimonianza sulle credenze relative all’elevazione del Rocciamelone è fornita da Luigi Francesetti, conte di Mezzenile, nelle Lettres sur les Valleés de Lanzo (1823). Francesetti raggiunse la vetta del monte nell’agosto del 1820 e lassù trovò una lapide di marmo bianco poi scomparsa, che era stata portata sulla vetta per celebrare l’ascensione compiuta il 5 agosto 1659 da Carlo Emanuele II duca di Savoia con la moglie Giovanna Battista di Nemours e la corte. Vi era inciso il motivo dell’ascensione cioè quello di “… adorare dal più alto de’ suoi stati la Vergine sua protettrice…”
Ritornando al Francesetti, si apprende che, dopo di allora, qualcosa era cambiato a proposito delle conoscenze acquisite sull’altitudine del Rocciamelone, che il Corpo di Stato Maggiore dell’Esercito Sardo nel 1821-23 (durante le operazioni finalizzate a completare la misura della lunghezza di un arco del parallelo terrestre attorno a 45 gradi di latitudine) aveva fissato a m 3536.
Era dunque accaduto che il naturalista, fisico, geologo di Ginevra Horace Bénédict de Saussure il 3 agosto 1787 aveva raggiunto la vetta del Monte Bianco e con un barometro, aveva stabilito che l’altezza del Monte Bianco era di 2478 tese di Ginevra, corrispondenti a m 4810 s.l.m. Quel giorno il Rocciamelone cessò ufficialmente e definitivamente di essere “la montagna più alta d’Italia”.
Tuttavia continuò ad essere meta delle escursione di principi di Casa Savoia e di tanti semplici devoti della Madonna.
Il 27 luglio 1838 fu scalato dal principe, futuro primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II col fratello Ferdinando duca di Genova, accompagnati dal principe Eugenio di Carignano. A ricordo di tale scalata, alpinisti e cittadini valsusini eressero un busto di bronzo, opera dello scultore Cesare Biscarra, raffigurante il re, che posero sulla vetta del Rocciamelone ed inaugurarono la mattina del 4 agosto 1891.
Nel 1859 un altro futuro re d’Italia, Umberto Principe di Piemonte, col fratello Amedeo duca d’Aosta, che sarà re di Spagna (1870-73), raggiunse la vetta del Rocciamelone dal versante valsusino, come tutti gli antenati.
Nel 1923 Filiberto di Savoia-Genova inaugurò sulla vetta il nuovo santuario-rifugio.
L’ultimo Savoia a salire sul Rocciamelone fu Umberto Principe di Piemonte che il 2 agosto 1928 compì l’ascesa insieme al suo 90° Reggimento Fanteria “Basilicata”.
Il 28 agosto 1899 fu inaugurata sulla vetta una statua in bronzo, alta 3 m, della Madonna, opera dello scultore G.A. Stuardi, dovuta all’iniziativa del prof. G. B. Ghirardi e alle offerte di 130.000 bambini italiani, portata da Susa sulla cima dagli alpini del Battaglione Susa.
Sulla vetta furono, nel corso dei secoli, costruite varie cappelle, anzi sembra che già in tempi antichissimi esistesse un tempio del dio Giove, trasformato in seguito in cappella dedicata alla Vergine Maria. L’ultima costruzione, eretta in muratura, fu inaugurata il 12 agosto 1923 e può essere considerato il più alto santuario d’Europa.