Un bicchiere amaro che nemmeno lo Jagermeister…

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VenticinqueGocce2Lunedì 13 Novembre, alle ore 22,30, ho deciso l’argomento: lo abbiamo deciso tutti. Tutti abbiamo concordato sul fatto che a volte nella vita, cose da cui non traiamo beneficio diretto ma solo una effimera soddisfazione, possano comunque farci stare bene. Magari un po’ meglio di prima. Come un bicchiere di quello buono, che scende leggero e solamente dopo ti fa sentire una leggera ebbrezza, e dimentichi, per poco s’intende, gli affanni di ogni maledetto giorno, i telegiornali inguardabili, le notizie che indignano.

Nel bicchiere c’era un amaro che nemmeno lo Jagermeister potrebbe eguagliare: coloro più in là negli anni ricordano quel 1958; io sono nato l’anno dopo, quindi ho sempre visto gli Azzurri al Mondiale, lo davo per scontato, e non facevano paura squadrette come l’ Albania, il Lussemburgo, la Svizzera. Ora sì: ed i nostri sempre lì ad arrancare con fatica, e poco gioco, fantasia, determinazione; i “nostri” sono quelli rimasti quando gli stranieri non si possono far scendere in campo, e che sono tanti, troppi, e così avanti, pareggiando, perdendo, sperando nelle disgrazie altrui, ma niente da fare. Sessanta milioni di CT delusi e affranti: con le squadre di club è diverso, ci si prova l’anno successivo, e magari su più fronti, con i tifosi che si prendono in giro (alcuni), e quelli che si ammazzano di botte (troppi), ma le cadenze degli eventi sono abbastanza prossime, e poi riguarda sempre e solo una parte delle tifoserie.

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Ora no: non si scherza più, non ci si mena più: nel dolore (trovatemi una definizione più consona), siamo tutti uniti. Uno tsunami di sentimenti negativi ha travolto chiunque abbia anche solo un pochino a cuore il calcio: da Milano è calato giù come una furia, ha travolto gli animi, e noi lì, a guardare attoniti, a dire non è possibile stia accadendo davanti ai nostri occhi! Poi il triste epilogo: staremo a casa a leccarci le ferite. Niente collegamenti con Casa Italia, niente ospiti che “io lo avevo detto di schierare Zaza dall’inizio”, niente serate trepidanti con pizza, birra e rutto libero, niente discussioni sul modulo, sugli innesti per l’incontro, e niente cortei col clacson in piena notte, niente piazze gremite col megaschermo, niente di niente.

Solo il silenzio che l’ineluttabilità di un fatto increscioso può comunicare.

Ora, sono pienamente d’accordo sul fatto che a noi comuni mortali, che fatichiamo ogni giorno per tirare avanti, tutto ciò non inciderà sulla nostra vita, perché abbiamo problemi reali cui far fronte, ma è anche vero che vedere gli azzurri che ci rappresentano nello sport, con qualunque disciplina, vincere e alzare un trofeo, beh…aiuta. La Merkel pare abbia detto che una vittoria sportiva alza il PIL della felicità.

Naturalmente la disfatta non impedirà ai giocatori di continuare ad essere profumatamente pagati dalle loro squadre di club, spesso con guadagni scandalosi, ma il tifoso è disposto a passarci sopra: sempre che arrivino i risultati. Si chiude un occhio, si dice che almeno loro i soldi non ce li prendono dalle tasche come i politici, ma siamo noi a darglieli. Ma almeno vincete santo cielo!

Dovremo considerare un danno economico pari a milioni di euro: investitori, sponsor, pubblicità, gadget, biglietti, viaggi, trasporti, televisori nuovi per l’occasione, ed anche l’incasso per i bar col televisore e gli avventori che consumano godendosi la partita: tutto azzerato. Anche la nostra immagine all’estero.

E’ un fatto sociale, non si scappa. Altri hanno investito, noi no.

Così nel 2018, senza gli azzurri, a cavallo tra Giugno e Luglio, potremo godere di qualche film in replica, visto che la RAI avrebbe dato in diretta solo la Nazionale: finalmente “L’inferno di cristallo”, “Lo squalo” dall’ 1 al 4, i vari “Airport”, “Via col vento”, e magari “Anna dei miracoli”! E penseremo a chi dare il nostro voto, se al Bomba o al barzellettiere che si è rifatto il look a Merano, e forse capiremo finalmente la differenza tra incandidabilità e ineleggibilità. E chissà che qualcuno ci spieghi come mai i paesi dell’ex Patto di Varsavia dal comunismo stiano virando al fascismo!

 

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Luciano Simonetti
Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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