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mercoledì, Ottobre 16, 2024

    Un sogno diventato realtà

    Matteo Simonetti alla scoperta della catena himalayana

    Non è vero che i sogni ingrigiscono nei cassetti, a volte  osano uscir fuori e trasformarsi in  realtà; condividere questi momenti di positività e speranza aiuta a costruire nuove prospettive nel futuro, a pensare che il domani è un progetto aperto, mai un libro chiuso.
    La storia di Matteo Simonetti, 25 anni ed una laurea in geologia con 110 e lode, l’abbiamo già raccontata, ci eravamo lasciati, poco meno di un anno fa, con il suo desiderio di “esplorare” la mitica catena himalayana e lo ritroviamo a raccontarci questo sogno divenuto realtà!

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    “I professori che mi seguono nel dottorato -racconta Matteo- da tempo lavorano sulla catena himalayana ed hanno effettuato già parecchie spedizioni in Nepal, India e negli altri stati della regione. Ogni anno verso ottobre, il periodo migliore per visitare questo territorio data l’assenza dei monsoni, organizzano un trekking-studio allo scopo di compiere indagini sul terreno: visionare le rocce del  posto, prendere le misure delle strutture che si vedono e naturalmente prelevare  campioni da studiare al microscopio e in laboratorio con varie tecniche.

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    Mai avrei immaginato che quest’anno sarebbe toccato a me: lavorare sulla geologia di questi territori è come toccare il cielo con un dito… semplicemente straordinario.
    La catena himalayana infatti è la più recente e la più grande catena collisionale del pianeta e, per lo studio dei vari processi che portano alla formazione delle catene montuose (e non solo), è un luogo eccezionale.
    Era settembre quando mi è stata fatta la proposta, durante un congresso a Pisa. È stata una bellissima sorpresa, totalmente inaspettata, da cogliere al volo. Pochi giorni dopo, rientrato a Torino, sono corso a fare il passaporto che per fortuna è arrivato in tempo. Il mio sogno aveva  ormai messo le ali!

    Siamo partiti il 14 ottobre. Il viaggio è stato abbastanza lungo, 13 ore e mezza con partenza da Milano Malpensa, scalo a Doha in Qatar ed arrivo a Kathmandu in Nepal.

    Kathmandu è una città caotica ed affollata. C’è un traffico incredibile, un continuo via vai di persone ed un gran inquinamento a causa dei mezzi di trasporto spesso obsoleti  che vengono utilizzati.

    Scimmie a Kathmandu

    È comunque un luogo unico, almeno per i nostri occhi ”occidentali”, con alcuni siti più “turistici” che vale la pena visitare come il quartiere di Patan con le sue architetture antiche ed il tempio di Swayambhunath famoso per essere “abitato” da tantissime scimmie che mangiano le offerte portate dai fedeli  buddhisti.
    Purtroppo alcuni edifici, storici e non, sono tuttora visibilmente danneggiati dal terremoto che ha colpito il Nepal nel 2015 e la ricostruzione è ancora molto a rilento.

    La spedizione di quest’anno aveva come obiettivo quello di percorrere la valle del Marsyangdi che si trova nel Nepal centrale. È una zona già oggetto di studio in passato, dove recentemente alcuni geologi hanno riaperto nuove problematiche riguardanti una struttura tettonica ed il suo significato. Anche il nostro gruppo di ricerca è interessato a  prendere parte al dibattito e ad esprimere il proprio parere scientifico.

    Per raggiungere il punto di partenza del trekking occorrono più di 8 ore di jeep partendo da Kathmandu, in parte percorrendo l’unica autostrada (nulla a che vedere con quello che intendiamo noi per strada asfaltata…) del paese che collega la capitale con Pokara e poi lungo strade di montagna tortuose e sterrate che risalgono il primo pezzo della valle.
    Abbiamo attraversato paesi minuscoli, fatti da uno sparuto gruppo di case, con strade completamente sterrate da cui si solleva una nuvola di polvere ad ogni veicolo che passa.
    Alcuni di questi  paesucoli sorgono proprio ai lati dell’autostrada come se fossero una sorta di “grande autogrill” dove le persone ci vivono proprio!.
    Di questo spostamento mi ricordo in particolare il percorso della prima parte della valle, stretta e molto profonda, incisa dal fiume Marsyangdi, la strada si trova sul versante destro ed è una riga che si staglia sui fianchi della montagna con frequenti strapiombi.
    Seduto sul lato del finestrino che dava proprio verso la valle e con la jeep traballante a causa dello sterrato, posso dire di aver vissuto momenti davvero mozzafiato.
    Prima di iniziare il trekking siamo rimasti tre giorni a Kathmandu dove abbiamo tenuto un corso (lezioni e esercitazioni) di geologia per gli studenti nepalesi, al Central Department of Geology della Tribhuvan University di Kathmandu.

    Nella loro università c’è spesso carenza di risorse e di tecnologie moderne e, tutto ciò va a discapito della formazione degli studenti. Il nostro corso è stato per loro un’occasione unica per scoprire realtà sconosciute. Abbiamo portato diverse sezioni sottili di roccia provenienti da tutte le zone del pianeta per osservarle al microscopio e spiegare come riconoscere ed interpretare alcune microstrutture che si possono ritrovare nelle formazioni rocciose di tutto il mondo.
    Alla fine dei tre giorni i ragazzi sono sembrati molto soddisfatti ed è stato bello vederli particolarmente interessanti anche durante le lezioni. Tutti sono stati molto gentili e disponibili, due ragazzi ci hanno anche aiutato a contrattare il prezzo del taxi per tornare dall’università in albergo (ecco un’altra cosa particolare: si contratta veramente su tutto, soprattutto con i turisti).
    Tanti di loro ci hanno anche chiesto i contatti facebook (è parecchio diffuso tra i ragazzi che vivono in città) e ci hanno chiesto se potevamo fare delle foto ricordo. Alcuni di loro ci hanno poi contattato per chiederci l’invio di articoli utili per le loro tesi e studi.
    Questo perché purtroppo la loro università, a differenza della nostra, non ha nessun abbonamento alle costose riviste scientifiche internazionali e quindi il rischio è che la comunità scientifica, rimanga tagliata fuori da tutte le novità e dalle ricerche pubblicate.

    Il trekking prevedeva anche un’attività sul campo di 10 giorni, durante i quali abbiamo percorso a piedi i circa 40 km della valle.
    Lungo il tracciato ci siamo fermati in diversi punti a raccogliere campioni di roccia e di acqua per un progetto riguardante la qualità delle acque di quella regione che si svolge in collaborazione con dei ricercatori di Pisa esperti di questa tematica.
    Siamo stati accompagnati da una guida locale e da tre portatori “sherpa”: tre ragazzi giovanissimi, il più piccolo penso non avesse nemmeno 20 anni.
    Sia loro che la guida non parlavano benissimo l’inglese, ma siamo riusciti a comunicare lo stesso senza difficoltà. Ragazzi come tanti: appassionati di musica, che, durante le pause o la sera, ascoltavano canzoni di artisti locali e  qualche classico dei gruppi “occidentali”.
    Ognuno di loro al mattino caricava la borsa di uno di noi e gli passava una corda intorno che poi usava come poggia-testa per portare anche carichi pesanti, fatto questo partiva per arrivare, con largo anticipo, dove  avremmo passato la notte.
    Rispetto ad altri gruppi sono stati fortunati perché i nostri bagagli erano contenuti al massimo; i ragazzi, nonostante il lavoro molto faticoso, erano comunque sempre contenti e sorridenti.
    Lungo il percorso ci siamo fermati a dormire in lodge, molto semplici e spartani, nei piccoli villaggi che si incontravano. Naturalmente in questi posti le comodità erano davvero poche e bisognava adattarsi ma, quando si arriva la sera stanchi per la giornata di lavoro, sono comunque un’ottima risorsa.

    punto gps al villaggio di Gyaru

    Nonostante il percorso non abbia toccato quote elevatissime per lo standard himalayano: l’altezza massima è stata poco più di 3800m, i paesaggi attraversati sono stati stupendi: dal fondo valle abbiamo potuto contemplare le pareti innevate di diversi ottomila, in particolare si dominavano le cime immacolate del gruppo dell’Annapurna. Ed era sorprendente trovare vegetazione a quote dove da noi solitamente ci sono solo neve e ghiaccio.
    Il clima è tropicale e molto caldo, a Kathmandu, 1.400 metri sul livello del mare, anche a fine ottobre si sta tranquillamente in maglietta, per questo anche in montagna il limite delle nevi e della vegetazione è spostato più in alto.

    E’ stato un viaggio in un “altro mondo”, che si tratti di montagna, di piccoli villaggi o di grandi città, tutto è estremamente diverso da quello a cui siamo abituati, inevitabilmente ci si confronta con l’essenzialità della vita.
    Si incontrano persone che vivono davvero con poco, in villaggi sperduti nel nulla, fuori dal mondo.
    La principale fonte di reddito resta il turismo legato al trekking che si concentra quasi esclusivamente nei mesi autunnali.

    La bellezza di questo viaggio non è stata solo nell’importante esperienza di studio e di ricerca ma soprattutto nella preziosa occasione di scambio e di confronto con un pezzo di umanità che sembra lontano anni luce dal nostro.
    Sicuramente mi piacerebbe poter partecipare ad altre spedizioni in futuro… speriamo ci sia la possibilità. Vedremo intanto cosa verrà fuori dai campioni che abbiamo raccolto e che stanno per essere studiati.
    Prossima tappa? Mi sto organizzando per andare negli Stati Uniti ad aprile dove lavorerò su alcuni dei campioni raccolti sulle Alpi e in Francia. Il sogno continua a battere le sue ali…..”

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