Costantino Nigra nacque l’11 giugno del 1828 a Villa Castelnuovo, piccolo comune canavesano della Valle Sacra vicino a Cuorgné, e morì a Rapallo il 1 luglio del 1907.
Diplomatico, segretario del D’Azeglio, compagno di Cavour ai congressi di Parigi e Plombières, è stato un grande poeta romantico.
Tra il 1854 e il ‘58 si dedicò, con l’aiuto di fedeli collaboratori, allo studio e alla raccolta di canzoni popolari piemontesi. Nel 1888 fu pubblicato il volume Canti popolari del Piemonte che costituiscono una delle opere più valide della filologia folcloristica del secolo scorso.
Frutto di un’opera iniziata fin dal 1854, nell’epoca, cioè, in cui il Nigra cominciò a pubblicare su alcune riviste italiane e straniere una serie di canzoni popolari che rivelarono un nuovo filone della poesia popolare italiana. Il volume include i canti raccolti in vari tempi e in quasi ogni parte del Piemonte.
Per ogni canto annotò tutte le varianti delle varie province e nei diversi dialetti, le loro affinità e le imitazioni rintracciate nella poesia popolare straniera. Aggiunse la traduzione in italiano dei testi, un breve repertorio lessicale; li corredò di note storiche, commenti, riferimenti per valorizzare vocaboli e pronunce diverse.
I titoli sono in italiano; il Nigra, raggruppando più versioni dello stesso canto, diede loro un unico titolo in italiano.
Una sola lacuna: l’esiguità di partiture musicali (solo 16).
Il volume include: Canti narrativi (153), Orazioni e giaculatorie religiose (6), Cantilene e rime infantili (11), Strambotti (183) e Stornelli (10).
I Canti popolari del Piemonte non sono soltanto un’opera di filologia ma un saggio di storia della poesia popolare e restano tuttora un’opera fondamentale per chi vuole avvicinarsi allo studio della canzone popolare piemontese.
DONNA LOMBARDA
Il primo canto che compare nella raccolta è “Donna Lombarda”.
Il Nigra afferma che la canzone deriva da un fatto storico avvenuto nel 573.
Alboino, primo re longobardo, dopo aver ucciso Cunimondo re dei Gepidi, sposò la figlia Rosmunda e la fece bere nel teschio del padre. Ma a Verona re Alboino fu ucciso dallo scudiero Peredeo a seguito di una congiura organizzata da Elmichi e da Rosmunda, che poi lo sposerà. Non riuscendo ad impossessarsi del regno, Elmichi fuggì, per il timore di essere a sua volta ucciso, portando con sé Rosmunda e tutto il tesoro dei Longobardi. Fu aiutato da Longino, prefetto di Ravenna, ma giunti in questa città, il ravennate convinse Rosmunda ad uccidere Elmichi e a sposarlo. Lei acconsentì, bramosa di divenire signora di Ravenna: offrì una coppa con una bevanda avvelenata a Elmichi che bevve, ma accortosi del veleno, obbligò Rosmunda a bere il resto, così perirono entrambi.
Ecco il testo del canto:
– Amejme mi, dòna Lombarda, amejme mi, amejme mi.
– Òh come mai veule che fassa, che j’eu ‘1 marì, che j’eu ‘1 marì?
– Vòstro marì, dòna Lombarda, felo murì, felo murì.
– Òh come mai veule che fassa, felo murì, felo murì?
– Mi ‘v mostrerò d’una manera ‘d felo murì, ‘d felo murì.
Ant ël giardin daré la casa, a-i é un serpentin, a-i é un serpentin.
Pieje la testa e peui pisteila, pisteila bin, pisteila bin;
E peui buteila ant ël vin nèiro, deje da bèi, deje da bèi;
Che ‘1 vòss marì ven da la cassa, con tanta sèj, con tanta sèj.
– Dèime dël vin, dòna Lombarda, j’eu tanta sèj, j’eu tanta sèj.
Còs j’éive fàit, dòna Lombarda? L’è antorbidì, l’è antorbidì.
– Ël vent marin de l’àutra sèira l’ha antorbidì, l‘ha antorbidì.
– Bèivilo ti, dòna Lombarda, bèivilo ti, bèivilo t’i.
– Òh come mai veule che fassa, che j’eu nin sèj, che j’eu nin sèj?
– L’è për la ponta de la mia speja ‘t lo beverei, ‘t lo beverei.
La prima gossa ch’a n’ha bèivune, dòna Lombarda cambia color.
La sconda gossa ch’a n’ha bèivune, dòna Lombarda ciama ‘1 consor (confessore).
La tersa gossa ch’a n’ha bèivune, dòna Lombarda ciama ‘1 sotror.