Ah, in questo momento – e da un bel po’ a questa parte…- non c’è che l’imbarazzo della scelta: “E’ tutto sbagliato, è tutto da rifare”. Aveva ragione Ginettaccio Bartali, e noi di salite tristi come il suo naso ne abbiamo avute a iosa nell’estate appena alle spalle.
E’ stato tutto un tristissimo percorso, di orrore in orrore, attraverso il colabrodo italico che dispensa a piene mani sempre nuovi capitoli di decadenza.
Di chi la colpa? Di tutto e di tutti, come un po’ di settimane fa lamentava Marcello Sorgi sulle colonne de La Stampa:
“La rete autostradale italiane è (…) uno slalom obbligato tra corsie alternate e tunnel bui o scarsamente illuminati, con molti dei suoi tratti che risalgono a metà del secolo scorso, dimensioni inadeguate, corsie di emergenza strette o inesistenti, valichi pericolosi, colonnine telefoniche di soccorso rotte o mal funzionanti: chilometri e chilometri di deserto in cui avere un piccolo guasto, cosa che può sempre capitare, significa temere di perdere la vita, mettersi a repentaglio di finire schiacciati, o affidarsi alla carità di qualcuno che abbia cuore di, evento sempre più raro nell’Italia avvelenata di oggi.
Aver lasciato andare in malora questo fondamentale strumento di progresso, averlo visto inerti deteriorare, ricoprirsi di toppe malmesse, interruzioni, incerti cartelli d’allarme sbiaditi, è stata una responsabilità gravissima. Che per correttezza, sempre in omaggio alle verità scomode che non si vogliono mai dire, non si può caricare esclusivamente e nemmeno in buona parte su un governo nato circa cento giorni fa. Sono tutti colpevoli: dagli ultimi, paralizzati, esecutivi della Prima Repubblica, a quelli della Seconda, Berlusconi, e prima di lui Ciampi, che avviarono le privatizzazioni (sacrosante!) delle grandi imprese di Stato, compresa la Società Autostrade, Prodi che la implementò in condizioni di bilancio pubblico da bancarotta, affidando in blocco o quasi la rete autostradale all’Atlantia dei Benetton, e poi Dini, D’Alema, Amato, fino a Monti, Letta, Renzi e ai giorni nostri, passando per l’eredità trentennale della Salerno-Reggio Calabria e per i numerosi ministri dei lavori pubblici che avrebbero dovuto vigilare e non lo fecero o non lo fecero abbastanza.
Un governo serio, sempre in omaggio alla verità, dovrebbe dire chiaramente alcune cose evidenti: l’Italia è in condizioni di emergenza senza che nessuno, ministri locali incapaci, sindaci, amministrazioni regionali di diverso segno ma tutti egualmente senza soldi, siano riusciti a invertire la tendenza. (…) Chi e quando ridarà la casa ai senza tetto, uguali né più né meno ai terremotati di Amatrice? Chi bandirà gli appalti e con quali fondi? Dello Stato, che non ne ha? Dell’Europa, insultata tutti i giorni? Del governo giallo-verde per metà ostile alle opere pubbliche e per l’altra metà convinto che gli appalti siano sinonimo di corruzione? Delle banche mezze sbancate e perennemente sotto accusa?”
Sorgi chiudeva con un grido d’allarme, chiedendo e chiedendoci se non sia cominciata l’era della«decrescita (in)felice».
E’ davvero tutto sbagliato e tutto da rifare. E non è cercando ogni giorno un nemico nuovo, una nuova paura da istillare nella gente che si possono risolvere le cose: si dà fiato unicamente ad una sempiterna campagna elettorale, procedendo per slogan e frasi ad effetto, che di concreto hanno pochissimo. L’unica sostanza pare la propaganda.
L’altro giorno un “umarel” mi diceva: “Ma se stanno sempre in televisione, quando lavorano?”
E non considerava Instagram e tutta la compagnia cantante dei social.
Tutto sbagliato. Tutto da rifare. E non c’è più tempo, se non per un perenne cordoglio.