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giovedì, Aprile 18, 2024

    Emoticon o geroglifici?

    VenticinqueGocce2WebÈ un pensiero che mi ha martellato in testa con l’approssimarsi del Natale, con sempre maggiore insistenza, e francamente mi turba.

    Pensavo ai social, Facebook, Instagram, Twitter, WhatsApp, che ci chiedono di essere concisi, sintetici al limite della chiarezza, ostinatamente brevi. E se vogliamo risparmiare ancora un pizzico di tempo, possiamo omettere anche la punteggiatura; tanto loro capiranno.

    Noi abbiamo fatto un passo oltre: non solo abbiamo smesso di utilizzare la punteggiatura (in tanti evidentemente stentano a comprenderne l’utilizzo), ma abbiamo sostituito le parole, già ricche di errori perché “abbiamo fretta e in rubrica i contatti sono ormai centinaia”, con le emoticon.

    Centinaia, migliaia, colorate, simpatiche certo, ma simboli a rappresentare una situazione, uno stato d’animo che altrimenti a parole verrebbe lungo e tortuoso descrivere: faccina con sorriso, bandiera inglese, hamburger e boccale di birra, uguale a “sono a Londra, in un pub”.

    Per l’avvento del Natale il mio cellulare è stato letteralmente intasato da messaggi dove i simboli hanno ucciso le parole. La punteggiatura abolita da tempo. Non solo: chi ha cercato d’essere più originale ha preso frasi già preconfezionate, aforismi, immagini in quantità industriale riguardanti il natale, completate con auguri per il futuro, per il nuovo anno: una melassa; e ancora GIF (Graphics Interchange Format)…[l’ho copiato da Wikipedia] con pupazzi di neve e neve che cade leggiadra. Uno tsunami di buoni propositi. Tutti copiati dal web. Nulla di “pensato”. Scritto.

    Qualcuno si è spinto oltre, con filmati presi dalla rete, simpatici, ironici, beneauguranti, e sempre o quasi, con la scritta in alto a sinistra “inoltrato”, quindi ricevuto e girato al prossimo contatto; la catena di Sant’ Antonio riveduta e corretta per i tempi moderni. O meglio il riciclo del regalo.

    Ma nessuna parola, solo segni, immagini, piccole icone cui dare interpretazione, significato. Non vorrei apparire blasfemo ma azzarderei dire che siamo ritornati indietro di tremila anni. Geroglifici. Questo sono: gli antichi sudditi di Tutankhamon lasciavano i loro messaggi alle generazioni future così, noi altrettanto; certo non occorrerà la Stele di Rosetta ed un novello Champollion per le traduzioni, ma resta da comprendere per quale ragione spesso e volentieri la semplice parola, soprattutto quella scritta, stia lentamente ma inesorabilmente diventando obsoleta. I simboli, seppur attuali e moderni, sono veloci, ed una immagine dice spesso più di tante parole; queste ultime ormai sono ridotte al minimo necessario, troncate, e non parliamo poi dei verbi e dei tempi perché ci sarebbe da inorridire.

    Le faccine, le emoticon, mettono ordine alle difficoltà che tanti ormai hanno con la nostra lingua. Ci si esprime a segni, si è nemmeno troppo lentamente tornati alla comunicazione grafica. Occorre fare in fretta per far arrivare il messaggio, e trovare appunto le parole giuste, curare la punteggiatura, diventa un compito macchinoso; un pollice verso o un pollice in alto spazzano via molte parole, anche il pur semplice e sintetico OK.

    Un linguaggio che ha da tempo preso piede anche tra coloro che invece dovrebbero avere rispetto per le persone cui si rivolgono e per la loro stessa carica: i politici, ormai succubi di  questa comunicazione immediata certo, ma scarna e vuota di contenuti.

    Così diventa un problema quando si è obbligati a riutilizzare la parola scritta: esprimere un concetto, una teoria o semplicemente dire qualcosa di tenero, e costa fatica.

    Quindi, stanco di ricevere messaggi e immagini riciclate, faccine, smile, simboli di ogni tipo, un bel giorno l’ho scritto: l’ho scritto a parole, in italiano chiaro suppongo, di come non ricevessi più nulla di comprensibile. Gli interlocutori sono rimasti perplessi, pensavano mi piacessero, e che il sistema “ricevo” e “riinvio” fosse comodo e normale.

    Credevo d’aver urtato la suscettibilità di qualcuno: ma mi sbagliavo. Il mattino seguente, faccina che ride, sci, montagna, abete, hamburgher, torta, piccola ambulanza. Mi aiutate nella traduzione?

    Peccato: le parole pensate, scritte, portano dentro sentimenti. La simbologia sa tanto di istruzioni per mobili IKEA.

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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