Antartide: quarto continente più vasto della Terra, 98% coperto dai ghiacci, il cui spessore arriva fino a 1600 metri, luogo tra i più freddi ed inospitali del pianeta.
Dagli Anni Cinquanta in avanti vi sono state costruite le prime basi scientifiche in diversi punti, ad oggi nelle 80 presenti, vivono, temporaneamente, tra le 1000 e le 5000 persone: una piccola comunità per un territorio immenso. Uno dei pochi luoghi al mondo dove le regole della scienza sono preponderanti rispetto agli interessi politici, una specie di libera repubblica della conoscenza davvero unica. Matteo Simonetti, la cui storia ha inaugurato questa rubrica dedicata ai giovani, 26 anni e una laurea in geologia a pieni voti, nuovamente ci sorprende col resoconto di questa importante esperienza vissuta come ricercatore scientifico nella base italiana “Mario Zucchelli”, in Antartide.
“L’avventura è iniziata verso fine agosto. – racconta Matteo – Come dimenticare quell’indaffarato pomeriggio in cui stavo preparando i bagagli per una breve vacanza… quando, un’inaspettata telefonata con un ancor più sorprendente richiesta, ha cambiato il volto della giornata e dei mesi a seguire. La professoressa, con cui lavoro per il dottorato, mi ha proposto di occupare l’ultimo posto ancora disponibile per un progetto di lavoro in Antartide. L’obiettivo della spedizione era quello di completare le ricerche geologiche in corso sulle Montagne Transantartiche, in particolare lo studio incentrato sul rilevamento geologico strutturale di un’area situata nel Convoy Range, a oltre 100 miglia a sud della base italiana “Mario Zucchelli”. Incredibile la proposta ed inevitabile la mia risposta: le ho subito detto di sì É stato un po’ come se quel sogno rintanato in un angolo remoto fosse improvvisamente sceso nel mondo reale, mai avrei sperato si concretizzasse tanto in fretta. Nel giro di poco tempo ho dovuto attivarmi per sbrigare alcune pratiche burocratiche e ho rimandato di un giorno la partenza per le vacanze, ma ne valeva la pena. L’avventura antartica in realtà era cominciata qualche mese prima di partire. Infatti tutti coloro che prendono parte alla spedizione per la prima volta devono partecipare ad un corso di addestramento di due settimane. Nella prima settimana si risiede a Brasimone, località lacustre in provincia di Bologna, dove si tengono delle lezioni teoriche e delle prove pratiche come: guida di natanti, recupero di persone cadute in acqua, prove antincendio di diverso genere, uso delle radio e altre attività utili ad affrontare situazioni di emergenza. La seconda settimana è riservata ad un’esperienza definibile “into the wild“: la si trascorre in tenda sul ghiacciaio, nei pressi del Monte Bianco per fare un po’ di esperienza di vita da campo e di adattamento a condizioni più estreme. Occorre anche effettuare una prova di volo in elicottero che è il principale mezzo con cui ci si sposta in Antartide per le varie attività. Dopo questa fase di preparazione, ogni partecipante è sottoposto a innumerevoli esami medici per verificare che sia in perfetta salute. Superato il “training“, finalmente si parte, carichi di entusiasmo e di aspettative: ci aspettano 40 giorni in Antartide. Nel mio caso la partenza dall’Italia era prevista per il 7 dicembre. Il viaggio fino a Christchurch, in Nuova Zelanda, è stato interminabile. Percepisci da subito di essere dall’altro capo del mondo e le circa 30 ore scandiscono le tappe: Milano-Dubai; Dubai-Sydney; Sydney-Christchurch. L’arrivo in Nuova Zelanda ha segnato l’inizio della “vera” partenza, quella determinata dalla stabilità delle condizioni meteorologiche. Per il volo Nuova Zelanda-Antartide sono salito su un C-130 dell’aereonautica militare; l’andata l’ abbiamo fatta con i neozelandesi mentre il ritorno con gli americani. La durata del volo è stata di altre 8 ore e l’aereo, non essendo un volo di linea, era incredibilmente scomodo e rumoroso. Gli spazi erano pochi perché era carico di bagagli e materiale della spedizione, per giunta ognuno di noi indossava pure gli ingombranti indumenti antartici. In Antartide le condizioni meteo devono essere ottime per poter atterrare in sicurezza e, se cambiano durante il viaggio, l’aereo deve tornare indietro. É quello che in gergo si chiama “boomerang”. A noi è successo al nostro primo tentativo: è terribile perché si vola 8 ore in quelle condizioni e poi si torna al punto di partenza, ovviamente molto stanchi e un po’ abbattuti. Il giorno dopo si è ritentato: questa volta la meta è stata raggiunta con enorme soddisfazione da parte di tutti. Un’indicibile emozione ci ha pervasi quando abbiamo visto il primo ghiaccio sul mare dai piccoli oblò dell’aereo: finalmente, dopo averlo tanto immaginato, ecco il continente Antartide! La prima sensazione che abbiamo provato è stato il freddo che è entrato nell’aereo all’apertura del portello e poi siamo rimasti abbagliati alla vista dell’immensa distesa bianca, indescrivibile nella sua bellezza perfetta.
L’aereo è atterrato sul mare ghiacciato alla base americana di McMurdo, da dove abbiamo preso un piccolo aereo per raggiungere, in poco più di un’ora, la stazione italiana. Era l’una di notte ma, in quel periodo, il sole non tramonta mai ed è come essere in pieno giorno. Questo, unito al fuso orario di +12 ore, ti disorienta e bisogna davvero abituarsi. Alla stazione italiana ci sono ricercatori che si occupano di varie discipline e che portano avanti numerosi progetti: biologi, ingegneri, chimici che fanno ricerca ad altissimo livello, con collaborazioni importanti e riconoscimenti internazionali. Numeroso è anche personale logistico che si occupa degli aspetti necessari al funzionamento della base, dai cuochi agli elettricisti ai meccanici e così via.
I primi giorni li abbiamo passati alla base per pianificare l’attività e organizzarci per il campo remoto. Era infatti previsto che, per indagare su aree lontane, ci saremmo fermati per alcuni giorni in tenda, a circa 100 miglia dalla stazione. La vita presso il centro italiano è abbastanza comoda, ma essendo una struttura piccola e con circa 80-90 persone bisogna saper condividere e convivere al meglio. L’attività è tutta programmata in funzione delle condizioni del meteo.
Ogni sera viene fatto un programma con un piano A, un piano B e un piano C e spesso bisogna inventarsi pure un piano D il giorno stesso perché le condizioni sono diverse da quelle previste: occorre cercare di fare comunque il più possibile senza sprecare tempo.
Ricordo con grande emozione il primo volo con l’elicottero per esplorare l’interno, la vera Antartide, la base infatti è sulla costa in un posto che si chiama “Baia Terra Nova”. La visione dall’alto delle forme e dei colori del ghiaccio è meravigliosa.
Quando si atterra e l’elicottero si spegne, il silenzio è assoluto: un’emozione che ti lascia senza parole.
L’aria e il cielo sono talmente tersi e limpidi che permettono di vedere lontanissimo.
I ghiacciai che appaiono sono enormi. Ne ricordo uno che abbiamo sorvolato spesso per raggiungere una delle aree di lavoro: per attraversarlo con l’elicottero ci volevano circa 15 minuti, quindi immaginate quanto fosse esteso!
Ce ne sono alcuni con dei crepacci così profondi che l’elicottero ci potrebbe volare dentro!
Avere avuto la possibilità di spostarsi con questo mezzo, ci ha permesso di raggiungere qualsiasi luogo, cosa che ha rappresentato un enorme vantaggio per il tipo di ricerca che stavamo svolgendo.
Ci sono momenti che resteranno ricordi indelebili come quando, verso le 22.30, il sole cala più basso all’orizzonte e lascia filtrare una luce simile a quella che noi abbiamo in piena estate intorno alle 18. Una luminosità calda ma non troppo forte colora il cielo e ti permette, per la prima volta nella giornata, di togliere gli occhiali godendo dei colori in modo naturale: una sensazione di grande pace e serenità.
Per quanto riguarda la temperatura intorno alla base si aggira sui -5° C ma all’interno, essendo ben riscaldata, si sta tranquillamente in maglietta e si può addirittura prendere un gelato dopo mangiato.
A man a mano che si avanza verso zone più lontane, la temperatura scende: la minima è stata di circa -24° C a causa del vento che la abbassava notevolmente.
Al campo, nella tenda doppia, riuscivamo ad avere circa +5° C! Dopo un po’ ci si abitua, non si percepisce più il freddo, e si riesce a stare abbastanza bene a temperature alle quali dalle nostre parti si patisce.
Si ha a disposizione anche una tenda grossa con una stufa che si usa sia come cucina, che come zona comune e per lavorare. La cosa più difficile è dormire; pur arrivando parecchio stanchi dopo la giornata di lavoro, dentro la tenda è pieno giorno!
Prima di Natale abbiamo interrotto l’attività al campo perché era previsto maltempo e siamo rientrati alla base. Lì abbiamo trascorso il Natale (e pure il mio compleanno…) con un ottimo pranzo preparato dai nostri cuochi.
Passata la festa, quando il tempo ce l’ha permesso, siamo ritornati al campo che, nonostante il brutto tempo, era ancora in buone condizioni.
Altro lauto cenone per Capodanno. Dopo la giornata di lavoro, ci siamo concessi: zuppa, carbonara, patate, tartine con tonno e uova e verdure varie.
Due giornate indimenticabili, momenti unici che ricorderò per tutta la vita.
Oltre ai paesaggi mozzafiato è stato emozionante anche riuscire a vedere vari animali, primi fra tutti i pinguini e poi le orche e alcuni altri uccelli locali.
Tra le varie attività il periodo in Antartide è passato velocissimo e l’8 di gennaio ci siamo trasferiti dalla base italiana a quella americana e il giorno seguente siamo rientrati in Nuova Zelanda con la voglia e la speranza di poter un giorno rifare un’esperienza simile. L’attività di ricerca, svolta nell’ambito di collaborazioni nazionali e internazionali ha consentito sia di colmare una lacuna nella cartografia geologica di questo settore del Mare di Ross, che di comprendere attraverso quali processi geologici l’Antartide abbia acquisito la sua attuale configurazione, permettendo di ricostruire la storia di questo continente nelle varie ere geologiche. La spedizione è stata quindi un successo ed ora andranno studiati i numerosi campioni che abbiamo raccolto per ulteriori approfondimenti.”
“Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite.” (Mark Twain)