La storia di Chiara Monticone, Sandra Caruso e Sukhvir Santokh Kaur

Amicizia, bene dell’anima da coltivare e custodire

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“Non c’è distanza  che possa separare una vera amicizia, i forti legami rimangono e sfidano il tempo perché hanno una sola casa: il cuore”. Può essere sintetizzata in questa frase la storia di Chiara Monticone, Sandra Caruso e Sukhvir Santokh Kaur, tre giovani casellesi, amiche da sempre, anche ora che una di loro, dopo il matrimonio, si appresta ad andare lontano, oltreoceano. Perché l’amicizia è il cemento che unisce le genti, che fa superare i pregiudizi, che valica i conflitti, un “bene dell’anima” da coltivare e custodire. Chiara, Sandra e Sukhvir, hanno 24 anni e sono amiche dai tempi della scuola materna e delle elementari: inseparabili. Sukhvir è nata in Italia ma la sua famiglia è indiana; il 21 febbraio si è sposata  con Harpreet Singh, nel paese d’origine di suo padre, nel Punjab, regione del Nord-ovest dell’India, ai confini col Pakistan. É un racconto che parte proprio da qui, perché a questo matrimonio Chiara e Sandra non potevano assolutamente mancare: sono state le damigelle della sposa e i ricordi s’intrecciano a fermare momenti indimenticabili.

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“La mia famiglia – esordisce Sukhvir –  è arrivata in Italia 30 anni fa; mio padre Santokh si è trasferito prima a Melfi e poi, con mia madre Balwinder, a Caselle, dove risiediamo dal 1994. Ho una sorella maggiore già sposata e un fratello più piccolo. I miei parenti sono sparsi in mezzo mondo: in Italia, in Inghilterra, in Canada, in Australia. Conservo la religione Sikh della mia terra d’origine; la mia famiglia ha mantenuto anche alcune  tradizioni della cultura indiana e io mi sento metà italiana e metà indiana. Ho conosciuto Harpreet nel 2011 su Facebook e ci siamo incontrati la prima volta a settembre dello stesso anno  a Milano. Harpreet  è anche lui un Sikh, ha 26 anni ed è nato in India, nel Punjab, nel 2002 si è trasferito a Brescia per lavoro; ora ha trovato un’occupazione più redditizia in un paesino a 50 chilometri da Vancouver, in Canada. Questa sarà la nazione in cui andremo a vivere. Non sarà facile per me lasciare la mia famiglia, il luogo dove sono nata e soprattutto le mie carissime amiche ….“

Un po’ di malinconia vela lo sguardo di Sandra e Chiara che annunciano: “Vedrai, ti verremo a trovare nelle vacanze e poi non è detto che sia per sempre: magari, tra qualche anno Harpreet si convince a tornare, vero?”

Il marito di Sukhvir sorride, ma è un ragazzo molto determinato e spiega col suo innegabile accento bresciano: “In Italia mi sono sempre trovato bene, ma, quando mio padre ha perso il lavoro è emigrato in Canada e io ho dovuto assumermi le mie responsabilità nei confronti della mia famiglia. L’ho seguito e mi sono adattato a fare qualsiasi mestiere. Ora organizzo il lavoro per un gruppo di braccianti agricoli messicani, mi sono integrato ed ho la possibilità di migliorare, magari fra qualche anno mi metterò in proprio…. Per ora il mio domani è lì.”

Sukhvir accarezza i 33 bracciali rossi  e dorati che porta ad entrambe le braccia: sono un dono fatto dallo zio materno, simbolo di felicità e segno di un legame che ha inizio: dovrà tenerli per 40 giorni, così dice la tradizione: “Avrei preferito sposarmi in Italia, – prosegue – ma la nonna di Harpreet non avrebbe potuto esserci, così abbiamo deciso di celebrare il matrimonio a Dhani Pind, il paese di mio padre, che si trova a pochi chilometri da quello di mio marito. É un minuscolo centro agricolo formato da famiglie di contadini e di sarti, che confezionano vestiti per le cerimonie; è stata una  mia vicina di casa a cucire gli abiti per le mie amiche-damigelle. in India il matrimonio è una festa che dura dai 3 ai 7 giorni e prevede un numero infinito di invitati, al nostro hanno partecipato 500 persone: parenti, amici, conoscenti… tutto il paese viene coinvolto.”

“É  stata un’esperienza unica ed incredibile – racconta Chiara – siamo arrivate insieme a Dario, il fidanzato di Sandra, e dopo un interminabile viaggio su strade sterrate, con un pullman “molleggiato” prenotato per noi dagli sposi, abbiamo fatto tappa ad Agra, per ammirare una delle sette meraviglie del mondo: il celeberrimo Taj Mahal. La vista ci ha ripagato della fatica, che tuttavia non si era ancora conclusa: il nostro viaggio, tra soste per l’attraversamento di mucche, buche e incontri incredibili come un dromedario all’autogrill,  ha avuto termine solo dopo 16 ore, con l’arrivo a Dhani Pind. Intanto, nelle case  degli sposi, i riti del matrimonio avevano già avuto inizio e il giorno seguente anche noi ne abbiamo fatto parte.”

“Un giorno – prosegue Sandra – siamo andate in visita al luogo più  sacro per la religione Sikh, il Tempio d’Oro di Amritsar, interamente ricoperto da decorazioni in oro e marmo, risalenti al tempo dei Maragià, circondato da un lago in cui ci si può bagnare per purificarsi, dove tutte le spose indiane vanno in pellegrinaggio prima del matrimonio. Alla sera abbiamo partecipato al “rito delle luci” indossando gli abiti tipici fatti confezionare da Sukhvir: i parenti e gli amici della sposa portano un particolare copricapo, che viene passato durante la festa. La sposa conduce le danze con un piatto al cui interno viene inserita, in un impasto di farina e cotone, una piccola candela artigianale fatta di olio e burro che viene accesa. In questo modo si va a far visita alle altre famiglie del paese, in segno di festa le case vengono illuminate all’esterno con ghirlande di luci, si balla e si banchetta fino a notte fonda. La pioggia battente che ci ha accompagnato per l’intera serata ha reso il tutto ancora più suggestivo. Agli sposi viene anche dedicato un coloratissimo mandala costruito artigianalmente con sterco di mucca, farine colorate e sabbia.”

“Il rito sikh – continua Sukhvir – prevede diversi momenti precedenti il giorno del matrimonio, come lo scambio dei regali  e del cibo che vengono portati  dalla famiglia della sposa allo sposo e dalla mamma e dalle sorelle del futuro marito alla sposa in segno d’accoglienza; il cibo, preparato in casa, è parte integrante della festa e viene consumato ovunque nei numerosi banchetti che accolgono gli ospiti. La sposa e le donne della famiglia  applicano l’hennè, una sostanza rossa di origine vegetale che, seccando, scurisce su mani e piedi con decorazioni molto elaborate. A casa dello sposo viene portato il libro sacro che viene letto interamente nei tre giorni precedenti il matrimonio, il giorno del rito è riportato al tempio dove si celebra la funzione religiosa. Il giorno della cerimonia, io ho indossato il vestito tradizionale di colore rosso ed ai bracciali ho aggiunto i “kalire”, cioè dei pendenti portafortuna, mentre le mie cinque damigelle vestivano abiti azzurri e fucsia, i colori preferiti da me e da mia madre. Sono stata accompagnata al tempio da loro e da mio fratello; Harpreet, come da tradizione, era già li ad aspettarmi, ci siamo seduti  per terra, di fronte al sacerdote che teneva aperto il libro sacro e recitava le preghiere accompagnato da canti e  musica. Poi abbiamo compiuto quattro giri intorno all’altare, io dietro ad Harpreet  tenendo tra le mani la fascia rossa donata allo sposo dalle sorelle prima di raggiungere il tempio, che poi mio padre  ha passato nelle mie mani, durante la cerimonia, come simbolo del nostro legame. Da quel momento siamo diventati marito e moglie. Terminato il rito religioso ha avuto inizio la festa al ristorante fatta di musica, balli e tanto cibo. Prima di entrare nel locale c’è stato ancora il rito di benvenuto delle due famiglie: prima s’incontrano gli uomini che si scambiano ghirlande di fiori e poi le donne che si regalano noci di cocco. Lo sposo, accompagnato dagli amici, si è  tolto le scarpe e ha contrattato  con mia sorella e le damigelle il prezzo da pagare per riaverle e poter finalmente vedermi. Dopo infinite fotografie e un cambio d’abito, abbiamo fatto il nostro ingresso nel locale per i saluti a parenti e amici. Durante i balli degli sposi è usanza buttare loro  addosso delle rupie che vengono raccolte da chi lavora per il matrimonio come camerieri e musicisti, si raccolgono sempre gruzzoli consistenti di denaro e talvolta si assiste anche a discussioni tra i vari pretendenti. Tutto il matrimonio è stato ripreso in diretta per dare la possibilità ai parenti che non potevano esserci  di partecipare lo stesso. Certamente uno dei momenti  più commoventi  è stato quando ho dovuto lasciare casa mia per sempre: la tradizione prevede che io butti del riso  verso le quattro pareti della stanza come auspicio di felicità per chi resterà lì, cioè i miei genitori e per la casa in cui andrò ad abitare.“

“Ricorderemo per sempre questi giorni – conclude Sandra – ci siamo completamente immersi in un’atmosfera di festa  ed allegria ma abbiamo anche pianto molto, ci sono stati attimi di commozione vera e per me di emozione doppia quando, il mio fidanzato, proprio in quei giorni, mi ha chiesto di sposarlo: il 16 maggio del 2020 toccherà a noi!“

Gli occhi luccicano, i pensieri corrono al domani con una sola certezza: che la loro amicizia sarà per sempre, come testimonia il tatuaggio che tutte e tre hanno voluto condividere sul braccio: un piccolo aereo e la scritta – In qualunque posto sarai –

“Ogni persona che incontri nella vita è una foglia che arricchisce il tuo albero. Alcune si perderanno nel vento, altre non si staccheranno mai.”

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