É uno dei temi più discussi ed attuali nel nostro paese, e non solo, soprattutto alla luce del fenomeno migratorio proveniente dal Nord Africa. La paura nei confronti di chi ha il colore della pelle, la fede o la cultura differenti dalla nostra può spesso tramutarsi in intolleranza verso il diverso e in casi estremi, ma non così rari purtroppo, in vere e proprie teorie della superiorità della razza. Poco più di ottant’anni fa una serie di provvedimenti legislativi, che sono conosciuti come le leggi razziali fasciste, ci portò ad una triste realtà. Il primo annuncio ufficiale fu fatto il 18 novembre 1938 a Trieste da Mussolini, il quale ne elencava i contenuti dichiaratamente antisemiti. La legislazione fascista stabiliva quali erano le condizioni per definire un ebreo. Ebreo era chi aveva entrambi i genitori ebrei, oppure un genitore ebreo e l’altro straniero, oppure la madre ebrea e il padre ignoto, oppure entrambi i genitori ariani che professavano però la religione ebraica. Tali provvedimenti contenevano un insieme di divieti: di matrimonio tra ebrei ed italiani, di avere domestici ariani alle proprie dipendenze, di lavorare nelle pubbliche amministrazioni, di svolgere la professione di notaio e di giornalista, di frequentare le scuole pubbliche, di pubblicare testi, di soggiornare nelle principali località turistiche e diverse altre proibizioni. I decreti antisemiti che furono promulgati dal 1938 al 1942 colpirono perciò tutti gli aspetti della vita politica, sociale ed economica della componente ebraica della società.
Al fine di promuovere il messaggio razziale il 14 luglio dello stesso anno veniva pubblicato sulle pagine del Giornale d’Italia il “Manifesto degli scienziati razzisti” (conosciuto anche come il Manifesto della Razza). Fu in seguito ripubblicato (il 5 agosto 1938) anche sul primo numero della rivista La difesa della razza e sottoscritto da dieci scienziati. In questo manifesto si enunciavano alcuni principi cardini che divennero il fondamento della legislazione fascista, come ad esempio: l’esistenza delle razze, concetto inteso in senso puramente biologico; l’esistenza di una pura razza italiana la cui cultura era di origine ariana e la non appartenenza degli ebrei a tale razza. Lo stato fascista aveva predisposto anche un ufficio, la Direzione Generale per la Demografia e la Razza (Demorazza), preposto alla compilazione del primo censimento dell’intera popolazione ebraica in Italia. Si scoprì che gli ebrei erano poco più di 58.400 su una popolazione italiana di poco inferiore ai 44 milioni di abitanti.
Fino all’attuazione della legislazione del 1938, il fascismo ebbe un atteggiamento bivalente e contradditorio nel confronti della comunità ebraica. Se negli anni venti le dichiarazioni di Mussolini miravano ad enfatizzare la purezza della razza e a negare politiche antisemite, negli Anni Trenta con la stampa fascista (“Il Tevere”, “Il Regime fascista” e “Il Popolo d’Italia”) e soprattutto con la conquista dell’Etiopia nel 1936, la retorica razzista subì un a vistosa accelerazione. La visita in Italia di Adolf Hitler nel maggio del 1938 fu cruciale nell’emanazione dei provvedimenti razziali. Germania ed Italia si erano fortemente riavvicinate negli ultimi anni con alcuni accordi stipulati tra i due paesi e una legislazione che riprendesse per certi aspetti quella del Terzo Reich avrebbe incrementato ancor di più la benevolenza dell’alleato tedesco.
La reazione alle leggi razziali da parte della monarchia fu di un’iniziale leggera obiezione per quegli ebrei che avevano partecipato attivamente alla gloria patriottica durante il primo conflitto mondiale. Per questo motivo furono inserite una serie di esenzioni che poi spinsero Vittorio Emanuele III a firmare le leggi.
L’atteggiamento del Vaticano, invece, fu di forte preoccupazione e di netta protesta. Pio XI con l’enciclica “Mit Brennender Sorge” del 1937 al clero tedesco aveva condannato l’ateismo e il razzismo biologico. Il contrasto più duro fu però sul tema dei matrimoni misti non più riconosciuti dalla nuova legge fascista. Questo provvedimento violava in modo evidente alcuni articoli del Concordato. Il 10 febbraio Pio XI morì e gli succedette un più diplomatico Pio XII.
L’applicazione delle leggi razziali provocò l’epurazione di circa trecento ebrei tra insegnanti, ricercatori e studiosi, tra i quali vi erano anche intellettuali di spicco. Inoltre numerose furono anche le confische dei loro beni e delle loro proprietà. Con l’occupazione nazista del centro nord d’Italia si operarono innumerevoli arresti e deportazioni per i campi di sterminio tedeschi, in particolare verso Auschwitz.
L’abolizione delle leggi antiebraiche non fu una procedura immediata e richiese diversi anni. I primi decreti furono abrogati nella parte meridionale del Regno nel gennaio 1944, a sei mesi dalla caduta del Fascismo.
Toccante ed educativa fu la testimonianza di Ada Levi Nissim, professoressa delle scuole medie della provincia di Padova che fu allontanata dall’insegnamento a seguito dell’approvazione della legislazione razziale fascista. In questo estratto si riscontra tutta l’amarezza per l’indifferenza e la paura delle altre persone:
“E nessuno degli italiani diceva una parola, tutti accettavano e molti si affrettavano a riempire i posti rimasti liberi. […] E’ vero, era pericoloso impegnarsi in una battaglia contro corrente, ma se tutti i rappresentanti dell’istruzione avessero reagito, allora nel 1938, quando i tedeschi non erano ancora in Italia, qualcosa sarebbe servito, e forse Mussolini ci avrebbe ripensato. Non bastava mettere dei fiori sul tavolo di un insegnante ebreo o di un alunno ebreo come se fosse morto, ma le famiglie degli altri alunni potevano ribellarsi”.