Statuti e Franchigie concessi a Caselle dai Savoia

Nel primo Trecento, Basso Medioevo, nelle terre di Margherita

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In quest’avvio del 2021, dopo aver lasciato molto volentieri un orrendo 2020, tra le tante domande che uno si fa a me per esempio è saltato in mente di pensare come facevano tanti secoli fa i signorotti del posto a comunicare le disposizioni da osservare con i propri sudditi, visto che allora non c’erano i giornali, la tv, Internet e nemmeno i Dpcm (decreti della presidenza del consiglio)?
Una specie di risposta, anzi la risposta, la troviamo, per esempio, nell’ufficio di rappresentanza del sindaco di Caselle in Palazzo Mosca dove insieme alla splendida pala d’altare cinquecentesca La Madonna del Popolo del Defendente Ferrari si trovano anche incorniciati su vetro due documenti di grande importanza per la storia di Caselle e per quella delle Terre di Margherita; materiale storico questo che affonda la sua origine laggiù, nel Basso Medioevo, circa sette secoli fa. Sono molto scoloriti dal tempo e dall’esposizione – era d’obbligo una conservazione di questi rarissimi documenti al riparo della luce – ma si tratta pur sempre di due pergamene sulle quali sono scritte le franchigie e i privilegi della comunità; una è del 1310 del conte Amedeo V di Savoia e l’altra è datata 1337 ed è del conte Aimone di Savoia. Questi editti venivano poi comunicati ad alta voce al popolo dagli araldi o banditori nelle pubbliche piazze.


In quel tempo il Comune – leggiamo nel mio “Caselle e la sua storia” – era basato su statuti e sui quali col beneplacito del Principe venivano concesse delle franchigie e dei privilegi a sua discrezione. Ad ogni cambiamento di sovrano i cittadini delle varie comunità cercavano di ottenere la riconferma e sovente per averla dovevano pagare rilevanti somme di denaro. Naturalmente di questo approfittavano i nuovi Principi per rimpinguare le loro casse e per far fronte ai sempre più urgenti bisogni di forti somme a causa delle sempre più numerose guerre che si combattevano. In questi statuti vi sono alcune prerogative che interessano anche il Comune di Caselle, come la dispensa del pedaggio, la concessione dei forni, e l’obbligo di ospitalità ridotto ad un giorno.

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Così Ciriè, passata sotto la signoria di Amedeo VI (1343-1383) Signore del Piemonte e conosciuto anche come il conte verde chiese la riconferma delle franchigie ottenute da Margherita di Savoia; furono necessarie lunghe trattative e soltanto il 13 novembre del 1351 che Amedeo VI confermava a Ciriè gli statuti di Margherita. In questi statuti vi sono alcune prerogative che interessano anche il Comune di Caselle
Ma di ben maggiore importanza furono prima gli statuti che a Caselle elargì il conte Amedeo V di Savoia detto il Conte Grande (nato a Le Bourget-du-Lac, 1253 circa e morto ad Avignone il 16 ottobre del 1323) che fu Conte di Savoia e Conte d’Aosta e Moriana dal 1285 al 1323, in nome della figlia Margherita nel 1310; e nel 1337 il conte Aimone di Savoia, detto il Pacifico (nato a Bourg-en-Bresse il 15 dicembre del 1291 e morto a Montmélian il 22 giugno del  1343), fu Conte di Savoia e Conte d’Aosta e Moriana dal 1329 al 1343. Ebbe il nome di Pacifico per la savia amministrazione dei suoi Stati e per le buone leggi emanate. Gli statuti concessi perché “il luogo ricevesse un felice incremento e gli abitanti fossero uniti con più stretto vincolo a Casa Savoia”. Questi due documenti scritti naturalmente da amanuensi, sono pergamene, l’una di cm 41×57 e l’altra di cm 59×61 come già scritto sono incorniciate nell’ufficio del sindaco di Caselle.
Nello statuto del 1310 il conte Amedeo V accordava il privilegio di poter disporre liberamente delle eredità, dei beni mobili ed immobili, i quali dovevano pervenire per testamento o senza alle persone alle quali spettavano di diritto. Concedeva inoltre l’esenzione delle roide e della carrigia, il che, con altre parole, significa l’obbligo ai quali andavano soggetti i censuali e permettevano al signorotto un certo numero di giornate lavorative e di carri per il trasporto. Non era questa però un’esenzione generale, vi erano delle eccezioni. Il conte si obbligava di non mettere a Caselle alcuna imposta oltre le 21 libbre che questa comunità pagava ogni anno come fodro. Si riservava però questo diritto nel caso che questa taglia si imponesse a Ciriè e a Lanzo. La parola fodro nell’alto medioevo significava il diritto di cui godevano i pubblici ufficiali e il sovrano che si fossero recati in un paese per le loro funzioni, di farsi dare dalla popolazione foraggi e biada per i cavalli; tale diritto si trasformò poi in un’imposta in denaro a carico dei feudatari e a beneficio dell’imperatore.
Quelli di Caselle non erano obbligati ad andare cinque miglia dal territorio del loro villaggio ad esercitare l’ufficio di castellano, né a fare fortezze o difendere altri castelli, o altro luogo, eccetto che si trattasse di venire in soccorso del paese. Il conte e Margherita ordinavano che non s’imponesse nuove tasse oltre quelle che Caselle pagava già al tempo di Guglielmo VII e di Giovanni, marchesi di Monferrato.
Concessero ai sindaci il diritto di fare statuti e ordinamenti, ma questi però dovevano avere l’approvazione del conte, di Margherita o del loro castellano. Questi statuti non avrebbero avuto più valore se fossero stati, in qualche occasione, riprovati. Gli uomini di Caselle potevano avere resa giustizia nel loro stesso comune alla presenza del castellano, salvo nei casi in cui erano citati dinanzi al tribunale del conte, della marchesa o del vicario. Questo avveniva quando si trattava di cause di molta importanza, per quelle semplici, sia civili che criminali, bastava il giudizio del castellano. Nel tribunale di giustizia di Caselle il notaio doveva essere scelto tra gli uomini dello stesso Comune, salvo nei casi di maleficio, cioè di omicidi, incendi, furti gravi, nei quali vi era un giudice speciale.
Con gli statuti si restituirono alla comunità di Caselle “i beni comuni” che erano stati tolti dal tempo di Guglielmo VII senza discernimento. Fu inoltre concessa la dispensa del pedaggio che Caselle era obbligata a pagare a Ciriè e Lanzo. Furono confermati i diritti di pesca e di caccia, stabilendo però che si dovesse dare al conte o a Margherita le teste dei cinghiali e tutto ciò che erano soliti dare al tempo dei marchesi di Monferrato. Questo strano diritto vigeva in tutte le città suddite e in vigore di esso il capo o una parte qualunque del corpo degli animali andavano alla camera del sovrano o anche del barone. Fu concesso il diritto di ritogliere i possessi dati ingiustamente ad alcuni uomini di Caselle per restituirli a coloro i quali erano stati tolti, e ancora di togliere qualsiasi servitù se questa era stata imposta. Non era raro, infatti, il caso che si imponessero, sia pure con sussidi, angherie, prestazioni, servizi personali verso il re, così da rendere alquanto servile la condizione del proprietario, il quale per liberarsi di questi soprusi spesso abbandonava il feudo. Questi obblighi non gravavano soltanto sui tagliabili (significa soggetti alla taglia, all’imposta) veri servi della gleba (dal latino: zolla di terra) ma ancora sui censuali, vale a dire di agricoltori a mezzadria, che si potevano considerare quasi liberi se non fossero stati angariati in modo tale da potere essi stessi essere considerati servi della gleba. Il conte tenne per sé e per la figlia Margherita i forni e tutto ciò che il Comune di Caselle era solito pagare ai marchesi di Monferrato. Infine si riservarono il diritto di ospitalità. Per l’atto degli statuti – anno 1310 – furono procuratori del Comune: Giovanni Marchisio, Giovanni Belliccerio, Giovanni Berra, Martino Basso e Guglielmo Engignati. Il notaio fu un certo Vinetto e fra i testimoni mastro Pietro di Cellanova, fisico del conte di Savoia e Thomeno di Fologna, castellano di Caselle.
Ma altre prerogative e privilegi furono concessi a Caselle in data 28 febbraio del 1337 dal conte Aimone di Savoia dove sono ribadite e puntualizzate le concessioni fatte nel precedente statuto.

Il conte Aimone il 1° maggio del 1330 sposò in Caselle Violante, figlia di Teodoro il Paleologo che, come si ricorderà, successe a Giovanni nel marchesato del Monferrato. La sposa aveva portato in dote i castelli di Caselle, Ciriè e Lanzo, che erano ancora usufrutti di Margherita.
Il 1° marzo del 1337 troviamo trasferita la ratifica da parte di Violante dei privilegi concessi dal marito, e poi anche tutte le conferme degli statuti che i successori di Aimone fecero al momento dell’acquisto del potere e precisamente: alle calende di dicembre del 1349 conferma di Amedeo VI, figlio di Aimone; il 19 dicembre 1370 altra conferma di Amedeo VI; il 14 maggio 1384 conferma di Amedeo VII, figlio di Aimone e di Bona di Borbone, ratificata successivamente il 16 ottobre del 1408; il 16 giugno del 1440 troviamo ancora la conferma di Lodovico, figlio di Amedeo VIII. Nel 1475, 14 aprile, Iolanda di Savoia, tutrice di Filiberto I che allora aveva solo 10 anni, conferma i capitoli concessi ai tre Stati del Piemonte (è una pergamena di cm 35×57) e sempre nel 1475, il 17 giugno, in seguito alla supplica della Comunità di Caselle, Iolanda di Savoia, sempre in nome di Filiberto I, concede l’esenzione dei carichi (tasse) per tre anni in seguito alla tempesta che ha distrutto tutti i raccolti (due pergamene, una per la domanda di cm 35×30 e un’altra di cm 48×34 come concessione, con sigillo cereo pendente); infine arriva la “conferma delle conferme” da parte di Carlo Emanuele I avvenuta il 9 dicembre del 1605. Diversi di questi documenti sono conservati nel Palazzo comunale di Caselle. Nel finale mi si consenta una divagazione. Abbiamo parlato tanto fin qui di Savoia, ebbene Caselle Torinese è uno dei pochi posti che non ha intitolato una piazza o una via a qualcuno di casa Savoia. Meglio, c’era una volta a Caselle l’attuale Piazza Boschiassi che nel 1890 fu intitolata al re Umberto I, (prima era Piazza del Castello) ma dall’8 maggio 1944 fu cambiata in Piazza del Mercato e poi dal 7 giugno 1945 in piazza Boschiassi.
Gianni Rigodanza

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