Nell’augurare Felice Anno Nuovo, il nostro notaio, il dottor Gabriele Naddeo, nel primo numero di Cose Nostre del 2021, ha voluto prendere in esame alcuni argomenti trattati di recente dalla Corte di Cassazione, che di sicuro interesseranno i nostri lettori. Il primo, ad esempio, ha a che fare con i contratti stipulati tra costruttori e privati: meglio leggere bene, per non avere sorprese.
Cassazione, ordinanza 20 ottobre 2020, n. 22825, sez. V
Per comprendere meglio questa massima, occorre partire da un presupposto, relativo ai contratti preliminari (definiti anche compromessi), tra costruttori e privati: il denaro anticipato dall’acquirente, può essere versato a titolo di caparra confirmatoria oppure come acconto. Nel primo caso si paga l’imposta di registro dello 0,5%, nel secondo si pagherà l’IVA proporzionale (4% prima casa; 10% seconda casa). Altro dato da chiarire: il principio di alternatività IVA – registro: se versi la prima, non versi la seconda. Chiariti questi punti, analizziamo le conclusioni della Corte: il pagamento di somme di denaro, effettuato a titolo di caparra confirmatoria di un contratto preliminare di compravendita di bene immobile, è soggetto ad I.V.A. ed all’obbligo di fatturazione qualora tali somme, per volontà delle parti, siano destinate ad anticipazione del prezzo per l’acquisto del bene, a valere quindi anche come acconto. Di conseguenza, l’avvenuto pagamento spontaneo, da parte del promittente acquirente, coobbligato in solido, dell’imposta di registro in misura proporzionale, anziché fissa, non rende illegittima la pretesa fiscale ai fini I.V.A. avanzata dall’Agenzia delle entrate con riguardo al medesimo contratto preliminare. Ben può accadere che nell’ambito del compromesso il denaro versato possa essere qualificato sia come caparra (ossia prequalificazione del risarcimento del danno), sia come anticipazione del prezzo. In tale ultimo caso, si pagherà sia l’imposta di registro sia l’Iva. In tal caso, dunque, non varrà il principio di alternatività, sopra illustrato.
Cassazione, ordinanza 16 novembre 2020, n. 25905, sez. V
Questa ordinanza si mette, aderendovi appieno, nel solco delle ormai numerose decisioni della suprema corte, relative alla tassazione dei trust. Ai fini dell’applicazione delle imposte sulle successioni e donazioni, di registro ed ipotecaria è necessario, secondo quanti scritto dalla Cassazione, ai sensi dell’articolo 53 della Costituzione, che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un’attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale: a tal proposito sempre la Corte afferma che nel trust di cui alla Legge 364 del 1989 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Aja del primo luglio 1985), tale trasferimento imponibile non è costituito dall’atto istitutivo del trust, né da quello di dotazione patrimoniale fra disponente e trustee, in quanto gli stessi sono meramente attuativi degli scopi di segregazione e costituzione del vincolo di destinazione. Il trasferimento, in realtà, avverrà soltanto all’atto di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, ed in tale occasione dovranno essere versate le imposte proporzionali di cui sopra. A tal proposito, vediamo anche l’ordinanza del 2 dicembre 2020, n. 27500, per la quale il trasferimento del bene dal settlor al trustee (atto di dotazione, con cui chi costruisce il Trust – settlor – affida i beni da gestire al trustee – colui che dovrà amministrarli nell’interesse dei beneficiari) non determina effetti traslativi, poiché non comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust.
Cassazione, ordinanza 3 dicembre 2020, n. 27692, sez. V
In ragione della natura dichiarativa, a fini tributari, della divisione che non preveda conguagli, ai sensi del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 34, e della conseguente inapplicabilità, a tale fattispecie negoziale, della deroga, prevista dal d.p.r. cit., art. 52, comma 5 bis, alla disciplina posta dallo stesso art. 52, commi 4 e 5, il potere di rettifica dei valori dichiarati nell’atto di divisione non può essere esercitato dall’amministrazione, qualora le quote attribuite ai condividenti rispondano ai parametri catastali delineati dall’istituto della cd. valutazione automatica degli immobili. In altri termini, se nell’ambito della divisione vengono utilizzati i valori catastali, non può esservi un accertamento circa la congruità o meno del valore della massa o delle quote.
Cassazione, ordinanza 10 settembre 2020, n. 18796, sez. VI – 2 civile
La speciale normativa urbanistica, dettata dall’art. 41-sexies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 18 della l. n. 765 del 1967, si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell’edificio, determinando, mediante tale vincolo, un diritto reale d’uso sugli spazi medesimi a favore di tutti i condomini dell’edificio. A tal riguardo, la Corte di Cassazione afferma che, se nell’atto di compravendita delle singole unità abitative manca un’espressa riserva di proprietà in favore del venditore, o sia stato omesso qualsiasi riferimento al riguardo, le aree in questione, devono essere ritenute parti comuni dell’edificio condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c..
Cassazione, ordinanza 30 settembre 2020, n. 20878, sez. II civile
La Corte di Cassazione torna sulla accettazione tacita di eredità, ed afferma che per aversi accettazione tacita di eredità non è sufficiente che un atto sia compiuto dal chiamato all’eredità con l’implicita volontà di accettarla, ma è altresì necessario che si tratti di atto che egli non avrebbe diritto di porre in essere, se non nella qualità di erede. Si tratta di due requisiti che devono ricorrere simultaneamente. L’ordinanza in questione affronta la fattispecie del pagamento di un debito del defunto, che il chiamato all’eredità effettui con danaro proprio: a tal riguardo, considerando che non è un atto dispositivo e, comunque, suscettibile di menomare la consistenza dell’asse ereditario – tale, cioè, che solo l’erede abbia diritto a compiere – ne consegue che, mancando il secondo requisito, non si può considerare verificata l’accettazione tacita di eredità.