La guerra di Crimea

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Percorrendo le vie di Torino ci si imbatte in nomi dal profumo esotico. Mi riferisco nello specifico a corso Sebastopoli, via Cernaia o piazza Crimea. Ed è proprio da quest’ultima dalla quale vorrei partire per raccontare un conflitto internazionale che ebbe un significato profondo sia per il Piemonte e sia, più in generale, per il processo di unificazione del nostro Paese. Siamo a metà dell’Ottocento, per l’esattezza nel 1853, quando scoppiò una guerra per il controllo degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli che vide affrontarsi la Russia dello Zar Nicola I e l’Impero Ottomano il quale stava versando già da tempo in uno stato di declino politico e militare. Il pretesto al conflitto fu di natura religiosa e riguardò la disputa tra il clero cattolico e quello ortodosso nell’amministrare i luoghi santi della cristianità in Palestina (in particolare Gerusalemme) che facevano parte del territorio del Sultano. A partire dalla caduta di Costantinopoli nel 1453 la Russia si propose come legittima erede nella difesa della civiltà bizantina e della religione ortodossa e fece pressioni sull’Impero Ottomano al fine di porre i fedeli orientali sotto la protezione zarista. Al suo rifiuto, Nicola I invase la Moldavia e la Valacchia, regioni di religione ortodossa sotto il dominio ottomano. I veri motivi del conflitto furono però da ricercare nella gestione dei traffici mediterranei. Già da tempo l’espansionismo russo aveva messo gli occhi sull’Impero Ottomano e sul controllo dei suoi stretti per poter avere uno sbocco nel Mar Mediterraneo. La reazione dell’imperatore francese Napoleone III e dell’Inghilterra non si fece attendere. E subito vennero intrapresi dei colloqui tra i governi inglese, francese, austriaco, prussiano e svedese per realizzare un’alleanza antirussa con l’obiettivo di impedire l’influenza sul commercio per la via d’Oriente e verso i mari.
La presenza dell’Austria nelle trattative fu significativa in quanto furono proprio gli Asburgo a spingere lo stato maggiore russo a decidere di abbandonare i Balcani per concentrare le operazioni nella penisola di Crimea.  Questa decisione è anche da spiegare con ragioni tecniche ovvero sull’inferiorità dell’esercito russo rispetto alle forze anglo-francesi. I vascelli erano ancora a vela e privi di motore a vapore, disponevano ancora di cannoni a canna liscia e di vecchi fucili ad avancarica, non usavano il telegrafo e la ferrovia per il trasferimento delle truppe, delle armi e delle vettovaglie.
Tra aprile e maggio del 1854 il primo contingente di spedizione alleato composto da circa 50.000 effettivi sbarcò in Crimea e un terzo di loro venne subito colpito da un’epidemia di colera. Dopo una prima fase aggressiva, Nicola I si rese conto che il conflitto poteva tramutarsi in una guerra di posizione. L’assedio di Sebastopoli infatti durò un anno intero. Due eventi ruppero questa situazione di stallo: l’ultimatum dell’Austria che minacciò un intervento a fianco della coalizione alleata e l’esplosione di una serie di rivolte contadine in tutto l’impero russo.
L’intervento del regno di Sardegna a fianco degli alleati si collocava nella politica di respiro internazionale promossa da Cavour. Dopo aver superato l’opposizione dell’opinione pubblica piemontese contraria ad una partecipazione al conflitto e ad aver esaudito invece il desidero del governo di Londra, un corpo di spedizione di 15.000 bersaglieri guidato dal generale Alfonso La Marmora partì in direzione Crimea. Al seguito di La Marmora vi era anche Alessandro, il fratello, ideatore del nuovo corpo mobile dell’esercito sabaudo – i bersaglieri – e che trovò poi la morte proprio a Sebastopoli a causa del colera. Il contingente partecipò alla battaglia della Cernaia subendo ventitré perdite, decisamente inferiori rispetto a quelle inflitte dall’epidemia.
Nel febbraio del 1856 si concluse l’armistizio e nelle successive trattative di pace tenutasi a Parigi tra i delegati di Russia, Austria, Francia, Inghilterra, Turchia e Regno di Sardegna prevalse la linea francese, più moderata rispetto a quella di Austria e Inghilterra. Si garantì l’integrità territoriale dell’Impero Ottomano, un protettorato alleato su Moldavia e Valacchia che rimasero sotto il dominio del Sultano, la navigazione libera sul Danubio, l’agibilità del Mar Nero e infine la separazione della Bessarabia dalla Russia.
Cavour realizzò il proprio intento, quello di sedere per la prima volta a fianco delle potenze europee dell’epoca e di sottoporre all’attenzione internazionale le condizioni in cui versavano le popolazioni dei singoli stati italiani. Il Regno di Sardegna, pur non ottenendo un vantaggio territoriale, riscosse però un vantaggio dal punto di vista politico e diplomatico con il suo intervento. In questo nuovo contesto si ascrive il trattato segreto di alleanza antiaustriaca firmato nel luglio 1858 a Plombières tra Francia e Piemonte e che prevedeva l’impegno francese a fianco dello stato sabaudo contro l’Austria se quest’ultima l’avesse attaccato per prima. Nizza e Savoia furono i compensi resi dal Piemonte a Napoleone III per il suo sostegno militare. Sappiamo poi come terminò da lì a tre anni la questione italiana.

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