Il dato più significativo uscito dalla prima tornata elettorale torinese, la verità vera, è che a vincere è stato il partito di chi non è andato a votare: meno del 50 %, uno striminzito 48,08 che sta lì a dire come un torinese su due non si sia recato alle urne. E il dato non può che preoccupare.
Intanto, perché Torino è sempre stata considerata una sorta di laboratorio: quello che capita da noi, prima o dopo, capiterà in tante altre parti. Per cui questo dato elettorale – pur sapendo che tra pochissimi giorni potrebbe essere sconfessato da una massiccia affluenza al ballottaggio – deve essere assolutamente e comunque analizzato.
Il motivo per cui la gente non s’è recata a votare va ricercato nella sempre più marcata lontananza del “palazzo” dalle reali idee ed esigenze della gente stessa? Sì, assolutamente. In campagna elettorale è stato rimarcato da tutti i contendenti come fosse prioritario tornare a parlare alle periferie ma, evidentemente, nessuno di loro è riuscito a scaldare cuori induriti dalla crisi e dalla mancanza di prospettiche speranze.
Vale per Torino, come Napoli o Milano – Roma no, è purtroppo un discorso a parte -: il centro, le zone “bene” sono salotti, ma basta svoltare un qualsiasi angolo per trovarsi a contatto con realtà degradate, e non basterà certo l’ospitata delle ATP Finals o lo European Song Contest a modificare le sorti di Barriera di Milano o via Nizza.
L’onda lunga e benefica delle Olimpiadi 2006 ha da tempo esaurito la sua corsa; da troppo
“ passion lives here” è roba dimenticata e Torino, buona parte del nostro amato Nord – Ovest, sono tornati sonnacchiosi e “barbutun”, rassegnati. Una recente analisi di Aldo Cazzullo sulla nostra situazione ha fatto assai discutere; le risposte di Evelina Christillin e di Oscar Farinetti sono state piccate, risentite ma giuste nel dire che c’è chi lavora 380 giorni l’anno per modificare il corso delle cose, mettendoci impegno, professionalità e ingegno, per far sì che si sia ciò che possiamo e dobbiamo essere nel panorama nazionale.
Ma Cazzullo, mettendo il dito nella piaga, ha altresì ragione: il danno creato da troppa scarsa, evanescente politica ha creato voragini dalle quali sarà difficile venire su. Appendino, come l’assessore Finardi, è stata tutt’altro: inconfutabile che abbia personalità e competenze di assoluto rilievo, ma il resto della truppa che ci ha negato una nuova fetta di olimpiadi ( meno male che è arrivato tutto il resto…) è facilmente e doverosamente dimenticabile. Se un torinese su due non è andato a votare, semplicemente e assurdamente è perché non ne valeva la pena. Punto.
A condurre troppe danze è la rassegnazione, il fatto che, nati in un certo modo, nulla potrà modificare la traiettoria della vita.
Sulle prossime giunte, indifferentemente siano targate Lo Russo o Damilano, graveranno responsabilità non da poco, pena scontri sociali possibilissimi.
Ci vorrà una visione ampia, improntata su programmi e idee e non già su perenni campagne elettorali. Ci vorrà capacità d’impresa ma con uno sguardo attento agli ultimi e a chi lo sta diventando.
Caselle, che andrà ad elezioni nel prossimo anno, come si regolerà? Chi prova a far politica continuerà a basarsi sulla conta dei voti oppure cercherà una vera pianificazione per il futuro che ci aspetta e ci spetta?
Qualcosa, più di qualcosa si sta cominciando a muovere, fin-a trop. Dopo le lungaggini – ed è un vero eufemismo – delle Aree ATA, ci manca solo che creino un cratere al posto delle Case Cit…
Ma si sa, che a fine mandato qualcosa si cerca di fare, per recuperare consenso.
Sta a vedere che è pure la volta buona che mi riparano la derelitta rotonda davanti a casa.