16La struttura sociale della più grande città dell’antica Grecia, Atene, era ben definita e aveva un preciso ordine gerarchico. Al livello più basso erano posizionati i meteci, ovverosia gli stranieri che provenivano principalmente dalle altre città greche e che si dedicavano al commercio e all’artigianato, e gli schiavi, pubblici e privati, che svolgevano i lavori più umili. Al vertice della società stavano invece i cittadini, i soli che venivano chiamati Ateniesi e che potevano partecipare attivamente alla vita politico-amministrativa della città, rivestendo cariche pubbliche sia politiche sia giuridiche. Costoro erano gli unici detentori dei pieni diritti e doveri nella democrazia ateniese, dalla quale erano completamente escluse le donne, gli stranieri e i servi. Con la riforma di Pericle nel 451 a.C. si potevano definire cittadini solo coloro che avevano entrambi i genitori ateniesi.
Sotto il profilo urbanistico e architettonico, i quartieri residenziali di Atene non brillavano per la loro bellezza e vivibilità, anzi erano tetri e poco salubri, le strade erano strette, tortuose e sconnesse. Questo si spiega perché soltanto la zona del porto del Pireo era stata edificata attraverso un progetto di sviluppo urbanistico. Le abitazioni erano piccole, poco confortevoli e costruite con materiale di scarsa qualità, tanto che i ladri (chiamati foramuri) non avevano bisogno neppure di forzare le porte ma entravano direttamente negli appartamenti praticando fori alle pareti. All’interno il mobilio era essenziale, composto da pochi elementi che venivano trasportati all’occorrenza da stanza a stanza. Le pareti e i soffitti venivano decorati e i pavimenti erano in mosaico. Nel patio, o cortile interno, circondato da un porticato vi si poteva trovare abbastanza frequentemente un altare dedicato alla dea Estia, protettrice della casa, o al dio Efesto. C’era una distinzione tra le camere ad uso maschile e a quello femminile. Le camere femminili (gineceo) erano collocate al secondo piano e all’interno dell’edificio e in esse le donne si dedicavano alla tessitura e alla cura dei figli. Nell’andròn, la stanza riservata agli uomini, si celebravano i simposi e alle donne era vietato accedere a meno che non fossero schiave o intrattenitrici.
Questa profonda separazione nella vita quotidiana tra uomini e donne si manifestava fin dall’infanzia e nell’istruzione dei giovani. La nascita di un futuro cittadino veniva celebrata mettendo un ramo d’olivo sopra la porta se era un maschio oppure un nastro di lana se era una bambina. Dopo sette giorni, con la famiglia riunita, la casa veniva purificata e il padre con il bambino in braccio girava intorno al focolare a indicare che il nascituro veniva accolto come nuovo membro della famiglia. Il decimo giorno dalla nascita veniva celebrata un’altra festa nella quale si regalavano degli amuleti al neonato e gli veniva assegnato anche il nome. La cura dei figli spettava alla madre, anche se nelle famiglie più abbienti una balia si occupava dei lavori più pesanti. I maschi giocavano modellando argilla o intagliando bastoncini in legno mentre le femmine giocavano con delle bambole.
Sulla base della rigida educazione ateniese le ragazze venivano costantemente tenute sotto controllo, chiuse in casa per preservarne la verginità. A coloro che l’avessero perduta di fatto veniva impedito l’accesso al matrimonio e potevano essere vendute dal padre in quanto disonorate. L’istruzione delle femmine consisteva solo nell’imparare a tessere, a cucinare e a rendere il loro carattere modesto e pudico. Al contrario i maschi andavano a scuola fin dai sette anni accompagnati dal pedagogo, un fedele schiavo di casa, e dai dodici anni cominciavano a frequentare i ginnasi per fare esercizio fisico. Il termine “ginnasio” deriva da gymnòs “nudo” per il modo con il quale si eseguivano gli esercizi al fine di mantenersi in forma in vista di un’eventuale guerra. Nei ginnasi, approfittando della nudità dei corpi, si stabilivano le prime relazioni tra uomini adulti e giovani. La pederastia veniva considerata una componente dell’educazione aristocratica e derivava dall’antica usanza di mettere il giovane sotto la protezione di un uomo. La vera e propria istruzione delle femmine invece risiedeva nel matrimonio, che avveniva intorno ai 14 o 15 anni anche se era già stato tutto stabilito prima dal padre.
Pare che l’adulterio fosse piuttosto frequente ad Atene nonostante i rischi che comportava: le mogli venivano ripudiate ed escluse dalle cerimonie religiose e i seduttori dovevano pagare cifre onerose a titolo di rimborso e potevano anche venir uccisi secondo la legge se i mariti traditi li avessero scoperti in fragrante. Anche la prostituzione era legale e particolarmente diffusa, tanto che erano stati aperti bordelli di proprietà dello Stato nei presso del Pireo. Il divorzio si otteneva facilmente sia per comune accordo sia per iniziativa di uno dei due coniugi. Non veniva stigmatizzato dalla società: il marito lasciava tornare la moglie dai propri genitori mentre la moglie doveva presentare il caso, attraverso il padre o un uomo della famiglia, presso un tribunale. Ottenuto il divorzio la donna godeva della piena libertà di contrarre un nuovo matrimonio.
La tradizione aristocratica ateniese per antonomasia era il symposion, la bevuta in compagnia, che avveniva con gli ospiti dopo la cena. Il simposio o banchetto si svolgeva nella sala degli uomini che era arredata con klìnai, specie di letti per la mensa su cui si sdraiavano gli invitati. Le uniche donne che potevano assistere al simposio erano le flautiste e le etère, prostitute di alto livello. Era il momento in cui gli uomini benestanti si dimenticavano delle questioni importanti e delle preoccupazioni per dedicarsi al divertimento e all’allegria.
La vita ad Atene nel V secolo a.C.
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