A Piobesi vive Felice Lupo. Io l’ho incontrato a Pasquetta, a “Messer Tulipano”, nel parco del castello di Pralormo e sono rimasta incantata a rimirare il suo piccolo museo contadino: pochi metri di esposizione per far rivivere il lavoro di una cascina tra gli anni ‘30 e ‘60.Tutto è miniaturizzato: Felice ha preso le misure precise e le ha ridotte a un decimo. Ha ricostruito anche i due ambienti principali in cui la famiglia trovava momenti di riposo e riprendeva forze dopo il lavoro: la cucina e la camera da letto. “La sala non l’ho fatta. Nella sala della cascina, quella con i mobili più lucidi, i bicchieri buoni e il sofà, mio padre teneva i sacchi di crusca,… per farvi capire quanto veniva usata! ”- racconta Felice. Ogni oggetto è riprodotto fedelmente, dal focolare al potagé, dai macinacaffè al ferro da stiro, dal giornale con gli occhiali da lettura allo spruzzatore del flit! La camera da letto è in legno, con letto, armadio e cassettiera su cui poggiano i ritratti di famiglia; sotto il letto lo scaldino di rame e il vaso da notte. “Ho usato quasi sempre legno di tiglio, che non ha vene ed è più facile da lavorare. Ho il mio banco di utensili, la sega per il ferro e una bombola ad acetilene per saldare. Tutto qui. Prendo le misure e via. Pensi che per rifare la betoniera che avevamo pagato con la carriola 250.000 lire e avevamo rivenduto per 20 euro, ho dovuto andare fino a Carignano da quello che l’aveva comprata, per misurare bene!” Osservo con attenzione la grande aia in cui ha disposto in ordine centinaia di strumenti da lavoro, modellini statici o dinamici di attrezzature usate qui in Piemonte e forse in tutta Europa, prima che trattori e meccanizzazione rendessero il lavoro più semplice. Era il ‘97 quando Felice, classe ‘39, decise di andare in pensione, abbandonando il lavoro in cascina. Il papà era mancato qualche anno prima e aveva ben dettato la sua volontà di non cercare di modernizzare il lavoro in cascina, lasciando i cavalli e acquistando trattori e macchine agricole.”Non state a comprare ferro vecchio! Non buttate via i soldi!” “ Così non si poteva andare avanti però, io ormai avevo già una bella età. Ho ascoltato mio padre. Ho lasciato la cascina, venduto le mucche e i due cavalli da tiro.” Felice aveva sempre amato la sua vita e soffriva a lasciare tutto, ma era anche uno con i piedi per terra e sapeva che la scelta era inevitabile: ormai le 60 giornate di terreno lavorate solo con l’aiuto dei cavalli, non potevano certo garantirgli una produzione concorrenziale e ovunque, attorno, rombavano trattori e macchinari giganteschi e potenti. “Avevo visto una trebbiatrice dinamica in miniatura a una fiera di Fossano e lì scoccò la scintilla. Avevo un bisogno forte di continuare a stare tra le mie cose, con gli attrezzi che avevano sentito la mia baldanza di giovanotto, il caldo delle fienagioni e delle trebbiature, il freddo delle mattine a rigovernare le stalle, i canti delle vendemmie e del vino nuovo, i lavori di fino a creare pagliai tondi e perfettamente bilanciati, i balot di paglia e fieno ben squadrati. L’idea geniale era quella di rimpicciolirli e tenerseli accanto, zeppi di ricordi e di passione. Il primo strumento costruito nel ‘97 è stata un’incudine, su cui si battevano le falci ed i falcetti, l’ultimo, di quest’anno, è un “gabas” di metallo che serviva per il cemento dei piccoli lavori in muratura!” E la senti la passione, mentre Felice, felice, prende in mano ogni oggetto e te lo racconta: ne riconosco molti che vedevo da bambina nelle cascine delle mie amiche, o tra gli attrezzi che usava papà, ma di molti non so nulla: il “lensin”, una lunga pertica uncinata per sfilare paglia e sistemare i pagliai, il coltello a due manici, la mazza di legno di melo, i ferri da zoccolai per far le zeppe, ( mi spiega che Piobesi è appunto il paese degli zoccolai), la ventola per pulire i cereali, la sgranatrice, i vari tipi di aratro, di erpice, di voltafieno da far trainare dai cavalli. Mi racconta tutto con voce pacata e serena, in cui avverto una vena di soddisfazione ora, perché finalmente qualche visitatore si ferma ad osservare con più attenzione. Io starei ore ad ascoltare le digressioni che ad ogni strumento si affacciano a far memoria di tutta una vita: sì perché ogni strumento, anche così piccolo contiene gli incontri speciali, la rabbia per un rimprovero, un calendario fitto di fatiche e tanta cultura. Non lasciamo che queste memorie si perdano! Comincio a suggerire a Felice di scrivere il nome delle varie attrezzature (che per altro ritrovo in grandi stampe vendute qui a Pralormo) e poi di portare il suo museo in giro per i nostri paesi, visto che così, in miniatura, può andare ovunque.
Naz
Museo contadino in miniatura
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