Plasticene: un libro che deve cambiare le nostre azioni quotidiane

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Confesso che mi mancava la lettura di un libro come “Plasticene” di Nicola Nurra, per scuotermi dal torpore generato dal bombardamento mediatico spesso contraddittorio sulla situazione climatica. Anche il fatto che le stesse persone che dovrebbero adottare una politica di attenzione al climate change invece si lascino invischiare in una guerra che da sola provoca danni incommensurabili all’ecosistema, mi rendeva pessimista e forse insensibile. Nicola Nurra, naturalista, biologo marino e operatore scientifico subacqueo, insegna biologia marina all’Università di Torino, ha fondato Pelagosphera, una cooperativa di monitoraggio ambientale marino e ha dalla sua la capacità di raccontare il mare come solo chi è nato su un’isola come lui, sa fare. Drammaticamente definisce la nostra epoca Plasticene, l’era della plastica: incredibile come “questo prodotto creato dall’uomo si sia rivelato in poco tempo uno dei pericoli più gravi per la sopravvivenza di specie animali, piante ed ecosistemi.” Attraverso sette capitoli e un epilogo ci accompagna sull’orlo dell’abisso da cui possiamo ancora sperare di tirarci indietro. I quattro orologi Climate clock di New York, Berlino, Glasgow e Roma scandiscono il tempo che rimane prima che le temperature della terra aumentino oltre gli 1,5 gradi stabiliti come limite massimo dall’Accordo di Parigi: 6 anni, 261 giorni, 23 ore nel momento in cui scrivo. In questo lasso di tempo dobbiamo invertire la rotta. La COP 27 o Conference of Parties, si svolgerà a Sharm el-Sheikh dal 6 al 18 novembre 2022 e vogliamo sperare che non rimanga un…bla bla bla, come grida la Thunberg. Il primo capitolo del libro è dedicato ad una specie endemica italiana, la pinna nobilis che sta purtroppo rientrando nel novero dell’ MME(mass mortality event) dovuto a cause spesso difficili da indagare, ma determinate da noi umani. Il suo habitat, racconta Nicola Nurra, era la costa tra 0,50 e 60 metri di profondità e facendo snorkeling a pelo d’acqua fino a qualche anno fa, si potevano osservare le grandi valve scure attaccate con il prezioso bisso al fondale, tra le praterie di Posidonia.
Nell’isola di Sant’Antioco, Chiara Vigo, sacerdotessa del bisso, rimane a custodire il museo del “Filo del mare”; non c’è più bisso da raccogliere con sapiente delicatezza e filare per il più prezioso dei tessuti.  Nonostante dal 2017 fosse partito il grido d’allarme e si fossero monitorate tutte le zone conosciute in cui crescevano esemplari di pinna nobilis, la situazione si è talmente aggravata che forse si arriverà a custodirle in acquari fino a che non saranno più resistenti ai parassiti. Responsabile infatti dell’ MME è un parassita che vive nel corpo del mollusco e viene attivato dal riscaldamento delle acque del mare. Nurra continua questo e altri racconti di realtà che non conoscevo, con dati scientifici, ma anche con una scrittura chiara e affascinante, unendo le sue esperienze personali di ricercatore sul campo. Il secondo capitolo è dedicato all’analisi della crisi climatica nella zona artica. Nicola Nurra ci spiega le relazioni tra tutti i fenomeni che qui raggiungono in modo molto più veloce che altrove punti critici di non ritorno. Non conoscevo il fenomeno fisico dell’albedo, la capacità riflettente dei ghiacci: più la banchisa è bianca e più respinge i raggi, più è scura per colpa delle nostre polveri fini che arrivano fin là e più assorbono il calore che a sua volta contribuisce a sciogliere il ghiaccio. E la neve rossa? Un effetto dovuto ad un’alga che nei mesi estivi si protegge dai raggi solari con un pigmento organico rosso: tutto è andato bene per milioni di anni, ma ora con estati più lunghe e maggiore insolazione, le alghe si colorano prima e con il loro rosso cambiano i valori dell’albedo.
Il terzo capitolo è intitolato “Zuppa di plastica” e si apre con il racconto del lavoro di ricerca sullo zooplancton effettuato da Pelagosphera nel Mar Ligure meridionale. L’imbarcazione dei ricercatori raccoglie durante la notte i campioni di plancton: ”Anche stavolta è pieno!” Il ricercatore si riferisce ai microframmenti di plastica mescolati al campione biologico: è la famosa zuppa di plastica, un mix di polimeri vari. I dati sono spaventosamente vicini  quelli degli oceani dove si sono formate isole di plastica, colonizzate da batteri. Dimostrato che con il plancton molti frammenti piccolissimi entrano comunemente nella dieta dei pesci, gli studi hanno verificato che le microplastiche ora sono anche dentro di noi; ricercatrici di Torino stanno analizzando gli effetti sul metabolismo: pare possano agevolare l’obesità!
Nurra spiega quanti danni abbiano portato anche i cosmetici che usano microsfere di plastica al posto di prodotti naturali per lo scrub o le fibre del pile che rilasciano ad ogni lavaggio centinaia di migliaia di microfibre di plastica! Il covid non ha sicuramente agevolato il controllo dell’inquinamento da plastica, anzi: confezioni monouso, mascherine, plastica finita in mare e quanta attenzione in meno alla raccolta differenziata! Il quarto capitolo è dedicato ai risultati degli studi sulla corrente del Golfo, alla sua storia e alle conseguenze del riscaldamento delle acque di superficie.
Segue un affascinante capitolo dedicato al canale di Suez, alla sua storia che parte dall’idea di due Italiani, poi lo scavo a mano del canale, diretto da Lesseps, con enormi perdite di vite umane. Il rimescolamento delle acque del Mediterraneo e del Mar Rosso fa sì che specie aliene dette lessepsiane entrino e trovando cibo e ambiente adatto vi si installino a spese di altre più deboli. Nurra spiega le conseguenze di questi cambiamenti. E non è il solo modo in cui  delle varietà diverse di animali o piante si spostano da un mare all’altro! “Plasticene” racconta dell’acqua di zavorra delle navi, ricche di “migranti” nascosti, scaricati prima di entrare in porto, o di alghe fuggite dall’acquario di Monaco e finite a proliferare nelle coste sottostanti.  Segue un capitolo dedicato alla famigerata CO2, all’effetto serra, all’acidificazione delle acque marine e alla deossigenazione. Infine le soluzioni cercate, promesse dai grandi riuniti. Ora sarà la COP 27 a fare il punto della situazione.
Una miriade di dati, il racconto di situazioni drammatiche come quelle delle periferie dimenticate della terra, degli atolli della Polinesia che già ora vivono il dramma di un oceano che cresce e li inghiotte e anche tante curiosità mi hanno fatto apprezzare moltissimo il libro di Nurra e mi spingono a consigliarne la lettura perché tutti (soprattutto gli insegnanti) riflettano su dati attendibili e  ben coordinati. Dalla lettura in poi tocca ad ognuno di noi far sì che il tempo rimanente segnato dal climate clock abbia il nostro effettivo contributo personale e il controllo attento delle decisioni comunitarie.
Naz

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