Ansia

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Parlando dei ragazzi parliamo inevitabilmente di futuro, nostro e loro: vediamo le generazione Y e Alpha  sempre più preoccupate e preoccupanti, allo sbando in uno Stato che si occupa di loro solo a parole, come sempre, o come spesso accade unicamente quando si rendono protagonisti di vicende dolorose, da cronaca nera.
Leggo spesso di questo mondo giovanile imbibito di fragilità e ansie, e a proposito di queste mi ha colpito la tendenza al disagio crescente in merito alle valutazioni a scuola, ai famigerati voti: in alcune scuole voti addirittura oscurati per evitare ansie (quindi il vecchio adagio “occhio non vede cuore non duole” è ancora attualissimo…), a seguire i giudizi farciti con una valanga di parole per edulcorare qualcosa che tradotto in voti o con termini più veri e diretti risulterebbe quantomeno sgradevole. Insomma, il tutto per rendere fruibile una valutazione, perché in fondo di questo si tratta, senza urtare le nuove sensibilità, vera rovina di questi tempi.
Queste ultime, le sensibilità intendo, sono diventate ormai pane quotidiano: qualunque cosa venga detta o fatta al mondo c’è una categoria che si inalbera e si sente parte lesa. Ovunque si guardi, qualunque tema si tratti, le cosiddette nuove sensibilità sono ormai inciampi e ostacoli contro i quali andare a sbattere: c’è indubbiamente un abuso, una sovrapproduzione di queste.
Torniamo alle valutazioni scolastiche: eliminarle spazzerebbe via l’ansia che ormai è un tutt’uno con molti dei nostri ragazzi, una compagna sgradita ma inseparabile nel quotidiano, e ancor più nella scuola. Almeno questo è il pensiero di tanti.
Ma aiuterebbe veramente i giovani questo colpo di spugna su voti e giudizi, fino alla fine del loro percorso?
Perché alla fine, è innegabile, questa terribile mannaia si abbatterà inesorabilmente su di loro; la cosa indesiderata, rimandata per mesi, alla fine si ripresenterà, per forza di cose, e con essa tutta l’ansia elevata a potenza: inutile nascondersi, perché arriverà, eccome, ed alla fine una griglia di valutazione inevitabile e necessaria piomberà dall’alto con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno,  altrimenti viene meno la scuola come istituzione. Non solo: questa ansia che sta ingrassando psicologi e farmacisti i nostri ragazzi la ritroveranno sempre nella propria vita, ci dovranno convivere; non sempre ovviamente ma proviamo a pensare agli esami universitari, a un colloquio di lavoro, a il lasciare casa per un destino ancora tutto da scrivere, all’attesa in sala parto o appena fuori, o mentre attendono che il direttore della banca dica se la richiesta del mutuo è stata accettata…
In una città italiana gli studenti hanno occupato il liceo perché le troppe interrogazioni causerebbero attacchi di panico: credo non riescano nemmeno a immaginare il percorso post diploma che li attende e sicuramente non lo potranno affrontare scolandosi flaconi di Minias, di Valium o frequentando lo studio di uno psicologo.
Questa perenne inquietudine, questa angoscia occorrerà sperimentarla e non evitarla, sentirla addosso e vincerla. E se le interrogazioni e le verifiche sono molte, ben venga: ci sarà più materiale per rimediare là dov’è necessario, gli insegnanti ne avranno di più per capire dove siete carenti o dove invece riuscite a eccellere.
Vi stimeranno pure a scuola guida, vi valuteranno quando farete la partita a calcetto contro la FIAT lubrificanti, vi misureranno i genitori di lei o di lui non appena metterete piede in casa loro.
C’è chi ha agito in controtendenza: in un altro liceo si è scelto di mostrare gli esiti del percorso scolastico solo a giugno. Non saprei, ma lo immagino simile all’attesa di un giudizio in Cassazione, una strada disseminata di dubbi, di punti interrogativi e, di conseguenza, di ansie.
Non si può vivere perennemente anestetizzati.
Il voto numerico potrà sembrare freddo ma rende in un attimo l’idea della preparazione, certo pure i giudizi ma gli insegnanti sarebbero (o sono) costretti a scritture che nemmeno Jacopo Ortis a Lorenzo Alderani.
Intendiamoci: pensiero personalissimo di uno che la scuola l’ha vissuta in un tempo antico facendo le medie dei voti e prendendosi una strizza ogni qualvolta il prof di turno scorreva l’indice sul registro. Cartaceo.

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Luciano Simonetti
Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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