Il Lanificio Bona ha avuto una parte rilevante nelle vicende e nell’economia del nostro paese negli ultimi due secoli dello scorso millennio, e anche se la storia completa è ancora tutta da scrivere, con questo articolo aggiungo altre notizie sul tragico evento che avvenne alla fine dell’Ottocento, ma che segnò anche una rinascita dello stabilimento, di cui ancora oggi si può vedere l’antico complesso, anche se sminuito dall’attuale frazionamento in una moltitudine di proprietari.
Pregevole esempio di archeologia industriale, conserva ancora oggi molte parti degli originali fabbricati, di cui molti caratterizzati da una particolare accuratezza architettonica, che meriterebbe sicuramente una sua riqualificazione, anche per preservarne la sua importante storia.
Il Lanifìcio Bona, un tempo Laclaire, è stato ai tempi uno dei più importanti stabilimenti non solo dei dintorni di Torino, ma dell’intero Piemonte, dando lavoro a parecchie centinaia di operai, ed era rinomato per la qualità dei suoi prodotti.
Le origini dello stabilimento risalgono all’inizio del 1800, quando venne fondata dal Comandante G.P. Laclaire per poi passare nel 1879 alla Ditta Fratelli Bona.
Successivamente, nel 1889, divenne proprietà assoluta del cavaliere Basilio Bona crescendo ulteriormente anche quando passò ai suoi figli, fino alla sua chiusura negli Anni ‘60 del secolo scorso.
All’inizio dell’Ottocento l’Italia dipendeva quasi esclusivamente dall’estero per l’industria tessile laniera e doveva importare grandi quantità di tessuti di cui aveva bisogno per il suo commercio interno.
Poi durante la restaurazione, grazie alla nuova politica sabauda, venne incentivato l’impianto di nuovi lanifici, e così l’importazione di tessuti diminuì sensibilmente, mentre la loro esportazione, che in passato era assolutamente nulla, assunse un’importanza rilevante.
Questo felice cambiamento si deve anche a una schiera di abili e audaci industriali, tra i quali faceva parte la Basilio Bona di Caselle Torinese.
Come scriveva un cronista dell’epoca Basilio Bona era“… dotato delle necessarie cognizioni tecniche, si attaccò con passione alla famiglia degli operai e alla sua industria, che prese una salutare ascesa, grazie a utili innovazioni e a riforme razionali e ben intese, rispondenti al progresso moderno. Questa Ditta è riuscita a possedere un impianto grandioso, assemblato con gli strumenti più moderni e sofisticati, che ne fa uno dei primissimi stabilimenti italiani di questo genere in grado di competere con i migliori all’estero. Il signor Basilio Bona, va detto, ha meritato il lavoro italiano, grazie alla sua grande intelligenza industriale e alla sua audace iniziativa speculativa …”
IL GRANDE INCENDIO DEL 1889
Il 20 marzo 1889, quando lo stabilimento era ancora di proprietà degli eredi Laclaire, ma già da tempo gestito da Basilio Bona, avvenne un gigantesco incendio, che distrusse quasi completamente lo stabilimento.
Vediamo come venne raccontato l’evento dai cronisti dell’epoca che descrivono anche brevemente l’attività lavorativa: “Attualmente il Lanificio rimaneva aperto giorno e notte, dandosi gli operai il turno per squadre. L’altra notte alle 3, quando scoppiò l’incendio, era al lavoro nel locale della filatura una squadra di 50 operai.
Pare che un tubo di gas rottosi abbia preso fuoco e comunicate le fiamme ai telai, che diedero facile era all’incendio. Il fuoco divampò subito tremendo. Gli operai che vegliavano al lavoro diedero subito l’allarme; in un attimo tutta Caselle fu in piedi. Le pompe dello stabilimento furono poste in azione, e operai e terrazzani, sotto la direzione del signor Basilio Bona, si diedero all’opera di estinzione.
Nel frattempo, dalla stazione della linea Torino-Ciriè-Lanzo veniva dato telegraficamente avviso del disastro a Torino, a San Maurizio ed a Ciriè, e subito da questi luoghi muovevano pompe e uomini pel salvataggio. San Maurizio mandò una pompa ed i suoi pompieri, lo stabilimento Remmert di Ciriè un’altra pompa ed altri uomini. In breve furono sul luogo dell’incendio sette pompe e molte decine di animosi che contrastavano alle fiamme la loro preda. Ma il fuoco era troppo esteso; fu grazia se lo si potè isolare, e solo alle 9 del mattino lo si potè dire domato.
L’intera manifattura, meno una parte del fabbricato a mezzogiorno, andò distrutta. L’incendio divorò completamento i locali della carderia, filatura, tessitura, apparecchiatura delle lane e lo stesso magazzino ove sono depositate le lane ultimate.
Nel fabbricato rimasto incolume vi erano venti telai a mano, ma essi non possono lavorare mancando la materia prima.
I danni dell’incendio si avvicinano al milione (oggi equivalenti a circa 4 milioni e mezzo di euro, ndr). Ma il danno non si limita a ciò: la rovina della manifattura pone completamente sul lastrico 600 tra operai ed operaie che erano addetti alla manifattura e che ricavavano dal lavoro il loro sostentamento. Con tutto il buon volere dei proprietari della fabbrica, prima di dieci o dodici mesi non potranno esser rimessi in opera i vari laboratori. “
IL SOCCORSO AGLI OPERAI DISOCCUPATI
Intanto, per soccorrere gli operai più bisognosi rimasti disoccupati, il 22 marzo venne aperta una sottoscrizione, che già da subito diede i suoi frutti.
La sottoscrizione rimase aperta presso il Municipio di Caselle, e anche il Ministro dell’Interno inviò al prefetto quattromila lire come sussidio.
Per filantropica iniziativa di ben trentatré Associazioni di Mutuo Soccorso del Torinese venne aperta un’altra speciale sottoscrizione operaia per andare in soccorso degli operai casellesi.
Nel 1891 venne pubblicato il resoconto generale delle entrate e delle uscite del Comitato per sussidi agli operai senza lavoro a causa dell’incendio del lanificio Bona in Caselle, dal quale risultò che il totale delle oblazioni fu di Lire 18.936,21.
Di questa somma se ne spesero Lire 171,71 per acquisto circolari, cancelleria, registri, francobolli, ecc., ed il rimanente, cioè Lire 18.764,50, venne distribuito agli operai.
Il resoconto termina con la considerazione che “…Questo risultato merita un elogio e dimostra quanto sia sempre forte il sentimento della carità nel nostro Piemonte”.
LA RICOSTRUZIONE
Dopo il terribile incendio che devastò la fabbrica, Basilio Bona colse l’occasione di acquistare il 4 giugno 1889, dagli eredi Laclaire, l’intero stabilimento, e poi ne iniziò subito la sua ricostruzione.
Così scrissero all’epoca del nuovo stabilimento: “… il signor Bona, con ardore e perseveranza, ricostruì il suo stabilimento, dotandolo dei fattori principali destinati quasi sempre ad assicurare la vittoria nell’industria, quando partissero da un medesimo pensiero e si armonizzassero tra loro altro. Lo stabilimento è infatti di solida costruzione, di brillante estetica, razionalmente disposto e conciliando le numerose necessità industriali con le più sottili esigenze di igiene moderna”.
Per quanto riguarda la parte produttiva, il nuovo stabilimento venne dotato di macchinari di prim’ordine basati sui più avanzati sistemi all’epoca conosciuti.
“… nessun sacrificio è stato temuto per seguire passo dopo passo il continuo sviluppo frutto degli studi e del tempo. In questo stabilimento si eseguono tutte le operazioni per la confezione dei tessuti, partendo dal lavaggio, passando poi alla filatura delle lane, alla tessitura e alla vestizione dei tessuti compresa la tintura in fiocchi, filati e pezzi.
Le operazioni si susseguono con velocità e cura esemplari, con lavorazioni perfette, con colori e fondi pieni e brillanti. Infine, gli articoli vengono consegnati con precisione e coscienziosità e sono molto ben accolti nel commercio”.
In occasione della ricostruzione venne completamente trasformata la tintoria, portando diverse novità che così vennero descritte:
“1. Grazie ad una costruzione ben studiata e ben applicata, le vasche indaco sono riscaldate dal vapore che circola su parte delle loro pareti; vengono così eliminati gli inconvenienti che si verificavano con il riscaldamento a fuoco diretto, oppure con serpentine o vapore diretto.
2. È stato realizzato un impianto per l’utilizzo di tutta l’acqua di condensa del vapore utilizzata nella tintoria e negli altri servizi dello stabilimento.
3. L’apparato per la fabbricazione dell’idrosolfito è stato perfezionato.
4. Sono stati apportati miglioramenti al dispositivo per tingere automaticamente i pezzi di blu indaco”.
Basilio Bona progettò e costruì anche dei nuovi dispositivi per la produzione di filati fantasia, e di pezzatura alternativamente disuguale (cosiddetto fiammato), processi e dispositivi che come scrissero “potrebbero, volendo, essere garantiti da brevetti industriali”.
Riassumiamo brevemente le caratteristiche dell’azienda che occupava circa 40.000 mq (un po’ meno dell’attuale complesso perché non comprendeva ancora l’ampliamento avvenuto negli anni ‘20 del Novecento), così come riportate da una scheda dell’epoca:
“La forza motrice idraulica è di 150 cavalli massimo e 80 minimo e supportato, all’occasione, da un motore a Vapore da 100 cavalli. Lo stabilimento dispone di 120 telai meccanici, e la produzione annua è stimata in circa 300.000 metri di tessuti, suddivisi in un quarto per la produzione di tela militare per esercito e marina, e per 3/4 di tessuti cardati e pettinati, il tutto per un valore di circa 2 milioni di lire.
Allo stabilimento è annesso un impianto a gas per l’illuminazione dei locali, e il riscaldamento è a vapore. Gli operai impiegati nello stabilimento sono circa 400, per lo più pagati a cottimo, e la giornata lavorativa è mediamente di 11 ore.”
Nella ricostruzione Basilio Bona non si occupò solamente di miglioramenti tecnici, ma non trascurò le istituzioni umanitarie e morali a favore dei suoi operai, anche molto prima di quando diventarono degli obblighi di legge.
Come si rileva da quanto scritto all’epoca “…Istituì, infatti, a proprie spese pensioni mensili di quiescenza per i lavoratori divenuti inabili al lavoro per vecchiaia; la ripartizione tra i pensionati delle sanzioni disciplinari comminate ai lavoratori; l’assicurazione collettiva degli operai contro gli infortuni sul lavoro, stipulata presso la Caisse Nationale d’Assurance presso la Caisse d’Epargne, di Torino, già dal 1891”.
Inoltre la Ditta Bona pagava direttamente non solo le spese assicurative, ma anche uno stipendio annuo fisso a due medici che prestavano gratuitamente le loro cure ai lavoratori colpiti da infortuni.
La cronaca dell’epoca segnala anche il sistema contabile tecnico-amministrativo istituito dal proprietario (di cui per ora non ne conosco le caratteristiche) che era in uso presso la Ditta e che era considerato uno dei fattori principali del suo eccellente funzionamento.
Alla fine dell’Ottocento il lanificio era diventato la principale fonte economica di Caselle, e infatti così un cronista dell’epoca commenta l’incendio avvenuto: “… Crediamo di poter affermare che, se dopo lo scompiglio prodotto dal disastroso incendio del 1889, il titolare, Sig. Basilio Bona, non avesse dedicato tutte le sue energie e tutta la sua generosa iniziativa alla passione per la sua operosità e per la classe operaia, ricostruendo e migliorando l’attuale stabilimento, ne deriverebbe una grave calamità per gli abitanti di Caselle. Da questo popolo onesto e laborioso, infatti, trae le migliori risorse quotidiane la fabbrica del Sig. Bona e prova una legittima soddisfazione nel sapere che contribuisce al miglioramento dell’industria laniera italiana e conseguentemente ad aggiungere un nuovo lustro alla gloria industriale della patria”.
LA RIPRESA DELLE ATTIVITA’ E LE NUOVE ONORIFICENZE
Dopo solo un anno dalla distruzione il lanificio tornò all’attività e il proprietario iniziò nuovamente a portare i suoi prodotti nelle vetrine dei più importanti eventi europei, in cui Basilio Bona vide universalmente riconosciuti i suoi meriti, a giudicare dai numerosi e importanti riconoscimenti ottenuti alle Esposizioni alle quali presentò i suoi prodotti che si andarono a sommare a quelli ricevuti negli anni precedenti l’incendio.
Partecipò alle esposizioni di Palermo nel 1892, di Milano nel 1894, di Amsterdam nel 1895, e a quella di Torino nel 1898 in cui vinse la medaglia d’oro di Prima Classe al concorso indetto dal Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio a favore degli espositori all’Esposizione Generale di Torino che avevano “dimostrato di aver compiuto dal 1893 notevoli progressi nel perfezionamento dei prodotti, di aver sviluppato e dotato di nuovi meccanismi le loro fabbriche e di aver adottato altre migliorie tecniche.”
L’ESPOSIZIONE DI PARIGI DEL 1900
L’Esposizione di Parigi del 1900 si tenne dal 15 aprile al 12 novembre e superò la quota di 50 milioni di visitatori (solo quella di Osaka del 1970 e quella di Shangai del 2010 fecero altrettanto). Per l’occasione, furono messi in mostra i più recenti ritrovati della scienza e della tecnica, e spiccano tra questi l’elettricità e il cinematografo, messo a punto dai fratelli Lumière.
Molte importanti aziende Italiane parteciparono all’evento, e tra queste vi fu anche la Ditta Basilio Bona di Caselle, di cui riportiamo quanto scritto all’epoca su quanto portò in esposizione “…non opere appositamente fabbricate, ma manufatti ordinari, per dare un’idea reale e sincera di ciò che la sua Ditta produce per il commercio; a tale scopo staccò dai pezzi in spedizione i campioni che compaiono nella sua vetrina all’Esposizione Universale di Parigi. La Ditta Basilio Bona, con il suo allestimento, rivela l’impronta di severi studi e di un’ottima organizzazione pratica della sua fabbrica di tessuti richiamando l’attenzione dei visitatori su questi campionari di tessuti lanieri di molteplici qualità, di manifattura e di vari prezzi. E, dobbiamo dirlo a suo grande merito, questa finezza e questa perfezione di lavorazione che si nota negli articoli esposti, si ritrova in quelli che la Ditta Bona mette in commercio. Tale risultato, facile per chi si specializza, non lo è per chi è costretto dalle necessità del commercio ad applicarsi alla produzione di molteplici e vari generi. Tutti i suoi tessuti, da cui è assolutamente escluso il cotone, per abiti civili, leggeri o pesanti, in cheviots, in lana cardata e pettinata, in tinta unita o fantasia, completano il ciclo del buon gusto moderno e possono soddisfare tutte le esigenze del consumatore. Le sue lenzuola finissime, usate da ufficiali dell’esercito e della marina, per le divise di qualsiasi amministrazione civile o militare, sono una prova lampante della conquista che questa produzione ha fatto sulla concorrenza straniera. Specialmente l’Unione Militare di Roma, che prima dipendeva da famose case straniere per la totalità dei suoi rifornimenti di panni pregiati, riconobbe ormai la convenienza di procurarsi quelli della fabbrica del signor Bona, ed è su di essi che ha puntato la sua preferenza, per la maggior parte del suo consumo. Ma le conquiste industriali della Ditta Basilio Bona non si limitano al campo dei consumi domestici in Italia; attraversando le montagne e i mari, ha realizzato un notevole lavoro di esportazione attraverso rappresentanze stabilite a Parigi, Vienna, Berlino, Amburgo, Para, Amsterdam, Atene, Smirne, Costantinopoli, Zante, ad Aleppo, il Cairo, Giappone, Cina, Isole Canarie. Questa esportazione acquista ogni giorno maggiore importanza, e dimostra che i prodotti della fabbrica Bona possono competere per bontà e prezzo con quelli provenienti dai più solidi e rinomati stabilimenti esteri.”
Da questo eloquente resoconto possiamo vedere come Basilio Bona, in soli dieci anni, riuscì a trasformare un evento tragico, che spesso portava al fallimento delle attività, ad una opportunità di rinnovamento e di crescita non solo locale ma addirittura internazionale con le sue esportazioni in tutto il mondo.