Mother

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L’intelligenza artificiale sta dilagando , o meglio, è un argomento dibattuto su tutti i media, e i commenti entusiasti si sprecano: in un domani nemmeno troppo lontano la possibilità d’avere un aiuto, qualunque esso sia, sotto qualunque forma è prossimo a diventare realtà.

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Siamo abituati a vederla nei film, con le sembianze di androidi o replicanti più o meno buoni, oppure invisibili ma presenti e inquietanti: quel semplicissimo obiettivo rosso in “ 2001 Odissea nello Spazio” sprigionava tutta la potenza e la capacità di controllo del computer HAL 9000.

In Alien abbiamo due distinte realtà di questa intelligenza: da una parte il supercomputer Mother che al tenente Ellen Ripley riserva risposte secche e prive di tono, con voce sintetica, e dall’altra l’insospettabile Ash, ufficiale scientifico che si rivelerà essere un androide.

E Prometheus nel quale David è l’androide che vorremmo accanto come amico.

Detto questo e dopo esserci avventurati nel mondo della fantascienza possiamo tirare le somme: nessuna di queste entità ha lavorato per il bene dell’equipaggio, tutt’altro.

I programmi, le macchine, erano liberi di agire, prendere decisioni, di mentire, negare, nascondere.

Possiamo fidarci?

Come tutti i manufatti umani, tangibili e non, dipende dall’uso che ne faremo, e dall’onestà di coloro che le produrranno; nelle mani sbagliate creerebbero guasti, drammi.

In fondo HAL 9000 li avrebbe ammazzati tutti.

Vediamola con un moderato ottimismo: sicuramente ci sarà utile, dal lavoro al tempo libero, alla ricerca, ci aiuterà a trovare risposte, risolvere problemi, magari a prevedere avvenimenti sulla base di algoritmi, ma ci affideremo a lei totalmente?

Tutti hanno visto le foto di Trump in manette o del Pontefice col cappotto bianco,  ed ascoltato dichiarazioni false di politici create ad arte; insomma, saremo in grado di distinguere il reale da ciò che non lo è?

La protesta degli sceneggiatori ad Hollywood che temono per il loro posto di lavoro, altrettanto quanto gli operai delle aziende metalmeccaniche sostituiti da robot, la dice lunga.

Ma diciamo vada tutto bene e l’ A.I. sia nostra amica: quanto vedremo atrofizzare il nostro cervello, la nostra capacità di creare, prendere un’iniziativa, agire? Lasceremo pensare la macchina?

Già oggi i danni da telefonino si vedono chiaramente: il sistema ci ha fagocitati, ne siamo parte ormai, ne abbiamo bisogno quanto una droga, e spesso un like in meno fa la differenza tra una bella giornata e un volo dalla finestra.

Passeremo intere giornate con un visore calato sulla testa per vegetare nel mondo virtuale tanto sbandierato ultimamente perché  “offre opportunità”: sicuramente quella di staccarsi totalmente dalla realtà, instupidirsi.

E ancora: Chat GPT. Un softwere  in grado di produrre ed elaborare testi in modo così naturale da non riuscire a distinguere se frutto del cervello umano o della macchina. Sicuramente comodo nella stesura di un tema a scuola, per i più ottusi e pigri.

Facciamo finta sia il futuro e che ci sia utile, ma il problema è oggi, con macchine o intelligenze che spesso creano intralci al quieto vivere: ad esempio quando proviamo a capire qualcosa nei siti della pubblica amministrazione, delle banche; ci si danna per trovare ciò che necessita, e ci si perde, e si perde la calma di fronte al totem ottuso.

Ecco, mi ricordano le risposte di Mother in Alien: ”Non computa”, ed in sottofondo si sentiva una sorta di respiro.

Snelliamo queste aberrazioni prima di avventurarci nel futuro. Mi sono sempre chiesto come mai io debba inserire dei dati che la P.A. conosce perfettamente visto che mi ha fatto accedere!

Questi sistemi elaborano a velocità luce dati già conosciuti, presenti, chiari, ci sbatte il risultato nel giro di millisecondi. Ma la fantasia? Il colpo di teatro che non ti aspetti, il genio che solo la mente umana possiede, dove sono?

Può solo basarsi su cose già note che gli umani inseriscono nel programma.

Non riesco ad immaginare l’ A.I. comporre la Pastorale o il Don Giovanni.

Per ora mi accontenterei di un’ intelligenza umana usata correttamente, anche di una innocua ignoranza, ma consapevole.

Una cosa l’ A.I. non potrà mai debellare: la stupidità. Per quello, si accettano miracoli.

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Luciano Simonetti
Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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